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Shiloh Pepin:la bimba sirena. Per non dimenticare

La bimba sirena. Ho avuto modo di vedere il documentario su questa meravigliosa e incredibile bambina, Shiloh Pepin, affetta dalla sindrome della  sirena.  Il nome scientifico della malattia è sirenomelia.

Mi hanno colpito la sua forza, il suo coraggio e la sua voglia di vivere. Ha affrontato tutto questo calvario, durato 10 anni con uno spirito invidiabil, il suo umorismo, e ottimismo, il suo modo di affrontare la vita devono essere da stimolo ad ognuno di noi.

Quando è nata  le avevano dato pochi giorni di vita per le complicanze che comporta questa malattia, ma a dispetto di tutti ha superato alla grande questo per ben 10 anni.

I bimbi con la sua stessa malattia vengono sottoposti a un intervento chirurgico dopo pochi mesi dalla nascita, in modo da separare le gambe ma lei non lo ha potuto fare per alcuni problemi fisici, per cui si è adattata  in pieno a questa condizione, muovendosi con disinvoltura e forza d’animo.

Nel corso di alcuni anni, quando le è stato proposto di effettuare l’intervento, considerando i rischi, per un miglior stile di vita lei lo ha rifiutato, perché ormai si sentiva del tutto a suo agio. Aveva imparato a convivere con il suo corpo.

Ha voluto provare alcune emozioni, non ultima quella del nuoto, con una tuta particolare fatta su misura per lei. Era felice in acqua, libera e leggera.

Certo la sua vita non è stata facile. Ha subito varie operazioni e centinaia di visite specialistiche. Era consapevole di ciò che voleva e le ultime decisioni  su cosa fare sono state prese da lei in maniera esemplare. Ha rifiutato interventi che avrebbero potuto aiutarla a vivere meglio, con una maturità mai vista prima.

Ha cercato, con tutti gli ausili possibile di vivere appieno la sua vita, gli ostacoli li superava e nei suoi traguardi ricordo la sua risata contagiosa.

Shiloh affermava:”Non voglio cambiare. Solo perché sono diversa non significa che non posso essere come tutti gli altri”.

Vivacità e personalità sono due caratteristiche che la contraddistinguevano.

È riuscita, superando ogni aspettativa, a vivere pienamente nonostante la sua disabilità. È andata a scuola ed è sempre stata amichevole con tutti. Aveva un gran senso dell’umorismo, sia con i suoi coetanei sia con gli adulti ed equipe medica che l’avevano in cura.

È morta nel 2009, all’età di 9 anni, in seguito a una polmonite ma ha vissuto la sua vita appieno, circondata dall’amore dei genitori e di tutti quelli che l’hanno potuta conoscere.

Shiloh, durante la sua breve vita è stata fonte d’ispirazione per tutti. La sua gioia non dovrà mai essere dimenticata e il messaggio fondamentale di questa storia è che la vita è molto fragile ed ingiusta!

Con questo articolo voglio condividere la memoria della bambina e il suo importante messaggio!

Tratto da:

https://www.bigodino.it/mamma/la-rara-condizione-di-shiloh-pepin.html

https://donna.fanpage.it/shiloh-muore-a-soli-10-anni-la-sindrome-della-sirena-ha-stroncato-la-sua-vita-video/

 

 

Montagna: che passione

Una delle mie altre grandi passioni è la montagna. Non sono mai stata una scalatrice, per me la montagna è solo escursione e nella scala delle difficoltà mi fermo alla EE.

Non mi sono cimentata in  scalate o arrampicate, non ho mai sfidato il destino, anche se credo di essermi persa, così, spettacoli mozzafiato e quel senso di infinito descritto dagli alpinisti, quella sensazione di sentirsi un tutt’uno con il cielo e la terra.

Mi accontento, però, di quello che in tanti anni ho visto.

Ho iniziato ad andare in montagna da giovanissima, in luoghi sperduti della Val Maira, non ancora meta escursionistica in quel periodo.

Partivo da Genova in giugno con una amica e la mia piccola 126, una valigia con pochi indumenti e cibo che doveva bastare per 20 giorni. Nel luogo dove andavamo i negozi non c’erano, quindi dovevamo procurarci tutto prima.

