Filastrocca :gli elfi e Babbo Natale

Siamo gli elfi e siam piccini,
noi piacciamo a tutti i bambini
ma non abbiamo ancora capito
se è per i doni o il nostro vestito.

Alla mattina di buon’ora
siamo ancora sotto le lenzuola,
una campana rimbomba nell’aria,
è la nostra sveglia ed è necessaria.

Tutti di corsa andiamo a lavarci,
è un grande caos per accaparrarci
sia il sapone che l’asciugamano,
facciamo presto o la colazione saltiamo.

Poi profumati e tutti bellini
andiamo a finire i giocattolini,
chi è addetto alle bambole o ai trenini,
chi ai peluche o ai cavallini.

Che bella atmosfera che noi creiamo,
una musica dolce nell’aria sentiamo,
siamo ancora assonnati e anche stanchini
ma Natale è vicino:pensiamo ai bambini!

Ecco, siam pronti, è tutto finito,
facciamo i pacchetti con qualche candito,
le renne aspettano che i sacchi mettiamo,
son pronte a partire e tutti aspettiamo.

Ecco Babbo Natale, è ancora più bello,
per noi lui è un caro fratello,
no , anzi, qualcosa di più,
gli vogliamo un gran bene tutti quassù.

Ed ecco che partono, con un saluto,
anche questo Natale abbiamo potuto
costruire giocattoli per i bambini,
siamo proprio contenti, anche se siam piccini.

Filastrocca: caro Babbo Natale

Toc toc. Posso entrare?
Però nessuno mi deve disturbare,
sono venuto a portare dei doni,
mi hanno detto che i bimbi son stati buoni.

Ecco in un angolo una letterina,
non c’è nessuno in casa stamattina.
Con questo freddo chissà dove sono andati,
c’è anche la neve, si saran bagnati!

Ora mi siedo in questa bella poltrona,
è di raso rosso e sono sveglio di buon’ora.
Sprofondo così nel morbido tessuto
mi sento proprio molto benvoluto.

Però purtroppo nel caldo tepore
mi addormento e passano le ore
e mi ricordo d’un tratto della letterina,
non l’ho ancora aperta, che figura barbina!

“Caro Babbo Natale, sono dovuta partire,
oggi la mamma deve partorire,
ti ho lasciato sul tavolo i biscottini,
un poco di latte e alcuni grissini.

Dona i miei regali a un altro bambino,
a me basta avere un fratellino,
non c’è al mondo cosa più bella,
sul mio albero di Natale aggiungo una stella!”

Iniziativa filastrocche

Siamo giunti alla premiazione della filastrocca del mese di Novembre tramite la collaborazione del mio blog con il forum Graficamia. 

La vincitrice è Lorette con il lavoro abbinato alla filastrocca:

Non sono un pesce

Mi sono tolta il pannolino
e mi sono infilata il costumino,
ora nel mare mi devo buttare
ma ho paura, non c’è niente da fare.

Il babbo mi guarda con un sorrisetto,
il baffo trema, mi dà uno sberleffo.
Questo mi fa ancora più arrabbiare
e non mi aiuta di certo ad entrare.

Passa davanti a me un pesciolino,
mi dà uno sguardo, è proprio carino.
Chissà chi gli ha insegnato a nuotare,
eh, la natura, quante cose sa fare.

E noi bambini invece perché,
dobbiamo nuotare, senso non c’è.
Già dobbiamo imparar a camminare,
e la pipì addosso non possiamo più fare.

Se sbagliamo in qualcosa ci sanno sgridare,
siamo piccini, dobbiamo imparare.
Il pesce nuota, la rana salta,
l’uccello vola, la biscia avanza.

Invece io devo imparare a nuotare,
non sono un pesce ma lo devo fare.
Guardo la mamma e poi il papà,
mi butto nel mare, che contenti li fa!

La donna marinaio: Lucia Pozzo

Nel giorno commemorativo dedicato alla violenza sulle donne, il 25 Novembre, con il morale a terra per i dibattiti seguiti e le ultime notizie tragiche del telegiornale, ho voluto cercare qualcosa di positivo riguardante il gentil sesso e sono capitata su un sito. Devo dire che avevo già preso in considerazione questo nome fra tanti altri per scrivere poi degli articoli sul mio blog.

Oggi quindi vorrei citare questa straordinaria donna torinese, classe 1961, che ha fatto dello sport il suo modello di vita.

Quello che riporto è solo una sintesi di tutto quello che questa straordinaria donna ha fatto nella sua lunga carriera. Posso senza ombra di dubbio dire che ha vissuto pienamente ogni singolo giorno.

Lucia Pozzo ha iniziato la sua carriera sportiva già dall’età di 4 anni.

Le sue prime attività sono state orientate verso gli sport di montagna, quali lo sci alpinismo, l’arrampicata, il trekking per poi passare all’equitazione, scherma…

Si avvicina agli sport acquatici utilizzando il kajak e irrobustisce i muscoli con il windsurf.

All’età di 17 anni si avvia allo sport della vela e le gelide acque dei laghi del nord Italia la temprano e la avvicinano sempre più ad aiutarla a capire che la vela è uno sport avventuroso e affascinante.

Si laurea in architettura con una tesi sperimentale di indirizzo navale: la progettazione di una barca a vela realizzata in ferro cemento molto sottile, alleggerito con degli inerti speciali.

Nel 1985 si fa sponsorizzare una serie di regate importanti. Raduna il primo equipaggio italiano composto da tutte donne e le allena su una barca che battezza con il nome “Invicta Delfino Rosa”, che sulla fiancata porta dipinto un gran delfino con occhioni azzurri e lunghe ciglia.

Ottiene numerose vittorie. L’equipaggio femminile dà lustro al suo capitano per ben tre anni; a questo punto della carriera, una prestigiosa fabbrica di automobili, rende possibile allo “Stint ex Adriaco”, un tredici metri del 1908, appartenente alla classe 8 metri stazza internazionale, la partecipazione ai più prestigiosi raduni di vele d’epoca del Mediterraneo, con la vittoria del premio “Donne in Carriera” al trofeo Dipartimento Alto Tirreno. Si dice che la veloce barca sia appartenuta al mitico Barone Rosso, asso dell’aviazione della prima Guerra Mondiale e che il suo fantasma aleggi tra le giovani ragazze.

Il lavoro che però affascina maggiormente Lucia consiste nello scovare, per facoltosi armatori, imbarcazioni di pregio abbandonate, consigliarne l’acquisto, seguirne il restauro.

Questa attività l’ha portata a immergersi nei polverosi archivi dei più prestigiosi cantieri navali del mondo e le ha dato l’opportunità di imparare le antiche tecniche della carpenteria navale.

Lucia, molto conosciuta nell’ambiente della nautica italiana e francese, per essere stata fino a pochi anni fa l’unico comandante donna in un ambito ancora dominato dagli uomini, si è fatta per anni promotrice di associazioni e cooperative per la tutela e il riconoscimento della figura professionale dello skipper e del marinaio da diporto.

Compie due giri del mondo su barche differenti, nel circuito dei World Rallies inglesi e francesi. Queste navigazioni le permettono di visitare i luoghi più belli dell’emisfero sud, di attraversare due volte il Pacifico, di navigare nell’Oceano Indiano e di cimentarsi con i pirati e con i venti contrari del Mar Rosso.

Nel 2010 si cimenta ancora una volta con una regata d’altura in equipaggio di due persone, con un’altra donna. Le condizioni meteo sono proibitive, ma Lucia e la sua prodiera condurranno il 14 metri Fieramosca alla vittoria.

Queste e altre simpatiche vicende e navigazioni, sono ampiamente raccontate nei suoi libri, che narrano le avventure di mare del comandante donna e dei suoi equipaggi, condite da una schietta vena di umorismo e femminilità.

Improvvisamente, durante una navigazione d’oltreoceano molto impegnativa, circondata da aurore boreali, orche e iceberg alla deriva, una folgorazione fa scegliere il luogo che risponde alle aspettative della signora del mare.

Attualmente, stufa di avere scatoloni e valigie disseminate tra le case degli amici e i garage della famiglia, decide di dare un domicilio fisso a tutti i suoi oggetti personali. Così, senza rinnegare l’amore per le barche a vela e per il mare, la skipper, il marito navigatore e un bimbo già grandicello, decidono di stabilirsi a quota 1200 metri, nella cornice delle Alpi Occidentali, in provincia di Torino.

Ristrutturano una baita che risale all’Ottocento, costruiscono una stalla e, pur continuando a navigare a turni alterni, si circondano di ingombranti animali.

Qui Lucia disegna, e scolpisce originali mobili di design ispirati ai luoghi esotici che ha visitato.

Una storia di vita vissuta tutta al femminile, dove anche nella quotidianità della montagna, l’autrice rimane sempre un comandante di barche a vela.

Da questo connubio mare-montagna, è nato il libro “Naufragio in alta quota”.
Tratto da:
http://www.luciapozzo.it/chisono.html

Iniziativa filastrocche

Eccoci al mese di Ottobre citando di nuovo la collaborazione con il mio blog e il forum Graficamia riguardo le filastrocche. 

Le vincitrici del mese di Ottobre sono Lorette e Paola con i lavori abbinati alla filastrocca:

La presentazione degli ortaggi 

Io sono una cipolla,
ma guai a chi mi spoglia,
comincia a singhiozzare
piangendo a tutto andare.

E io una melanzana,
beato chi mi ama,
sono sempre abbronzata
e mai sono arrabbiata.

Io sono una zucchina,
sono snella e sono carina,
ho sempre il cappellino,

faccio invidia al mio vicino.

E io che ci sto a fare,
sol cruda mi puoi mangiare,
sono l’insalata,
a volte frastagliata.

Noi siamo un po’ piccanti,
chi ci vuole si faccia avanti,
lasciamo tutti voi
a bocca aperta poi.

Io sono timidino,
arrossisco pian pianino,
sono un pomodoro,
non mi piace star da solo.

Attento a non toccarmi,
mi difendo da tutti quanti,
sono un carciofino
per un gusto sopraffino.

Noi invece insiem danziamo
e ci teniam per mano,
noi siamo i fagiolini
siam sempre magrolini.

Questa è la nostra danza,
per noi ora è abbastanza,
ce ne dobbiamo andare,
nell’orto a riposare.

Ibridatore di Plumeria: Joseph Rosselli

Joseph Rosselli, ex triatleta e ciclista, fu il primo ibridatore di Plumeria. Fanatico floricoltore di Kenner (U.S.A) era di origini siciliane.

Egli non avrebbe mai immaginato che sarebbe diventato il primo creatore di Plumerie come lo è oggi, accreditato di oltre 50 ibridi di varietà di Plumerie. Rosselli dice: “Questa odissea con le Plumerie è il classico caso di una porta che si chiude ed una che si apre”.

Racconta che tutto cominciò quando con una sua ex fidanzata acquistò una talea di Plumeria bianca ad un mercato delle pulci, poi l’amore per la fidanzata finì e rimase soltanto un lungo e durevole amore per le Plumerie, conosciute per i fiori usati principalmente nelle “Leis”(collane Hawaiane).

Egli cominciò comprando Plumerie dalla Stokes Tropical, un vivaio nella New Iberia , di proprietà di Glenn Stokes, che era il venditore di Plumerie più vicino ed iniziò a sperimentare l’impollinazione incrociata delle migliori varietà. “Io lo avevo preso come un gioco per scherzo con i fiori” disse Rosselli. Il primo ibrido, la Principessa di Metairie , fu creata nel 1998, poi venne la Principessa Victoria Adriana , il nome di sua moglie Victoria, che è di Ontario, ( anche Lei oriunda Italiana ).La Plumeria Princess Victoria è il fiore pubblicato sulla copertina dell’edizione del 2000 del catalogo della Stoke’sTropicals, e la foto pubblicata sul”The Handbook on Plumeria Culture di Richard Eggenberger.“ Io apprezzai il fiore e fui contento di promuovere la Princess Victoria come un tributo a Victoria”, egli disse, “La chiamai così perché riconobbi che questo fiore era il migliore del mondo, come lei.”

Rosselli si dilettò a coltivare altri fiori come Orchidee e rose, ma le Plumerie sono la forma d’arte da lui scelta e da lui usata per pagare un tributo alle donne della sua famiglia e di quella di sua moglie. Di tutte le varietà da lui create, Rosselli disse “La Principessa Anita Rosa, chiamata come sua cognata , Anita Crapanzano, è la più fragrante. “Io voglio rendere le donne della mia famiglia immortali, lasciando qualcosa per mostrare quelle che erano , e per onorarle con qualche cosa che le future generazioni vedranno, questo è l’unico modo per onorare i membri della mia famiglia.”

Rosselli disse che creare delle varietà nuove di Plumeria è un lavoro arduo, anche se la Plumeria non è difficile da crescere individualmente. In media ci vogliono tre o quattro anni per creare un nuovo ibrido, anche perché Kenner non gode le costanti condizioni tropicali che esistono nelle Hawai o nell’America Centrale , dove fioriscono alla temperatura ottimale di 85 Gradi F.(29°C).

Io voglio cullarmi nel mondo delle Plumeria perché penso che i miei fiori saranno cercati dopo.

“Io cominciai ad essere il coltivatore di fiori più incredibili nel loro genere, trovati in tutto il mondo. Io faccio questo per divertimento e trovo la fama internazionale. Questi ibridi sono personalizzati individualmente e soltanto io li ho nel mondo intero.


Plumeria rubra “Princess Victoria”


Plumeria rubra “Princess Josephine Fiorella”

Plumeria rubra “Princess Catherine Louise”

Tratto da un elaborato tradotto di Christine La coste Bordelon

Frida Kahlo: l’artista

Frida Kahlo nasce nel 1907 a Coyoacán (Città del Messico) da Carl Wilhelm Kahlo, fotografo tedesco e da Matilde Calderon y Gonzales, sposata in seconde nozze nel 1898.

Frida è la più vivace e ribelle di quattro fratelli. È indipendente e passionale, intollerante di ogni regola e convenzione; è anche la più cagionevole di salute perché affetta da spina bifida, cioè una malformazione del midollo spinale.

Con il padre ebbe un buonissimo rapporto che ringrazierà con queste parole:” Grazie a mio padre ebbi una infanzia meravigliosa, infatti, pur essendo molto malato fu per me modello di tenerezza, bravura e soprattutto di comprensione per tutti i miei problemi”. Non facile invece il rapporto con la madre per la freddezza pragmatica e il fanatismo religioso.

 

Non si fece però sopraffare dalla malattia e intraprese gli studi con l’obiettivo finale di diventare medico. Studiò inizialmente al Colegio Aleman, una scuola tedesca, e nel 1922 s’iscrisse alla Escuela Nacional preparatoria. Qui si innamorò di uno studente, Alejandro Gómez Arias.

In questo lasso di tempo cominciò a dipingere per divertimento i ritratti dei suoi compagni.

Ma nel 1925 un evento terribile cambiò drasticamente la sua vita. In seguito a un incidente, tra l’autobus su cui viaggiava e un tram. La colonna vertebrale le si spezzò in tre punti. Si fratturò anche il femore, costole, gamba sinistra e l’osso pelvico.

Subì 32 operazioni chirurgiche. Dimessa dall’ospedale, fu costretta ad anni di riposo nel letto di casa, col busto ingessato.

Tutto questo le provocò una profonda solitudine e ebbe solo l’arte come unica finestra sul mondo.

Nella situazione in cui era costretta iniziò a leggere testi sul movimento comunista e fece il suo primo lavoro, un autoritratto che donò ad Alejandro.

In seguito a questa predisposizione naturale i genitori predisposero un letto a baldacchino con uno specchio sul soffitto, in modo che potesse vedersi, e dei colori. Incominciò così la serie di autoritratti. “Dipingo me stessa perché passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio” affermò.

Dopo che le fu rimosso il gesso riuscì a camminare, con dolori che sopportò per tutta la vita.

A 21 anni, in seguito ad approvazione del suo talento e per poter contribuire finanziariamente al ménage familiare, sottopose i suoi quadri al famoso pittore del Messico, Diego Rivera. Questi rimase assai colpito dallo stile moderno di Frida, tanto che la prese sotto la propria ala e la inserì nella scena politica e culturale messicana.

Si sposano l’anno successivo, Diego ha 21 anni più di lei ed è al terzo matrimonio. Ma con lui la vita non è stata facile in seguito alla sua continua infedeltà. Di riflesso anche lei ebbe numerosi rapporti extraconiugali.  

In seguito molti altri eventi lasciarono Frida sempre più triste: un aborto spontaneo, il tradimento di Rivera con la sorella Cristina. In seguito a questo divorziarono ma si risposarono nel 1940.

Frida stessa dirà: «Ho subito due gravi incidenti nella mia vita: il primo è stato quando un tram mi ha travolto e il secondo è stato Diego Rivera».

Lo stile di questa grande artista è ricco di suggestioni surrealiste ed espressioniste a cui aggiunge un tocco naïf che rende le sue opere difficilmente assimilabili ad una qualsivoglia corrente pittorica.

All’inizio i suoi dipinti furono realistici, ritratti della sua famiglia e di amici. Con il passare degli anni i suoi tormenti fisici e psichici tramutarono il suo stile.

Nella sua prima mostra un critico messicano ha commentato:”È impossibile la vita di questa persona straordinaria. I suoi quadri sono la sua biografia”.

Il suo ultimo dipinto “Viva la vida”, eseguito 8 giorni prima di morire, è veramente un ultimo omaggio alla vita. Ritrae dei cocomeri dalla polpa succosa che spiccano, verdi e rossi, su un cielo azzurro.

Frida amava la natura e gli animali. Il meraviglioso patrimonio naturalistico messicano è spesso presente nelle sue opere. I suoi stessi giardini ispiravano i suoi quadri e la consolavano nella sua vita turbolenta.