Giunte a destinazione, a 1700 metri di altezza, si presentava ai nostri occhi uno spettacolo meraviglioso, un grande prato  ai piedi delle montagne e due baite vuote. Una delle quali era da noi affittata tramite conoscenti.

Il silenzio, quel senso di pace interiore ed esteriore, dove tutto è ovattato. Solo il fischio delle marmotte, lo scorrere inesorabile dell’acqua del fiume, il fruscio del vento tra le fronde degli alberi.

Al mattino, se i tuoi passi erano leggeri, le marmotte le potevi vedere nei pressi della baita.

Erano uno spettacolo, magre dopo il letargo invernale o grasse perché in gestazione, ma bellissime.

Imprudenti forse, non abituate ad avere compagnia, si aggiravano tranquillamente intorno alla casa.

La natura era la loro casa, il loro immenso giardino.

Quello che colpiva la mia amica e me era quel senso di pace; abituate a vivere in città, nel traffico, sicuramente inferiore  a quello di oggi, ti faceva andare sempre di fretta! Il lavoro in ospedale poi non aiutava lo spirito a essere sereno e ti caricavi per un anno le sofferenze di tante persone, per cui lì staccavi la spina da tutto e da tutti.

Esistevi solo tu, le marmotte e i monti.

E poi ho continuato ad andare in montagna tutti gli anni con la famiglia, sempre con lo zaino sulle spalle o quello porta bimbo per la  figlia. Il luogo era sempre la Val Maira, che ho frequentato ancora per parecchi anni.

Amavo quel posto, la sua locazione, la solitudine, la casa. Tutto era accogliente e lasciavi lì il cuore quando andavi via ma sapevi che il prossimo anno tutto sarebbe stato come prima.

Ho trasmesso alle figlie l’amore per la montagna e ne vado orgogliosa. Spero che questo si possa tramandare di generazione in generazione.  

Ancora oggi, anche se sono passati tanti anni, amo camminare tra i monti. Zaino in spalla, un paio di buoni scarponi, un bastone e la partenza di buon mattino.

Di carattere devo avere per forza una meta, non amo fare una camminata senza un obiettivo. Può essere un lago, un rifugio, una casa del guardiaparco, ecc. ma devo raggiungere un luogo. Solo così la fatica si fa sentire meno e continuo ad andare avanti, a camminare, a non sentire il sole cocente e le spalle che fanno male sotto il peso dello zaino. Eh sì, lo zaino. È superfluo dire che è indispensabile se si fanno lunghe camminate. Deve contenere l’indispensabile in caso di cambiamenti climatici o situazioni avverse.

La montagna è imprevedibile, non bisogna mai sottovalutarla, anche se la meta non è lontana e la giornata è splendida. Basta un cambiamento climatico e può iniziare a piovere in pochissimo tempo. Tutto cambia in montagna e ogni cosa può essere pericolosa: il sole non scalda più, le rocce diventano scivolose e attirano i fulmini che, data l’altitudine, sono forti e molto carichi di elettricità. La nebbia può insorgere in pochissimo tempo e non farti più intravedere il sentiero.

Ma è bello anche questo, fa parte del gioco, dell’avventura.

Funghi: che passione!

Una delle mie grandi passioni è andare per funghi.

Ancora oggi, come da bambina, il cuore mi batte forte se il mio sguardo ne intravede uno e l’adrenalina sale.

I miei ricordi mi portano a quando avevo cinque o sei anni. I miei due fratelli erano soliti, all’inizio dell’autunno, nelle alture della Liguria, andare a funghi.

Ricordo che alcune volte mi portavano e io esultavo dalla gioia. Certamente loro dovevano adeguarsi al mio passo, per cui non sempre facevo parte della squadra.

Quando decidevano di portarmi, per me era una festa. Dalla sera mi preparavo al grande evento: il piccolo cestino di vimini, gli stivali, il K-Way, il coltellino di plastica adatto ai bambini.

Si partiva al mattino molto presto, intorno alle quattro, quando era ancora buio e il silenzio della città non mi metteva a mio agio. Non ero abituata e faticavo a orientarmi.

Mezza insonnolita salivo in macchina e nel tratto di strada, a volte molto lungo, ripiombavo nel sonno.

Si arrivava sul posto che non era ancora l’alba, la nebbia mattutina nel bosco dava un senso di misterioso, di impenetrabile. Una colazione fugace in attesa che si facesse giorno e poi dentro, nel sottobosco. Penetravi con attenzione mista a paura e dopo pochi minuti i tuoi indumenti erano già intrisi di goccioline d’acqua. 

Se stavi in silenzio potevi percepirne i vari rumori: il vento tra gli alberi, il cinguettio degli uccelli, il gocciolio dai rami e altri suoni che conferivano un che di misterioso nel fascino del risveglio mattutino della natura.

Come prima cosa la ricerca di un ramo solido da sfruttare come bastone, indispensabile, e mille precauzioni di come comportarsi nel bosco: stare vicini, aiutarsi con il bastone a smuovere le fronde, non toccare con le mani funghi non conosciuti, non distruggere con il bastone o calpestando quelli cattivi.

Il mantenere l’equilibrio era una prerogativa molto importante.

La luce era tenue, anche se stava venendo giorno, ma dovevi far presto per anticipare gli altri raccoglitori di funghi che giungevano man mano. Con la luce tu dovevi già essere sul posto. Incespicavo spesso, essendo piccola, ma andavo avanti con energia e desiderio di trovare funghi.

E quando ne intravedevo uno, bello, sano, in mezzo alla vegetazione, lo riconoscevo a distanza, sia che fosse un porcino (Boletus edulis) o meglio ancora un ovulo (Amanita caesarea). E sì, a quei tempi di ovuli ve ne erano parecchi, sembravano uova sode con il tuorlo scoppiato dentro.

Che emozione, meglio dei regali di Natale. La natura è qualcosa di meraviglioso.

Allora chiamavo il fratello più vicino a me e insieme lo raccoglievo, avendo l’accortezza di lasciare la zolla di terriccio ancora in terra. Una prima pulizia sul luogo di raccolta e poi nel cestino, dopo aver messo dentro parti di felci o altro per mantenere l’umidità.

Poi ne raccoglievamo altri: combette, galletti, manine…

Dopo ore, esausti, si rifaceva la strada di ritorno; molte volte il cestino era pieno ed eri soddisfatto, altre avevi preso solo umidità e freddo!

Ma era stata lo stesso una bella giornata!

Curiosità:

alcuni ricercatori americani hanno scoperto in Oregon un fungo gigante che potrebbe essere l’ organismo vivente più grande della Terra. Il fungo, il cui nome scientifico è “Armillaria Ostoyae”, cresce nella terra e tra le radici degli alberi della Malheur National Forest, nelle Blue Mountains dell’ Oregon orientale. Secondo gli scienziati copre 890 ettari di terra, l’ equivalente di 1665 campi di football. Questo particolare esemplare sarebbe vecchio almeno 2400 anni.

http://www.einaudi.it/var/einaudi/contenuto/extra/978880619884PCA.pdf

10 Maggio 1908-Festa della mamma-Dedicato a Anna Marie Jarvis

La ricorrenza della Festa della mamma, che si celebra la seconda Domenica di Maggio, ha una sua storia, come tutte le festività.

La festa della mamma è stata celebrata per la prima volta il 10 Maggio del 1908, da Anna Marie Jarvis  (1864-1948) che ha tenuto un memoriale per sua madre, Ann Maria Reeves Jarvis a Grafton (Virginia occidentale).

Quest’ultima, donna di sani principi e di fede, era molto attiva all’interno della comunità cristiana di Andrews Methodist Episcopal. Oggi questo luogo è l’International Mother’s Day Shrine (“Tempio della Festa internazionale della Mamma”).Ann Jarvis ha indetto dei club di lavoro delle madri in alcune città di Grafton , Pruntytown, Philippi , Fetterman e Webster per migliorare le condizioni sanitarie.

Durante tutta la sua vita, Ann Jarvis insegnò. Fu sovrintendente del Dipartimento di Scuola Domenicale Primaria presso la chiesa per venticinque anni. Fu una insuperabile relatrice e spesso teneva lezioni su temi che vanno dalla religione, alla salute pubblica e alla letteratura per il pubblico, in Chiese e organizzazioni locali. Le sue conferenze comprendevano “La letteratura come fonte di cultura e raffinatezza”, “Ottimo valore dell’igiene per le donne e dei bambini” e “L’importanza dei centri ricreativi supervisionati per ragazzi e ragazze”.