Ad agosto 1953, per un’infezione con conseguente gangrena, le fu amputata la gamba destra. Morì di embolia polmonare a 47 anni nel 1954. Fu cremata e le sue ceneri sono conservate nella sua Casa Azul, oggi sede del Museo Frida Kahlo.

Le ultime parole che scrisse nel diario furono: “Spero che l’uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai più.”

Tratto da:
https://www.festivalculturatecnica.it/chi-e-davvero-frida-kahlo-5-curiosita-su-di-lei/

https://it.wikipedia.org/wiki/Frida_Kahlo

Iniziativa filastrocche

Dopo una breve pausa legata al periodo estivo nel mese di Settembre ho ripreso la collaborazione tra il mio blog e il forum Graficamia riguardo le filastrocche.

La vincitrice del mese di Settembre è Emanuela con il lavoro abbinato alla filastrocca:

La montagna dei bambini

La montagna è da adorare
ci son pochi che lo posson fare,
ai bambini può piacere
solo quel che si può vedere.

Puoi incontrare uno stambecco,
l’ermellino o il gipeto,
uno scoiattolo nel bosco
o un picchio su un ramo morto.

Passa un merlo con un verme in bocca,
cerca il nido e il suo cuore scoppia,
il movimento lo ha disorientato
e il suo piccolo è ancora affamato.

Queste cose piacciono a un bambino,
ma per questo deve fare un cammino,
sarà lungo o sarà breve
chissà quel che dalla strada riceve.

Ma tutto questo ti arricchisce
e la visione non svanisce,
quando a casa tornerai
dentro il tuo cuore troverai.

La pediofobia

Sembra quasi impossibile che oggi, dove si vedono solo scene di violenza, dove anche molti cartoni animati includono identiche scene, si parli di questa fobia.

Si tratta della pediofobia, cioè la paura incontrollata verso le bambole.

L’ho vissuta in prima persona in quanto mia figlia minore, da piccola, aveva paura delle bambole che parlavano o camminavano.

Ho scritto in questo blog alcuni articoli sulle bambole, per cui mi sembra appropriato citare questa patologia.  

Vi sono molte teorie che psicologi e pedagogisti hanno elaborato in merito. Questa patologia può essere vissuta fino all’età adulta. Pur capendo che è infondata nel tempo chi ne soffre non riesce a superarla e, come per quasi tutte le fobie, se si vuole liberarsene bisogna trattarla con mezzi di esposizione graduale, usando una serie di bambole fino ad arrivare a quelle che impauriscono maggiormente il paziente.

Coloro che soffrono di pediofobia, i pediofobici, hanno delle reazioni alla vista delle bambole, che possono comprendere:

– battito accelerato;

– respirazione accelerata;

– secchezza delle fauci;

– tremori e brividi;

– rimanere paralizzati dallo spavento;

– urla e pianti;

– cercare di fuggire.

Un addetto del Pollock’s Toy Museum di Londra, un piccolo museo che espone giocattoli d’epoca, ha confessato che alcuni visitatori preferiscono fare a ritroso tutto il percorso di visita e uscire dall’ingresso piuttosto che affrontare la sala in prossimità dell’uscita, quella che espone decine di bambole, da rarità con i volti di cera a dame di porcellana in abiti vittoriani.
Tratto da:

https://www.focus.it/comportamento/psicologia/perche-le-bambole-possono-fare-paura

Filastrocca: la vita nel laghetto

Nel mio giardino
c’è un laghetto,
non è tanto grande
ma è perfetto.

Ci sono rane
e anche girini
ed è la gioia
di tutti i bambini.

Se guardi dentro
ci sono tante foglie
con sopra le rane
e l’acqua le accoglie

Si tuffano sempre,
è un trampolino
e il loro ‘splash’
fa sussultare il bambino.

I fiori nell’acqua
sono ondeggiati
basta un poco di vento
per vederli spostati.

Non hanno una sede,
non sono ancorati,
si mischian tra loro
son molto fortunati.

E se la sera
ti fermi a guardare
è tutto più calmo
e ti ci puoi specchiare.

Sol le libellule
librano sopra,
dai colori brillanti,
verde, blu o rosa.

Racconti di un apprendista sciamano

Alcuni anni fa ho letto con molto interesse questo libro dal titolo “Racconti di un apprendista sciamano” di Mark Plotkin.

In quel periodo ero la titolare di un Vivaio di piante tropicali ed ero alla continua ricerca di notizie che potessero ampliare le mie conoscenze verso questo mondo meraviglioso.

L’autore del libro,  scritto come un diario giornaliero, ha percorso decine di chilometri con gli Sciamani Yanomano, essendo un appassionato della foresta amazzonica. Si è interessato sia alle piante che agli animali che vi vivevano, ma il suo studio-ricerca era soprattutto rivolto verso la conoscenze, con conseguente approfondimento, dei poteri delle sostanze prodotte da alcune piante.  

Egli scrive: “Avevo seguito il vecchio sciamano per tre giorni nella giungla e nel corso della nostra lunga camminata s’era sviluppato fra noi un rapporto enigmatico. L’uomo medicina era ovviamente offeso del mio desiderio d’imparare i segreti delle piante della foresta che lui conosceva e usava per curare. Tuttavia pareva contento che io fossi venuto da una terra così lontana, mi chiamava l’alieno, per apprendere gli insegnamenti botanici che i giovani della sua tribù non erano più interessati ad imparare”.

Tra lui e il vecchio sciamano con il tempo si è poi instaurato un rapporto di amicizia.

Da questo libro ho imparato nomi nuovi, ho seguito passo per passo, con la fantasia, il percorso fatto da questa persona eccezionale, ho imparato che quello che il mondo moderno sa non è nulla in confronto a quello che viene custodito da questi popoli che dedicano la loro esistenza esclusivamente alla sopravvivenza in una terra piena di insidie ma ricca di elementi naturali e solo la loro grande capacità di saperli utilizzare li porta ad essere Medici, Botanici, Chimici, esclusivamente per il loro popolo.

“Quando un occidentale guarda la giungla, vede il verde: erbe, liane, cespugli, alberi. Quando un indio guarda la giungla, vede le cose fondamentali per l’esistenza: cibo, medicamenti e materie prime per costruire un riparo, intrecciare amache e intagliare archi da caccia”.

Gypsy Blanchard e la sindrome di Münchhausen per procura

Quando ho visto questo film-documentario sono rimasta allibita al solo pensiero che una madre possa essere riuscita  a fare tutto questo.

Sono rimasta sconcertata ma poi è prevalso il buon senso e mi sono detta che purtroppo molte malattie degenerano in atrocità.

Di casi legati alla sindrome di Münchhausen per procura se ne è sempre sentito parlare e di solito non c’è mai un lieto fine per i bambini che le subiscono ma in questo specifico caso è successo proprio il contrario.

Vorrei quindi raccontare in questo articolo la storia di Gypsy Blanchard. Non importa, secondo me, l’epilogo di questa storia e lo cito solo per conoscenza, ma l’infanzia di questa giovane donna che non potrà mai più recuperare  e dimenticare.

Gypsy Blanchard nasce a Chackbay, Louisiana (U.S.A) , nel Luglio del 1991. La mamma, Dee Dee ha 24 anni mentre il papà, Rod ne ha 17.. Poco dopo la nascita il papà lascia la moglie, così il nucleo familiare si restringe e rimangono a vivere insieme Dee Dee e Gipsy, che si spostano a casa dei parenti della madre.

I primi problemi iniziano quando Gypsy comincia a soffrire di apnee notturne, e per questo viene portata spesso in ospedale, dove viene monitorata durante la notte con appositi macchinari.

All’età di 7 anni Gypsy, dopo una caduta sulla motocicletta del nonno, viene portata in ospedale per farsi medicare la ferita sul ginocchio. Al suo ritorno però la madre afferma che le lesioni riportate dalla figlia necessitano di diverse operazioni chirurgiche, e per questo la mette su una sedia a rotelle.

Le cose continuano a complicarsi ulteriormente quando all’età di 8 anni le vengono diagnosticate distrofia muscolare e leucemia. La madre in seguito dichiarerà che la figlia soffre anche di ritardo mentale.

Di lì a poco la povera Gipsy avrebbe iniziato a manifestare una serie di gravi patologie, che non le avrebbero più permesso di giocare, camminare, andare a scuola, vivere un’infanzia e un’adolescenza normali, avere degli amici e un fidanzatino. Leucemia, asma, distrofia muscolare, allergie alimentari, danni cerebrali che la fanno rimanere ad un livello cognitivo infantile, necessità di nutrirsi attraverso una sonda gastrica.

La sua storia comincia a circolare e poco tempo dopo vengono organizzate raccolte fondi per aiutare la madre a permettersi le cure per la bambina. Gypsy viene sottoposta a molte operazioni chirurgiche, durante una delle quali le vengono tolte le ghiandole salivari. In seguito i suoi denti cominciano a deteriorarsi e per questo gli vengono estratti. La notte è costretta a dormire con un respiratore artificiale.