Nel 1868 creò  un comitato per istituire un “Giorno di amicizia della madre”, il cui scopo era “riunire le famiglie divise durante la guerra civile”.

Per tutta la vita si era impegnata nella lotta alle malattie e alla mortalità infantile, al miglioramento delle condizioni igieniche delle donne durante il parto e alla tutela di madri e figli e si impegnò a promuovere il “Mother’s Friendship Day” (Giornata dell’amicizia tra madri) per favorire la riconciliazione tra le mamme del Nord e quelle del Sud, ex nemiche. Le madri come simbolo della Pace.

Ann era una attivista di pace, una “volontaria” durante la guerra civile americana, mettendosi a disposizione nel curare i soldati feriti da entrambi i lati e prodigandosi per la salute pubblica delle madri. Ha contribuito a instaurare il “Club di lavoro delle madri” per insegnare alle donne locali come curare adeguatamente i propri figli.

Questo suo interesse nacque in seguito a tragedie e perdite in famiglia dovute  malattie molto comuni  in quel periodo, quali morbillo, febbre tifoidea e difterite.

Ann Jarvis ha avuto tra undici e tredici bambini nel corso di diciassette anni, ma ne sopravvissero solo 4.

Fu durante una delle lezioni di una Domenica nel 1876 che sua figlia Anna Jarvis, presumibilmente, trovò la sua ispirazione per la festa della mamma, mentre Ann chiuse la lezione con una preghiera, dichiarando: “Spero e prego che qualcuno, qualche volta, troverà una mamma memoriale che la commemorasse per il servizio impareggiabile che rende all’umanità in ogni campo della vita”.

Al contrario Anna Marie Jarvis non ebbe mai figli suoi; fu la morte di sua madre, nel 1905, a spingerla a organizzare il primo Mother’s Day su scala nazionale. Questo avvenne il 10 maggio 1908: furono tenute cerimonie a Grafton, nella International Mother’s Day Shrine, a Philadelphia, dove Jarvis viveva, e in diverse altre città americane.

Per il primo servizio ufficiale della Madre nel 1908 Anna ha inviato alla chiesa 500 garofani bianchi da somministrare alle madri partecipanti. Nei successivi anni, ha inviato più di 10.000 garofani. I garofani, rossi per le mamme in vita e bianchi per le mamme scomparse, sono diventati simboli della purezza, della forza e della resistenza della maternità.

Nel 1914 Woodrow Wilson, 28° Presidente degli stati Uniti, firmò una proclamazione che definiva la Festa della Madre, tenuta la seconda domenica di maggio, come festa nazionale per onorare le madri.

Anna Jarvis aveva originariamente concepito la festa della mamma come giorno di celebrazione personale tra madri e famiglie. La sua versione della giornata si svolgeva indossando un garofano bianco e visitando la propria madre o frequentando i servizi della chiesa.

Ma agli occhi di Anna il successo si trasformò in fallimento. Quella che doveva essere una giornata da trascorrere nell’intimità della famiglia diventò presto un’occasione d’oro per incentivare l’acquisto di fiori, dolci, biglietti d’auguri. Questa  ne fu profondamente infastidita, e cominciò a dedicare tutta se stessa (e la sua non trascurabile eredità) nel riportare la Festa alle origini.

Per Anna Jarvis la festa doveva essere una giornata da passare con la propria madre per ringraziarla di tutto ciò che aveva fatto. “Non era la festa di tutte le mamme, era la festa della migliore mamma che ciascuno di noi avesse mai conosciuto: la “propria”.

Fondò la Mother’s Day International Association per riprendere il controllo delle celebrazioni; organizzò boicottaggi, minacciò cause legali e attaccò persino la First Lady Eleanor Roosevelt e le sue iniziative di beneficenza organizzate nel giorno della festa.

Negli ultimi dieci anni della sua vita, Anna Jarvis ha vissuto con la sorella cieca, Lillian, in una casa a tre piani in North Philadelphia. Tende pesanti nascondevano una finestra rotta e scurivano un salotto vittoriano. Sul muro un grande ritratto di sua madre, Ann Reeves Jarvis, circondata da corone di agrifoglio.