Per più di 10 anni, Gypsy si sposta su una sedia a rotelle e ha subito diversi trattamenti medici accompagnata da sua madre. Dee Dee era ammirata e considerata una madre esemplare da medici e familiari.

La madre aveva tessuto una tela capace di ingannare molte persone, arrivando persino a somministrare alla figlia delle sostanze che simulassero i sintomi delle varie patologie.

Magra, emaciata, senza denti e senza capelli, con dei grandi occhiali da vista, Gypsy Rose ha una voglia di vivere pazzesca. È allegra e socievole e la comunità la aiuta sempre con i suoi trattamenti o regalandole viaggi a Disneyland per rendere i suoi ultimi anni di vita i migliori possibile.

Nel 2005 Dee Dee dichiara di aver perso la propria abitazione a seguito dell’uragano Katrina, perciò vengono aiutate da un’associazione che regala a mamma e figlia una casa nel Missouri.

Qualcosa però non convince i dottori del Missouri, i quali avevano fatto richiesta a Dee Dee dei referti medici della bambina. La donna riferisce di non poterli mostrare perché sono andati persi in seguito all’uragano.

Il sospetto comincia a farsi spazio tra i medici e sarà il preludio di una verità sconcertante.

L’epilogo di questa storia è travolgente: Gypsy Blanchard, insieme al fidanzato Nicholas Godejohn, conosciuto online, uccidono Clauddine “Dee Dee” Blanchard. È il 14 Giugno 2015.

Dopo anni di soprusi, la giovane donna è riuscita ribellarsi, a tornare a vivere e, secondo lei, l’unico mezzo per poterlo fare era eliminare chi non le permetteva questo.

Il giorno seguente verranno ritrovati nella casa di Nicholas, la loro storia d’amore si conclude così.

Nel processo contro il fidanzato Gypsy Blanchard ha voluto testimoniare in sua difesa, ripercorrendo quanto le aveva fatto sua madre e spiegando che l’idea di ucciderla era stata sua.

Le rivelazioni di Gypsy sono sconvolgenti. In realtà lei non ha mai sofferto di nessuno dei disturbi che sono stati dichiarati dalla madre. Nessuna apnea notturna, né disabilità fisiche o mentali. Il suo corpo era perfettamente sano.

Nicholas Godejohn viene condannato all’ergastolo. Gypsy Rose viene invece condannata a 10 anni di carcere per omicidio di secondo grado, concedendole le attenuanti per quello che aveva dovuto subire.

Successivi accertamenti dimostreranno che Dee Dee Blanchard soffriva della Sindrome di Münchhausen per procura, (per procura” perché il paziente inventa la sintomatologia di qualcun altro). Si tratta di un disturbo mentale che porta un genitore (principalmente la madre) a far credere che il proprio figlio abbia delle patologie, allo scopo di guadagnarsi la solidarietà delle persone.

Il nome di questa sindrome deriva da un personaggio effettivamente esistito, per l´appunto il barone di Münchhausen, che visse in Germania nel XIX secolo ed era noto per i suoi racconti estremamente fantasiosi e avvincenti, ma soprattutto umoristici.

Tratto da:

https://www.fanpage.it/esteri/costretta-a-fingersi-disabile-chiede-al-fidanzato-di-uccidere-la-madre-la-storia-di-gypsy/

https://auralcrave.com/2020/07/08/the-act-la-terribile-storia-vera-di-gypsy-rose-e-della-madre-dee-dee/

Iniziativa filastrocche

Anche questo mese, Giugno, c’è stata la collaborazione tra il mio blog e il forum Graficamia, riguardo le filastrocche.

La vincitrice di questo mese è Lorette,  con il lavoro abbinato alla filastrocca:

La soddisfazione di una nonna

“Nonna ma oggi cos’hai?
Sei proprio strana, lo sai?
Vai avanti e indietro in giardino
e parli con un uccellino.

Mi sembri di buonumore
ma mi si stringe il cuore,
quello che fai non ha senso,
anzi, mi lascia sgomento!

Poi ti rivolgi a un topino
e gli dici che ha un bel visino.
E alzi gli occhi al creato
con uno sguardo beato.”

Tu noti il mio turbamento,
mi abbracci e in un momento
io ho capito ogni cosa,
per te la vita è gioiosa.

Sei grata di quello che hai,
null’altro ti interessa ormai,
dalla vita hai avuto e hai dato
e il tuo cuore ora è appagato”.

Iniziativa filastrocche

Anche nel mese di Maggio c’è stata la collaborazione con il forum Graficamia per quanto concerne le filastrocche.

Questo mese, come è già successo altre volte, i lavori vincenti sono due, quello di Lorette e di Paola, a pari merito, abbinati alla filastrocca:

È forte il mio papà

Il mio papà è tanto bello
e porta sempre un fiore all’occhiello,
dice sempre alla mia mamma
che lei è stata la sua prima fiamma.

Io non lo so che cosa vuol dire
ma questa frase la fa impazzire,
allora lo copre di mille bacetti:
i miei genitori sono perfetti!

Dorme vicino alla mia mamma,
mi sa che il buio lo attanaglia,
quasi quasi gli do il pupazzetto
che è da sempre con me nel letto.

Ma ho paura che ci rimanga male
per tutti forte deve sembrare,
in vacanza dice che è un lupo di mare
ma se non sa nemmeno nuotare…

Ma nonostante queste paure
la sua presenza ci rende sicure,
con lui vicino ci sentiamo protette
e ci sentiamo due reginette.


La sposa del mare

Mi appassiono molto a quelle persone che riescono ad ottenere dalla loro vita quello che vogliono. Tante volte i nostri nonni o i nostri genitori avevano un sogno nel cassetto, ma per tanti motivi non hanno potuto realizzarlo. Che fosse un lavoro o un obiettivo diverso non importa.

Molti hanno dovuto ripiegare sul lavoro dei genitori, che questo consistesse nel portare avanti una attività commerciale o lavorativa in genere. Riguardo agli hobby se le risorse  economiche non lo permettevano rimanevano sogni nel cassetto.
E tu vivevi con stretto al cuore il tuo sogno. Magari facevi anche un lavoro che non ti appassionava e quindi ti adattavi a quella situazione perché non potevi fare altro.

Poi i tempi sono cambiati e, se volevi, potevi sceglierti il tipo di lavoro o di studio. E la vita così migliorava.

Negli ultimi decenni siamo ritornati indietro, ti potevi scegliere il tuo percorso di studio ma che poi, per la maggior parte, non lo portavi avanti come obiettivo futuro per carenza di posti vacanti.

Perché ho scritto questo articolo? E riprendo il discorso iniziale: mi appassiono molto a quelle persone che riescono ad ottenere dalla loro vita quello che vogliono.

E voglio scrivere di una donna soprannominata La sposa del mare. Il suo nome è Anna Maria Verzino, di Casalbordino Lido (Chieti) e fa la pescatrice.

Ha iniziato la sua attività ad appena 5 anni, accompagnando il padre Donato a pescare con la barca. Verso i 30 anni, convinta pienamente che quello sarebbe stato il suo lavoro ha ottenuto la licenza di pesca, perché era stata approvata la legge sulla parità dei sessi. L’ha ottenuta dopo aver superato le prove di abilità, quali il nuoto e gli esami.

Lei, unica donna in mezzo a tutti maschi.

Il lavoro del pescatore, come ben sappiamo, è molto impegnativo, sia se sei costretto a stare  fuori con la tua barca tutta la notte sia se esci solo per piazzare le nasse e le recuperi il mattino. Anna Maria faceva così, le ritirava al mattino.
E, come fanno tutti i pescatori, vendeva il pesce sulla spiaggia. A quei tempi era inusuale che questo lo facesse una donna.

Anna Maria è una donna schiva che non ama farsi fotografare e parlare di sé, ama la vita e ama soprattutto il lavoro che si è scelta. Non per necessità o per seguire le orme del padre ma perché il mare l’aveva dentro di sé, il mare era il suo mondo.
La mamma voleva che diventasse sarta ma lei rifiutò perché voleva diventare una pescatrice. E non si è mai pentita di questa scelta.
Nutrì un grande amore per Gloria, la sua prima barca e le altre che le succedettero ebbero sempre lo stesso nome.

«Quando cucino metto il gas molto basso sotto la pentola, così posso uscire sul balcone e guardare il mare». Meglio di questo concetto per definirla non esiste.
“Il mare per me è il mio mare. Gli voglio bene come se fosse una persona. È stata la mia vita intera”.

A ottantaquattro anni Anna Maria ancora affronta il mare, alcune volte con il fratello Bruno, spesso in solitaria avventura, in cerca non tanto di economie con cui contribuire alla vita familiare, ma, oggi più che in passato, alla ricerca di quell’appagamento esistenziale che ha caratterizzato tutta la sua vita. Un’esistenza che si riverbera sul suo volto intenso, plasmato dalla salsedine e ambrato dal sole dove il suo sguardo cristallino diviene ancor più luminoso, reso vivace dalla gioia di condurre una vita amata.

La sua vita l’ha vissuta pienamente, aneddoti da raccontare ne avrebbe tanti ma fanno parte solo del suo mondo.

E, con i suoi occhi azzurro ghiaccio,  scruta il mare, questo suo grande amico che non l’ha mai tradita.Tratto da:
https://d.repubblica.it/attualita/2016/05/18/foto/fotografia_pescatrice_centenaria_abruzzo_la_sposa_del_mare_annalisa_marchionna-3090884/1/

https://d.repubblica.it/attualita/2016/05/18/foto/fotografia_pescatrice_centenaria_abruzzo_la_sposa_del_mare_annalisa_marchionna-3090884/1/

La storia dell’orsetto Teddy

Sono mesi che avrei voluto scrivere un articolo sull’orsetto di peluche maggiormente conosciuto e ho sempre rimandato ma, secondo me, adesso è il momento giusto. Vi chiederete il perché?

In questo periodo credo che i Teddy di tutto il mondo abbiano passato molto più tempo in braccio ai loro amati “amici”.

Non c’è stata solo più la compagnia notturna ma in più occasioni hanno avuto il contatto fisico anche durante queste giornate solitarie. Sono stati non solo i loro compagni di giochi, di tranquillità, di amicizia, ma gli unici amici che potevano incontrare e stringere in un caloroso abbraccio. 

Inoltre l’identica necessità, legata all’orsetto Teddy, è già accaduta durante il periodo della seconda guerra mondiale. 

Molti bambini soffrirono il trauma della evacuazione dalle loro case e furono confortati solo dalla compagnia dei loro orsacchiotti.

E quindi racconto la vera storia di Teddy Bear.

Il nome Teddy Bear deriva da un episodio accaduto al Presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt, soprannominato “Teddy”, che come passatempo andava a caccia grossa.

Nel 1902, durante una battuta di caccia all’orso lungo il fiume Mississippi. A un certo punto i suoi assistenti catturarono un cucciolo di orso bruno, lo legarono a un albero ed esortarono il Presidente a sparargli per poi portare a casa il suo trofeo.

Alla vista dell’animale ferito e immobilizzato, però, Roosvelt si indignò, dicendo che sparare a un orso in quelle condizioni non sarebbe stato sportivo e si rifiutò di ucciderlo.

La scelta di Roosevelt fu particolarmente apprezzata perché in quella battuta di caccia (come pare accadesse spesso al presidente) lui non riuscì poi ad abbattere nessun orso, tornandosene a casa senza alcun trofeo.

La notizia fece impazzire la stampa, che la diffuse ribattezzando l’orso Teddy Bear.

Il giorno successivo il disegnatore satirico Clifford K. Berryman pubblicò sulla prima pagina del Washington Post una vignetta che mostrava Roosevelt nell’atto di volgere le spalle all’orsetto legato con un gesto di rifiuto.

I lettori si innamorarono dell’orsetto della vignetta, e in seguito Berryman inserì immagini di orsetti in molti dei suoi disegni. Gradualmente, gli orsetti di Berryman divennero sempre più “piccoli, rotondi e carini”, contribuendo a creare lo stereotipo dell’orsacchiotto. Il record di vendite spronò i coniugi a fondare la società Ideal Novelty and Toy Company, un vero e proprio regno degli orsacchiotti.

Roosevelt scrisse a Berryman dicendo “abbiamo trovato tutti molto gradevoli i suoi disegni di orsetti”.

Sull’onda della popolarità di “Teddy Bear” e degli orsetti di Berryman, il 15 febbraio del 1903 Moris Michtom e sua moglie Rose misero in vetrina due orsetti di pezza nel loro negozio di Brooklyn, con il cartello “Teddy’s bears”, previo permesso scritto del presidente di usare quel nome. Il successo fu tale che in seguito i coniugi fondarono una società specializzata nella produzione di orsacchiotti, la Ideal Toy Company.

Nello stesso periodo, Margaret Steiff, proprietaria di una fabbrica di giocattoli in Germania iniziò a commercializzare orsacchiotti. Alla Fiera del Giocattolo di Lipsia, la Steiff vendette 3000 esemplari a un importatore americano. Ancora oggi, la Steiff produce “Teddy Bear” per l’esportazione in tutto il mondo.

Nel mondo dei giocattoli, nessun animale si è mai guadagnato una posizione così in vista come l’orsacchiotto.

E’ lui il pupazzo del cuore, quello che non si butta mai.

Ci sono persone che conservano il loro orso per tutta la vita. Il giocattolo diventa parte integrante della famiglia, fa la stessa vita del proprietario: mangia, dorme e va in vacanza con lui.

All’orsetto sono state dedicate favole in cui è rappresentato come simbolo di virtù.

Dal celeberrimo Winnie-the-Pooh a Paddington e l’orsetto è sempre il più onesto, coraggioso, leale e gentile.

Nel periodo della seconda guerra mondiale la costruzione di giocattoli fu razionata perchè i materiali con cui i teddy venivano costruiti servivano a scopi bellici.

Al giorno d’oggi orsacchiotti storici, vecchi di parecchi anni, sono venduti alle più importanti aste internazionali, da Christie’s a Sotheby’s, a prezzi esorbitanti, come se fossero quadri di importanti pittori.

La prima vignetta di Clifford K. Berryman

Tratto da:
https://www.hobbydonna.it/hobby/53-teddy-bear/536-la-storia-dei-teddy-bears

https://www.luukmagazine.com/teddy-bear-storia-dell-orsacchiotto-piu-famoso-del-mondo/

https://it.wikipedia.org/wiki/Orsacchiotto

Iniziativa filastrocche

Eccoci giunti al mese di Aprile delle filastrocche con la collaborazione del forum Graficamia.

La vincitrice è Annamaria con il lavoro abbinato alla filastrocca:

Maggio

Eccoci a Maggio, il mese del sole,
di verdi prati per far capriole.
I fiori sono di tanti colori,
per tutti i gusti e tutti i cuori.
Il vento intenso fa dondolare

le fronde degli alberi, lo senti arrivare…
I nidi sui rami stan quasi cadendo
mentre le uova si stanno schiudendo.
La primavera è proprio strana,
un po’ caldo e freddo nella stessa settimana.
Se c’è il sole si sta bene fuori
ma con le nuvole mettiamo i maglioni.
Se poi piove è tutto un pantano,
le rane nei fossi si danno la mano.
Si danno la mano per far un girotondo,
per loro la pioggia è la fine del mondo!
Ma adesso che vi ho parecchio annoiata
con una filastrocca non proprio azzeccata,
auguro a tutti una bella giornata.
Col sole o con il vento la primavera è arrivata!

Filastrocca: i semi delle virtù

Sono piccina ma tanto carina,
forse il visino ho da furbina,
ma sono brava con gli altri bambini,
so farmi amare per averli vicini.

Ogni mattino vado a vangare,
molte cose ho da seminare,
in un lungo solco metto la Speranza,
ma non credo che ce ne sia abbastanza.

Nel solco vicino vorrei l’Amore,
quella bella virtù che ti riempie il cuore,
di questi semi ne ho abbastanza
e ogni anno me ne avanza.

L’ultima cosa che vorrei seminare
si chiama Gioia, il lasciarsi andare:
un caldo abbraccio, un bacino fraterno,
con tutto questo il mondo è più bello.

Ora annaffio tutto per benino,
fra poco tempo spunterà un piantino,
e poi un altro e un altro ancora…
Che bella cosa, non vedo l’ora!

Séraphine Louis de Senlins

Ho finito di leggere da poco tempo un libro sulla vita della scultrice francese Camille Claudel che ho trovato angosciante, al punto tale da non riuscire nemmeno a leggerlo tutto. Non aggiungo particolari del perché ma le motivazioni sono tante.

Ebbene, ecco che senza volere mi imbatto di nuovo in un  caso simile. Questa volta si tratta della pittrice Séraphine Louis de Senlins che come storia si avvicina molto a quella di Camille. Sembrerebbe di leggere la favola di Cenerentola ma questa è una storia vera.

Di lei, come donna e come artista se n’è sempre parlato poco, fino al 2008, in seguito al film di Martin Provost, Seraphine. Il film ha trionfato ai Premi César 2009, con sette premi vinti, fra cui quello per il miglior film e miglior attrice a Yolande Moreau.

Séraphine Louis de Senlins (1864-1942) nasce in francia, ad Arsy, da una famiglia di pastori. Dopo la morte prematura della mamma inizia a lavorare come domestica in un convento, ma se all’inizio credeva che quel mondo fosse il suo ben presto capisce che la sua strada, il suo futuro è fuori, nel mondo.

Continua ad essere una credente devota e, uscita dal convento, la donna inizia a dipingere all’età di quarantadue anni, di sera, alla luce di una piccola lampada a olio, stendendo fogli, tele o pannelli per terra. Dipinge e prega. Recuperava tele e colori come meglio poteva, spesso rinunciando a qualche razione di cibo. Secondo quanto lei raccontava, ad indirizzarla verso la pittura sarebbe stato un angelo o la Madonna.  