Anna Jarvis avrebbe poi denunciato la commercializzazione della festa e trascorse la seconda parte della sua vita combattendo insieme alla sorella affinchè questa venisse cancellata. Lei e sua sorella usarono  l’intera eredità della famiglia per finanziare le proteste che ne richiedevano l’abolizione.

Anna morì, internata in una casa di cura,  all’età di 84 anni il 24 novembre 1948.

È sepolta nel cimitero di West Laurel Hill Cemetery di Philadelphia. Nel giorno della sua sepoltura, la campana della chiesa di Andrews a Grafton è stata suonata ottantaquattro volte in suo onore.

Anna Jarvis è oggi riconosciuta come la “Madre della Mamma”. Un titolo appropriato per definire l’incessante devozione della donna alla madre e alla maternità in generale.

Molti paesi, tra cui l’Italia,  festeggiano la Festa della Mamma la seconda domenica di maggio.

La prima volta risale al 1956, quando Raul Zaccari, senatore e sindaco di Bordighera, in collaborazione con Giacomo Pallanca, presidente dell’Ente Fiera del fiore e della pianta ornamentale di Bordighera-Vallecrosia, prese l’iniziativa di celebrare la festa della mamma a Bordighera, al Teatro Zeni; successivamente la festa si svolse al Palazzo del Parco.

La seconda risale all’anno successivo e ne fu protagonista don Otello Migliosi, parroco di Tordibetto di Assisi, in Umbria,  il 12 maggio  1957.

Un hobby diventato lavoro: le piante tropicali

Ho voluto inserire in questo blog, sotto la voce “Le mie piante tropicali”, anche se il contesto non è dei più appropriati,  alcune immagini di piante particolari e straordinarie. Questo perchè ho avuto modo, di coltivarle presso il mio Vivaio che ho mantenuto  per moltissimi anni, TROPICAMENTE.

Nella mia indecisione se inserire o meno la Galleria di foto di piante, andando così fuori tema , mi è capitato, per caso,  di aprire un link riguardo un libro in cui venivano menzionati proprio i due argomenti: fiabe e fiori. L’ho trovato interessante e questo mi ha aiutato nella scelta.

Il libro citato, di Barbara Gulminelli, è ” La via delle fiabe e dei fiori di Bach“.

Fiabe e fiori

Riprendendo quindi il discorso, il Vivaio è nato per caso, così come nascono molte iniziative, ma nel giro di pochi anni ha avuto un successo strepitoso. Dal collezionismo sono passata a un lavoro vero e proprio. Un lavoro-hobby, che è durato 20 anni.

La prima domanda che mi ponevano tutti era sempre: “Coltivare piante tropicali in Piemonte?”. Lo so, di primo acchito era stato un azzardo, il clima non era confacente e le difficoltà di riuscita estreme, ma ha lo stesso ottenuto il successo che meritava.

Di soddisfazioni ne ho avute tante nel corso di questi anni, citazioni del Vivaio in alcuni libri (Dai diamanti non nasce niente) di Serena Dandini e in molte riviste di giardinaggio.

Giardinaggio

Ho avuto modo di veder sbocciare fiori insoliti, di inebriarmi di profumi “esotici”, in primis i fiori della Plumeria.

Altro fiore tropicale di cui ho avuto la possibilità di vederne i fiori e soprattutto di goderne del profumo: il famoso e ineguagliabile Tiarè ( Gardenia tahitensis).

  Colori, profumi, fioriture particolari o curiose, fiori che duravano un solo giorno o tutto un intero anno, ogni gusto e particolarità lo trovavi nel Vivaio.

  La ricerca della pianta rara era tra i miei principali obiettivi. Altro mio interesse personale era quello della conoscenza, della diffusione.

  Il sapere che alcune mie piante vegetano e prosperano in molti giardini italiani, dal Veneto alla Sicilia, mi rende felice.

Una parte del mio Vivaio continua a crescere, a esistere, a donare fiori e frutti. 

C’era una volta la Signora Maestra

C’era una volta la Signora Maestra. Eh sì, la Maestra, unica, una per ogni classe, che insegnava tutte le materie e che solitamente non cambiava mai per tutta la durata delle scuole elementari.

La Scuola Elementare, nel vero senso della parola. Una volta si chiamava così, elementare perchè apprendevi i primi insegnamenti.

Passavi più tempo con lei che con la mamma, perchè Lei, la Maestra, era lì solo per te, per seguirti, istruirti, educarti, farti crescere culturalmente ma anche emotivamente. Lei ti conosceva perfettamente, sapeva i tuoi punti deboli, sia scolastici sia caratteriali. Sapeva come ti relazionavi con gli altri compagni, sapeva se oggi eri triste o allegra, cercava di metterti a tuo agio durante una interrogazione o una recitazione a memoria di una poesia. Lei ti conosceva talmente bene che capiva se ti era successo qualcosa di negativo a casa, se non avevi dormito bene, se stavi covando una influenza, ma avevi dovuto lo stesso venire a scuola perchè a casa non c’era nessuno. La maestra che non imponeva ma ti conduceva, mano nella mano, sui sentieri della vita.

Le sezioni erano separate, femmine e maschi, ognuno con il grembiulino nero e colletto bianco,  cambiava solo il fiocco, rosa per le femmine e azzurro per i maschi. Le aule erano spaziose, i banchi in legno erano a due posti, con dei piccoli buchi appositi che contenevano i calamai con dentro l’inchiostro per intingerci il pennino alla base della penna. Dovevi stare attento a non toccare i bordi rigidi altrimenti il pennino si “spuntava” e la scrittura non era più nitida ma con bordi frastagliati. Sì che c’erano gli altri pennini di scorta ma cambiarlo significava la sgridata a casa. Una volta che una pagina del quaderno era stata scritta vi si doveva applicare un foglio di carta assorbente per far asciugare l’inchiostro. Il materiale scolastico era molto semplice e poco costoso: un astuccio di pezza che conteneva la penna, la scorta di pennini, una matita, una gomma e, per chi poteva permetterselo, un temperino. A tutti coloro che non potevano permettersi il materiale, lo procurava la maestra.

Due quaderni piccoli, uno a righe e uno a quadretti e il primo libro, l’abbecedario.

A distanza di tanti anni ricordo tutto questo, ricordo il banco a due, la mia compagna di banco e soprattutto ricordo ancora la mia Maestra.

Era una persona dolcissima, dai capelli brizzolati e un sorriso dolce, che esprimeva sentimenti genuini e profondi dell’animo. A lei devo molto, a lei devo avermi capita e rincuorata in un momento molto difficile della mia giovane vita. A lei, che ricorderò sempre con nostalgia e tanto affetto. A lei, che mi ha dedicato del tempo, mi ha educato, amato, confortato, coccolato.

A lei, la Signora Maestra!

                    Genova, 1° elementare

 

 

Notizie varie e nuova fiaba dei nonni

Gli ospiti della struttura di cui ho già menzionato mi sbalordiscono sempre di più, continuano a lavorare sulle nuove favole, collaborano maggormente e aumentano di numero. L’interesse è alto, qualcuno interagisce di più, qualcuno di meno ma alla fine i risultati si vedono. Ogni settimana una nuova fiaba prende forma. Le scelte finora vertono sempre sugli animali. Abbiamo scritto di cani, gatti, scoiattoli, uccelli, lupi, capre, ecc ecc. Abbiamo pensato insieme di decidere i soggetti della settimana successiva, in modo che ognuno abbia tempo di pensare come strutturare la storia o cercare idee o ricordi fra la “biblioteca” che abbiamo in testa.

Cito questa frase famosa “Un vecchio che muore è una biblioteca che brucia”. Questa frase sta a indicare che gli anziani sono tradizionalmente considerati i custodi del sapere, poiché hanno una saggezza e un’esperienza superiore alla nostra.

Originariamente questa frase era “Quando in Africa muore un vecchio, è una biblioteca che brucia”, il famoso pensiero espresso da Amadou Hampâté Bâ, detto Amkoullel, uno dei più grandi protagonisti della cultura africana.

Ecco quindi:

L’amicizia è superiore alla cattiveria

C’era una volta due simpatici scoiattoli, Rolly e Chicco, che vivevano in un grande bosco e avevano costruito da soli la loro casetta su di un albero. L’avevano costruita utilizzando paglia, rami, muffa. Erano stati così bravi nell’aver anche costruito una piccola scaletta utilizzando alcuni rami legandoli con la paglia. Dentro la casetta avevano portato, pensando al lungo inverno, noci, noccioline, ghiande e alcuni insetti.