I soggetti dei  suoi quadri sono tappeti di fiori, quei fiori che la mamma adorava, tanto che la figlia arrivò a divinizzarla, trasformandola in una Santa.  Per questo non sono semplici decorazioni, ma si distendono sul supporto con una notevole forza espressiva, come percorsi da una semplice, violenta bellezza. i suoi fiori scrutano lo spettatore, come fossero occhi e l’intensa carica onirica e mistica, sottesa a quella produzione. Un costante ritorno ai prati fioriti della madre.

Continuando a lavorare a ore come cameriera per diverse famiglie per mantenersi, ha occasione di lavorare anche per William Uhde, nel 1912, collezionista e critico d’arte. Ma dal carattere riservato Séraphine non parla mai della sua passione.

Ma un giorno William Uhde recandosi  nella casa del vicino nota, appesa tra gli altri quadri, una natura morta, raffigurante delle mele, che colpisce immediatamente la sua fantasia. Un volta appreso che il quadro è stato creato dalla cameriera di entrambi per il critico è una piacevole scoperta. Superato un primo momento di stupore e resosi conto delle potenzialità dell’autrice, decide di comprarle tele e colori, così da favorire l’emergere di un’arte a suo giudizio ricca di immaginazione.

Fu da allora, dalla veneranda età di 48 anni, che Séraphine Louis vide riconoscersi una sorta di talento di stampo naif; un talento che si esplicava però soltanto nell’incondizionata rappresentazione di fiori, piante e vegetazione e che esulava da qualunque altro stampo iconografico.

Ma la carriera della fragile pittrice crollò di lì a poco. La Grande Depressione  del 1929 trascinò  nel baratro gli investimenti di Uhde tanto da farlo quasi fallire come mercante d’arte e curatore di mostre. Non ebbe più la possibilità di acquistare  i quadri e anche gli altri scarsi clienti spariscono. Séraphine  dal canto suo ha sempre usato i proventi della vendita dei dipinti per spese ritenute dissennate, per acquistare oggetti completamente inutili.

Sempre più insicura ed instabile, nel 1931, viene rinchiusa in un manicomio, dove le viene diagnosticata una forma di psicosi cronica con manie di grandezza.

Ma la fortuna critica di Seraphine Louis de Senlis, continuò a coinvolgerla anche quando la sua psiche l’aveva già abbandonata.

Uhde nel frattempo non si lasciò vincere dall’ abbandono della sua artista di punta: il mercante espose le sue opere nel 1932, alla mostra “The Modern Primitives” di Parigi; ancora nel 1937-38 in una mostra dal titolo “The Popular Masters of Reality”, che si tenne in diverse fasi a Parigi, Zurigo ed al MoMA di New York; nel 1942  presso i “Primitivi del secolo ventesimo” in mostra a Parigi, e infine, nel 1945, in una mostra personale delle sue opere sempre nella capitale francese

Seraphine Louis de Senlis invece, abbandonata dal mondo e lasciata macerare a se stessa morirà di stenti e fame all’età di 68 anni, in una Casa di cura a Villers-sous-Erquery, che a ridosso della seconda guerra mondiale, non poteva più garantire una vita dignitosa ai malati che ospitava.

Le su ultime parole furono: “Ho fame!”.

Tratto da:
https://www.stilearte.it/la-favola-di-seraphine-louis-da-cameriera-ad-artista-naif/

http://svirgolettate.blogspot.com/2013/08/seraphine-louis-de-senlis-il-genio-e-la.html

Sono uscito dal tunnel: lettera di un nonno

Questa è una storia inventata e ogni riferimento è casuale. 

“Nonno, mi racconti una storia?” 

“Piccola mia, ti voglio raccontare cosa ho provato ai tempi del Coronavirus.

Vivevo felice con tua nonna, qualche acciacco aveva iniziato a farsi sentire ma sapevo che era dovuto all’età per cui ci convivevo bene. All’improvviso le notizie alla televisione e sui quotidiani sono diventate allarmanti, parlavano di un virus che aveva iniziato ad infettare alcune persone e che bisognava stare molto attenti a non farsi contagiare. 

La notizia non mi preoccupò più di tanto, ne avevo sopportate di cose nella mia lunga vita e di conseguenza non ebbi nessuna reazione in merito. Ero sfuggito alla guerra, alla fame, a varie epidemie per cui questa era solo una esperienza negativa che si aggiungeva alle altre.

Dopo qualche giorno iniziai ad accusa malessere, febbre, tosse e pensai che mi fossi preso l’influenza, anche se avevo fatto, come tutti gli anni, il vaccino. Ma in poco tempo le cose peggiorarono, non riuscivo a respirare, ansimavo come se avessi 5 hm di corsa.

E da lì il buio completo! Capivo perfettamente di non essere più a casa, il letto non era lo stesso, i rumori, gli odori, le voci facevano parte di un mondo che non mi apparteneva. 

Dormivo quasi tutto il giorno e quando ero sveglio il mio respiro era affannoso. Mi sembrava di essere un palombaro e di avere uno scafandro che mi permetteva di respirare sott’acqua. Ma non sentivo la presenza di quest’ultima. Oppure ero su un aereo da caccia e avevo il casco in testa.

Ma non aveva senso. Stavo delirando?

I miei momenti di lucidità erano pochi e fonte di molta immaginazione. Forse mi trovavo in un altro pianeta. Forse ero morto. 

Ero molto triste perché non riuscivo a dare una risposta alle innumerevoli domande che mi ponevo. 

Ogni tanto delle mani toccavano il mio corpo inerme, mi sentivo fluttuare da una parte all’altra, vedevo roteare tutto attorno senza che io avessi contribuito a farlo. 

E le mani accarezzavano il mio volto, giravano il mio corpo e non ne capivo il motivo. Sentivo molto frastuono e mi chiedevo il perché, più voci riempivano il silenzio, voci sommesse e sconosciute. E continuavo a farmi mille domande. 

Cercavo con molto sforzo di aprire gli occhi e quando ci riuscivo intravedevo delle immagini offuscate. Nessun volto conosciuto, né la nonna e nemmeno i miei adorati figli. Possibile che mi avessero abbandonato in mezzo a degli estranei?

Ma ricordo perfettamente quelle mani che con sicurezza e delicatezza toccavano il mio corpo. Ricordo i volti che intravedevo sotto a delle ridicole maschere e sorrisi che brillavano sotto di essere. Ricordo però anche gli sguardi stanchi, persi, tristi. Lo sguardo di chi non dorme da giorni. 

E dopo tutto questo sforzo per capire ripiombavo di nuovo in un sonno agitato. 

A volte pensavo che non vi avrei più rivisto e questo mi faceva stare male. Ma ero in buona compagnia, sapevo che questi Angeli che avevo attorno avrebbero detto una preghiera per me. Ne ero certo!

E invece, inaspettatamente, dopo vari giorni di sofferenza sono ritornato alla vita e ho scoperto la realtà. Poco per volta sono riuscito a respirare da solo. 

Sono giunto a casa, sono sfuggito alla morte anche se è stata una lunga sofferenza. Mi hanno tutti voluto bene e hanno combattuto insieme a me la mia battaglia. E ci sono riuscito, anzi, ci siamo riusciti!

La vita ora è diversa, soffro per coloro che non ce l’hanno fatta ma so che hanno lasciato questo mondo con dignità e rispetto. E che soprattutto non erano soli!


Iniziativa filastrocche

Continua il rapporto con il forum Graficamia per quanto concerne le filastrocche. 

Anche questo mese la vincitrice è Paola con il lavoro abbinato alla filastrocca:

L’uccellino sfortunato

C’era una volta un cagnolino
faceva la pappa nel suo giardino,
in una scodella tutta dorata,
anche se era un poco ammaccata.

Passa di lì un uccellino
e vede il cibo nel scodellino.
Ha fame e freddo quindi ci sta,
mangiare un poco di quella bontà.

Esso si posa pianin pianino
vicino al cibo, ma, poverino,
arriva il cane molto arrabbiato,
lo manda via, rassegnato.

E l’uccellino ci pensa un pochino
e adocchia ben bene quel bocconcino,
ma non ne vale proprio la pena,
morire per una scodella piena.

Ora non resta altro da fare
e piano piano rinizia a volare…

Filastrocca:la topina a tre zampe

C’era una topina molto piccina,
senza una zampa, poverina.
Un giorno sul fuoco si era scottata
e il Gufo dottore gliel’aveva tagliata!

Per la topina non era importante
sulle tre zampe andava alla grande,
saltava sempre di qua e di là
ed ogni cosa riusciva a far.

Ma un giorno incontrò un topolino,
era proprio macho, molto carino.
Alla topina piaceva assai
e pensò “Un bel giorno mi sposerai”.

Si fece avanti il bel topolino,
la guardò negli occhi, le venne vicino,
aveva notato che era impacciata
e così d’impulso l’aveva abbracciata.