Avevano proprio tutto!

Intorno all’albero però girava una dispettosa puzzola, dal mantello nero e bianco e ogni volta che arrivava i due scoiattolini dovevano scappare per l’odore che essa emanava.

La puzzola, che si chiamava Zinetta, non piaceva assolutamente a Rolly e Chicco.

Un giorno, mentre scavavano alla ricerca di cibo e avevano già riunito qualche noce la puzzola si avvicinò e cominciò a mangiare alcune delle loro noci ma, ahimè, una di queste si incastrò in gola non permettendole così di respirare.

I due scoiattoli, vedendo la scena, corsero da lei dandole delle “pacche” sulla schiena finchè la noce non uscì dalla bocca.

Da quel giorno la puzzola, riconoscente, gli aiutò a trovare del cibo e formarono cosi una grande famiglia.

Inoltre la puzzola non spruzzò più verso di loro il suo odore nauseabondo.

Morale: se fai del bene ricevi del bene

 

 

Jill Barklem

JILL BARKLEM 1

Devo confessare che non conoscevo questa illustratrice. Per caso, in biblioteca, ho trovato 5 suoi libri: Storia d’estate; Storia di mare; Papaverina e i bambini; Nozze d’estate a Boscodirovo;  Sorprese a Boscodirovo. Logicamente li ho presi tutti e mi ha colpito la minuziosità nei particolari dei disegni. Di conseguenza mi sono documentata cercando in rete sue notizie che trascrivo.

Jill Barklem è nata a Epping, in Inghilterra, nel 1951, dove tutt’ora vive con il marito e i suoi due figli, Elizabeth e Peter.  

A tredici anni il distacco della retina le impedì di potersi dedicare ai giochi e alle attività sportive, cosi  sviluppò l’innata passione per l’osservazione della natura. Successivamente studiò zoologia, si iscrisse alla St. Martin’s School of Art di Londra , città che era obbligata a raggiungere ogni giorno in treno. Fu durante quei lunghi e noiosi spostamenti che cominciò ad immaginare la vita di una colonia di topolini che viveva da qualche parte in campagna, in un posto che offriva pace e ispirava sentimenti di amicizia e fratellanza.

Trascorse cinque anni per la ricerca prima di iniziare a scrivere le sue prime storie di topi di Brambly Hedge, sull’altro lato del torrente, attraverso il campo. Durante una delle sue passeggiate nella foresta di Epping si imbattè in un luogo che avrebbe potuto benissimo essere Boscodirovo e fu guardando le radici nodose e intrecciate di un albero che incominciò ad immaginare piccole case collocate all’interno dei tronchi. Se si guarda molto attentamente, tra le radici aggrovigliate e steli, si può anche vedere un filo di fumo da un piccolo camino, o attraverso una porta aperta, una ripida rampa di scale in profondità all’interno del tronco di un albero. Man mano che il suo mondo immaginario prendeva forma, Jill cominciò a fare dettagliati schizzi dei topolini e ad annotare come vivevano, che cosa mangiavano, che cosa cucinavano, come si vestivano, come conservavano il cibo, come si divertivano.

Jill dedica dodici anni alla preparazione della raccolta delle sue prime quattro storie: Le quattro stagioni di Boscodirovo.

Destinati a bambini piccoli, i libri erano un successo immediato con i lettori di tutte le età e in breve tempo. Questa è la storia di come Brambly Hedge è passato da un pezzo di carta su un treno della metropolitana alla fine degli anni 1970 ai bambini di tutto il mondo.

Suo modello dichiarato è Arthur Rackham, illustratore inglese del periodo vittoriano ricordato soprattutto per le illustrazioni di opere per bambini come Alice nel Paese delle Meraviglie e il Paesaggio di Boscodirovo è quello del Lake District (il medesimo di Beatrix Potter) molto familiare a Jill.

Storie infatti che all’apparenza sembrano molto semplici nascondono un’accurata e minuziosa ricerca da parte di Jill: “Il perchè sta nella mia pignoleria. Ogni fiorellino deve avere il giusto numero di petali e crescere nel posto giusto al momento giusto e non c’è cosa che facciano i topolini che non sia assolutamente congruente alle loro possibilità e al piccolo mondo nel quale si muovono”.