Dopo tre mesi si unirono a nozze
e arrivarono su due carrozze,
lei era vestita a puntino,
un abito lungo le copriva il bustino.

Ebbero tanti bei topolini,
la loro gioia non ebbe confini,
non importava quel che a lei mancava,
per lui era bella, anche quando camminava.

Madame Alexandre e le bambole

Già altre volte ho citato alcune collezione di bambole e questi articoli sono stati visitati più volte per cui anche oggi vorrei scrivere qualcosa su questo argomento.

Vorrei con questo sottolineare che l’articolo di maggior interesse è stato l’articolo sulle bambole Gorjuss, questo dovuto anche alla storia personale della sua creatrice, Suzanne Walcott.

Anche la storia di Madame Alexandre è importante in quanto era ebrea. Ella ha rivoluzionato l’arte del design delle bambole.

Bertha Alexander, nota come Madame Alexander, è nata a New York il 9 Marzo 1895. I suoi genitori erano austriaci e la madre si risposò, alla morte del padre, con Maurice Alexander che lei, piccolissima, considerava il suo vero padre.

Maurice aprì quello che sarebbe diventato il primo ospedale per bambole degli Stati Uniti sotto la casa d’infanzia di Beatrice a Brooklyn, New York, l’Alexander Doll Hospital . L’officina di riparazione di bambole vendeva e riparava bambole importate dall’Europa e alla fine guadagnò abbastanza popolarità tra i residenti della città da avere un flusso costante di clienti dai suoi poveri vicini di classe inferiore alla ricca classe superiore dai quartieri limitrofi.

Fu questa educazione, essere in un negozio di bambole, vedere suo padre e quelli che lo circondavano lavorare per riportare la bellezza a qualcosa di rotto e vederlo essere qualcosa che attraversava le linee di classe, che gettò le basi per Beatrice per diventare uno dei primi successi d’America imprenditrici.

Bertha, “ribattezzata Beatrice” all’età di 20 anni, ha realizzato la sua prima bambola durante la prima guerra mondiale. A causa di questa le bambole di porcellana non erano più disponibili e l’ospedale delle bambole di Maurice era su basi precarie. Alexander ha suggerito di creare una bambola di stoffa da infermiera con croce rossa, fatte di stracci, che pubblicizzavano dalla parte americana . La bambola dell’infermiera della Croce Rossa è stata un successo tra i clienti. Questa idea ha salvato la famiglia dalla fame.

Lei e le sue sorelle hanno cucito una varietà di queste bambole da vendere all’ospedale delle bambole, salvando così il sostentamento della famiglia e continuarono a produrre bambole di stoffa anche dopo la fine della guerra.

Ciò che distingue maggiormente le sue bambole è stato quanto fossero elegantemente ben vestite e quanto fossero innovativi i loro capi. Secondo varie fonti, Madame Alexander ha trascorso lunghe ore della sua giornata a disegnare abiti, cappotti e accessori per le sue opere d’arte. Fu un tale successo che iniziò a vendere abbigliamento per bambini e vinse numerosi concorsi di moda e riconoscimenti internazionali come quattro medaglie d’oro della Fashion Academy.

Nel 1923 fondò, insieme alle sorelle e al marito  la Alexander Doll Company.

Beatrice Alexander è nota per aver creato collezioni di bambole basate su personaggi e personaggi famosi in libri, film, musica e arte. Ha ristampato la bambola di stoffa di Alice nel paese delle meraviglie, Mary Poppins, le bambole di piccole Donne, le Sorelle Dionne…Ha anche ottenuto i marchi per produrre bambole replicando personaggi famosi.

Nel 1936, la rivista Fortune elencò la Alexander Doll Company come una delle prime tre case produttrici di bambole negli Stati Uniti; la società diventerà il più grande produttore di bambole del paese.

Sebbene i successi di Alexander la portarono lontano dal mondo immigrato della sua infanzia, non perse mai di vista quei meno fortunati di lei. Ha donato ingenti somme a organizzazioni ebraiche e non ebree in Israele e negli Stati Uniti, ed è stata una sionista impegnata per tutta la vita. Beatrice Alexander ha dimostrato al mondo in generale ciò che una donna con unità, creatività, ambizione e cuore benevolo potrebbe realizzare.

Nel 1947 iniziò a produrre bambole in plastica dura, e negli anni ’60 si dedicò alla plastica in vinile, che rese l’aspetto più realistico. [8] Ha introdotto “occhi con ciglia chiuse e dita con nocche” e capelli radicati che potevano essere modellati. Ha studiato abiti storici e culturali per realizzare abiti per bambole accuratamente dettagliati e ha insistito su una lavorazione di qualità. I materiali usati per vestire le bambole erano fatti di “sete, velluti, raso e altri tessuti pregiati”.

Questa è la storia di “Madame Alexander”, la proprietaria della Alexander Doll Company , che è riuscita a innovare nel campo delle bambole come nessuno aveva mai fatto prima.

Ebbe due figli ma il secondo mori durante la pandemia di influenza nel 1918. La prima figlia, Mildred, insieme al marito e poi anche al figlio, erano attivi nella Alexander Doll Company.

Madame Alexander è morta nel sonno nella sua casa di Palm Beach, in Florida , il 3 ottobre 1990, all’età di 95 anni.


Tratto da:

https://dollyconfessions.com/2019/09/08/madame-beatrice-alexander-a-brief-history/

https://en.wikipedia.org/wiki/Beatrice_Alexander

https://www.enlacejudio.com/2017/04/19/madame-alexander-la-mujer-judia-que-revoluciono-el-arte-de-disenar-munecas/

Filastrocca: mi chiamo Coronavirus

“Nonna mi devi spiegare
perché non posso incontrare
gli amici con cui giocare
e a scuola non posso più andare.
La mamma mi ha raccontato
che un parassita è arrivato,
forse è un insetto regale
il nome non so ricordare.”
La nonna le prende il visino
ma solo per un momentino,
sa che non le può abbracciare
e che lontan deve stare.
La bimba continua a parlare
“A scuola io voglio andare…”
“E invece all’asilo io no,
sto a casa se ancora si può!”
La nonna lor fa un sorrisino
vorrebbe tenerle vicino
ma ancora non lo si può fare
ma un bacio nell’aria può inviare.
E quando sarà finito
allora avremo capito
che i baci, gli abbracci, il calore
fan bene e ci allargano il cuore.

Iniziativa filastrocche

Anche questo mese sono continuate le collaborazioni con il forum Graficamia.

La vincitrice del mese di Febbraio è Paola  con il lavoro abbinato alla filastrocca:

Il topolino birichino

Un gattino riposava
nella cuccia e non si alzava,
mamma gatto lo chiamava

ma il micetto non l’ascoltava.

Mentre dormiva passò un topolino
e vide il gattino nel suo cestino,
si avvicinò pian pianino

e lo morsicò sul sederino.

“Ahi che dolore, povero me”
Disse il micio tra sé e sé,
il sederino intanto gonfiava
e il topolino sghignazzava.

“Perché mi hai fatto tanto male,
io sono buono, non lo scordare
e la mia pappa con te ho condiviso,
il riso e il formaggio abbiamo diviso.”

Il topolino aveva sbagliato,
come poteva aver scordato
che il gattino era suo amico,
perché mai lo aveva ferito?

Chiese perdono al povero gatto
del misfatto che aveva fatto,
era davvero molto pentito
e del micetto fu di nuovo suo amico.

Helen Adams Keller

Mi ha colpito molto in questi giorni leggere la storia di questa straordinaria donna.
Nel mio piccolo problema transitorio mi sono immedesimata in lei e, diciamo che… mi sono vergognata!

Ma chi è Helen Adams Keller? Nasce in Tuscumbia (Alabama) il 27 Giugno del 1880. A soli 19 mesi viene colpita da una malattia non meglio identificata, forse una meningite che le procura cecità e sordità.
L’unico mezzo di comunicare, per lei,  erano i gesti ma, purtroppo, i familiari non riuscivano a capirla. L’unica persona con cui lei non aveva difficoltà a interagire era Martha, la figlia del cuoco.

È dopo varie visite, presso medici specialistici contattati dalla madre,  che viene presa in cura da Anne Sullivan,una ragazza ventenne non vedente che diventa la sua precettrice, presso il domicilio di Helen.
Così questa giovane donna diventa il surrogato della mamma.

A soli 7 anni Helen viene isolata dalla famiglia in una dependance nel giardino. Anne le insegna a identificare al tatto tutti gli oggetti, con non poca fatica. È una nuova vita!

Grazie alla sua insegnante Helen impara a leggere, scrivere e successivamente anche a  parlare.
Dopo soli 6 anni la piccola, insieme ad Anne si trasferisce a New York e si iscrive a Wright-Humason School for the Deaf.

Durante gli spostamenti in altri Istituti scolastici ha modo di conoscere lo scrittore Mark Twain che a sua volta la fa conoscere al magnate della Standard Oil Henry Huttleston Rogers, che, con la moglie Abbie,  decide di finanziare la sua educazione.

Dopo vari cambiamenti scolastici all’età di 23 anni pubblicò la sua prima autobiografia. L’anno dopo si laureò diventando la prima persona cieca e sorda a ottenere un Bachelor of Arts degree.

Nell’arco della sua vita ha scritto 11 libri. Nel libro Il silenzio delle conchiglie, Helen descrive i primi anni della sua vita.

Da persona determinata a vivere la sua vita nel miglior modo possibile impara a comunicare con gli altri tramite il labiale, in seguito sperimenta il Braille e il linguaggio dei segni!

Helen Keller muore all’età di 87 anni il 1° giugno del 1968, in Connecticut, nella sua casa di Easton.

La storia della sua vita è stata raccontata nel film Anna dei miracoli, del 1962, film indimenticabile e interpretato magnificamente da Anne Bancroft la quale riceve l’oscar come miglior attrice protagonista.

Voglio concludere con una delle sue frasi più famose:
“Da soli possiamo fare poco, insieme molto!”

Helen Keller e la sua educatrice Anne Sullivan

 

Favola: il topolino ingenuo

C’era una volta un topolino che viveva, con la sua famiglia, in una grande casa. In questa abitazione abitava anche un bellissimo gatto nero con i suoi cinque piccoli gattini.

Un giorno il topolino andò dalla sua mamma e le disse: «Mamma, io voglio diventare grande, non voglio rimanere sempre così piccolo.»

«Figlio mio» gli disse la mamma, «ma noi topolini siamo piccini… perché tu vuoi essere diverso da tutti gli altri tuoi fratelli?»

«Io voglio diventare grande come il gatto, in modo da non avere più paura di lui. Tutte le volte che si avvicina mi spavento perché è enorme e io, piccolino, mi sento proprio inerme.»

Allora la mamma, con la dolcezza che hanno tutte le mamme, gli disse: «Piccolo mio, stasera andrai nel tuo lettino a fare la nanna e vedrai che domani mattina il tuo desiderio sarà esaudito.»

Il piccolo topino non se lo fece dire due volte e andò a dormire.

La mamma, però, doveva essere ben sveglia per poter escogitare un sistema per far sì che, al mattino, il desiderio del suo piccolo si esaudisse.

Pensa e ripensa le venne una bellissima idea. Andò da mamma gatta che ormai, dopo tanti anni era diventata una sua amica, e le chiese se poteva imprestarle uno dei suoi piccoli gattini per quella notte, dopo che si erano addormentati. Le spiegò il motivo di tale richiesta e, così, mamma gatta acconsentì.

Quando i gattini si furono addormentati, la gatta prese un piccolo per la collottola e dolcemente lo portò fino alla tana della famiglia dei topi. Non poteva però fare di più, perché non entrava nel buco.

Mamma topo faticò molto per spostare il piccolo micetto fino al lettino del suo adorato topolino, ma non si arrese e ci riuscì. Quando il suo piccolo, svegliandosi si ritrovò delle stesse dimensioni del gatto su felicissimo, e saltellò di qua e di là dalla gioia.

La mamma accorse accanto a lui e gli disse che tutte le cose belle non durano per sempre, per cui di godere questo momento che poi magari tutto sarebbe cambiato.

Ma al topolino questo non importava: a lui interessava solo essere più grande, fosse stato anche per un solo giorno. Dalla felicità corse fuori dalla sua tana, andò in giardino, radunò tutti i suoi amici topolini e raccontò quello che gli era successo: in una notte era diventato grande come un gatto. Tutti rimasero a bocca aperta, non capivano che cosa dicesse perché, effettivamente non trovavano nessun cambiamento in lui però non riuscivano a dirglielo talmente lo vedevano felice, così stettero al suo gioco.

Quando rientrò in casa era quasi sera, si avvicinò pian piano alla mamma gatto e vide che in realtà era di nuovo diventato piccolo, ma non importava: anche solo per poco tempo era riuscito a diventare come voleva, grande come un gatto.

Ora non aveva più paura perché sapeva che, se solo avesse voluto, sarebbe potuto di nuovo diventare grande come lui.

Iniziativa filastrocche

Siamo giunti al quinto mese di questa iniziativa-collaborazione  con il forum Graficamia iniziata a Settembre. 

A conclusione della votazione del lavoro di questo mese abbiamo due vincitori a pari merito, Emanuela e Lorette, abbinato alla filastrocca:

Scende la neve

Scende la neve
soffice e bianca
ed ogni cosa
al suolo s’imbianca.
Dalla finestra,
chiusa a metà,
un fanciullino
trepida già.
Vuole toccare
la coltre bianca,
ma la sua mano
è scarna e già stanca.
Vuole giocare
e fare un pupazzo,
ma i suoi piedi
non muovono un passo.
Corre la mamma
allora in suo aiuto
e gli disegna
un uomo paffuto.
Un uomo grande
e lunga ha la barba.
Sembra cotone
e il bimbo lo guarda.
Egli è l’inverno
e porta quaggiù
amore e pace anche se tu,
piccolo bimbo
non puoi giocare,
hai la tua mamma,
non lo scordare.
Il piccolo bimbo
guarda la neve,
poi guarda il vecchio
e il suo cuore freme.
Guarda la mamma
e non può mai scordare
che è il dono più bello.
E ritorna a sognare.

Favola: la fantasia

C’era una volta un bambino molto povero che viveva con la sua famiglia ai margini di un bosco. Il papà Jerry era un falegname, mentre la mamma Emily badava ai figli.

Tommy, il protagonista, era il terzo di cinque figli.

La mamma aveva il suo bel da fare per stare dietro a tutti loro, così aveva dato a ognuno dei figli un compito giornaliero da eseguire: chi andava alla fontana a prendere l’acqua, chi si interessava della legna per il camino, chi dava una mano a governare la casa, ecc. ecc.

La giornata passava velocemente tra una incombenza e l’altra, ma lo loro era una famiglia felice molto unita.

I bambini avevano anche molto tempo per giocare e la vita all’aria aperta gli concedeva molte possibilità.

I giocattoli invece erano pochi, solo quelli che il papà, tra un lavoro e l’altro, riusciva a costruire.

Con il legno che gli avanzava costruiva trenini, carriole, macchinine, bambole a cui poi la mamma metteva dei piccoli straccetti a mo’ di vestito.

La famiglia era unita e felice. Erano tutti in buona salute e con il lavoro del papà potevano acquistare il cibo necessario per tutti.

Ma il piccolo Tommy aveva un sogno: voleva vedere il mare.

Ne aveva sentito parlare spesso e aveva fantasticato su di esso. Sapeva che era immenso, che conteneva molte varietà di pesci, che potevi approdare su isole deserte. Ma questo per lui poteva essere solo un sogno perché non avrebbe mai potuto realizzarlo visto che i suoi genitori erano poveri.

La sua famiglia conosceva questo suo desiderio e una sera, mentre Tommy era fuori a guardare la luna, si riunirono per vedere cosa potevano fare, così nacque un’idea.

Il giorno del suo compleanno gli regalarono un piccolo veliero e tutta la famiglia aveva collaborato nella realizzazione. Il papà aveva costruito la barca, la mamma aveva cucito le vele da un lenzuolo, tutti i fratelli si erano adoperati per addobbarla.

Era magnifica.

Quando Tommy aprì il piccolo pacchetto avvolto in carta di giornale restò meravigliato.

Era bellissima. Ma sapeva che con quella non avrebbe mai raggiunto il mare, perché rimaneva pur sempre un giocattolo.

Il suo papà, vedendo la sua perplessità lo prese sulle ginocchia e gli disse:

«Caro Tommy, noi abbiamo lavorato per realizzare questo tuo sogno. Ora tocca portarlo avanti. Hai dentro di te la cosa più importante che possa esistere e che ognuno di noi ha: la fantasia.»

E questo consiglio servì al piccolo Tommy.

Da allora, alla sera prima di andare a dormire, guardava la sua barca e fantasticava. E nel sonno si vedeva viaggiare nel mare al timone della sua barca, al suo fianco i delfini si alzavano in volo, i gabbiani lo accompagnavano nella sua rotta, piccole isole piene di alberi e di frutti lo affiancavano e lui, solo in mezzo all’oceano, si sentiva felice.

 

Iniziativa filastrocche

Si è conclusa la votazione della filastrocca del mese di Dicembre sul forum Graficamia.

Questo mese ha vinto il lavoro di Angela abbinato alla filastrocca:

                                        Arriva il Natale

Arriva il Natale
è tutto imbiancato, 
guardo la neve
e resto abbagliato.

Tutti i bambini
comincian a sognare
e invece le mamme
ad incartare…

Brilla la luce
sull’alberello, 
ha tante palline, 
è proprio bello.

Dona allegria
in tutti i cuori
e i bambini
sono più buoni. 

Dentro al presepe
l’asino raglia,
il bue lo osserva
e mangia la paglia. 

Gesù Bambino 
deve arrivare
e dentro al presepe
poi riposare.

E tu che dici,
sei stato buono?
Allora ecco, 
questo è il mio dono.