Tra la pubblicazione del primo gruppo di libri e quella del secondo passarono 17 anni. Nel frattempo erano nati due figli che la impegnavano molto, ma il vero problema era che Jill faticava a lavorare perchè soffriva di gravi problemi alla vista che aveva sforzato parecchio disegnando tavole tanto particolareggiate. 

Giunta alle ultime illustrazioni, Jill non riusciva a distinguere che metà della pagina alla quale stava lavorando. Tutto il resto era nebbia. Per alleviare la pressione sul nervo ottico, dovette sottoporsi ad un intervento che riuscì ma non potè più disegnare.

Jill Barklem

Beatrix Potter

Peter Rabbit

L’illustratrice, naturalista e ambientalista Helen Beatrix Potter nasce a Londra nel 1866.

L’artista riscuote fama e successo soprattutto per i suoi libri illustrati per bambini.

Da piccoli, Beatrix e Bertram, il fratello minore, hanno numerosi animali domestici, che osservano con attenzione e amore. Trascorrono le vacanze estive in Scozia e nel Lake District dove Beatrix sviluppa un forte amore per il mondo naturale. In questi mesi di libertà e spensieratezza imparò a conoscere e a ritrarre gli animali e la natura, e sicuramente da questi luoghi trasse l’ispirazione per alcuni dei suoi racconti, nei quali i suoi piccoli protagonisti vestiti, ne combinano di tutti i colori.

Educata da istitutrici private fino all’età di diciotto anni, Beatrix Potter poi si dedica allo studio delle lingue, della letteratura, della scienza e della storia, mostrando grande attitudine agli studi. Nonostante i suoi interessi e le sue ambizioni, non le fu permesso di proseguire gli studi, poiché in quegli anni, secondo i rigidi precetti vittoriani infatti le donne dovevano occuparsi esclusivamente della casa. Ma Miss Potter non era assolutamente d’accordo… lei da grande voleva scrivere… e grazie alla sua invidiabile determinazione ci riuscì! Fu allevata da una governante Scozzese, che le racconto storie di fate, folletti e streghe, e dato che non le era concessa frequentare amiche, trascorreva la maggior parte del suo tempo insieme ai suoi animali domestici, dipingendo e inventando storie su di loro.

Così la giovane Potter, a partire dai 15 anni comincia a scrivere un diario, ma usando un proprio codice segreto, che verrà decodificato solo 20 anni dopo la sua morte.

Il suo personaggio più noto è Peter Rabbit, “Peter coniglio”, uno dei suoi più cari compagni di gioco. Questo racconto nasce sotto forma di lettera privata, scritta da lei, nel 1893, durante una vacanza in Scozia, e mandata al figlio malato della sua governante. Questa stessa governante la spronò a farlo pubblicare come libro. Nel 1901 decide di pubblicare a sue spese “La storia del coniglio Peter” (The Tale of Peter Rabbit), un libro illustrato per ragazzi. Una delle 250 copie raggiunge la scrivania di Norman Warne, capo della casa editrice Frederick Warne & Co., il quale decide di dare alle stampe il racconto. Dal giugno del 1902 fino alla fine dell’anno il libro vende 28.000 copie. Nel 1903 pubblica un nuovo racconto, “La storia dello scoiattolo Nutkin” (The Tale of Squirrel Nutkin) che ottiene altrettanto successo. Dopo il primo racconto, ne seguirono altri 22.

Oltre ai libri, vennero creati da lei anche numerosi gadget, come per esempio pupazzi dei personaggi dei suoi racconti, giochi da tavolo, coperte per bambini e altri oggetti.

La maggior parte dei suoi personaggi sono ispirati ai suoi animali domestici… conigli, ricci, topi, lucertole, rane, pipistrelli ecc. Altri, invece, traggono ispirazione da “persone” da lei conosciute… come quello di Mrs Tiggywinkle, ispirato ad una lavandaia di Dalguise House, la tenuta dove risiedeva quando visitava la Scozia.

Si fidanza ufficialmente con il suo editore Norman Warne nel 1905, nonostante la disapprovazione dei suoi genitori, ma il marito muore di leucemia un mese dopo le nozze.

Con il ricavato dei libri ed un lascito di una zia, la Potter acquista una fattoria a Sawrey, un piccolo villaggio nel Lake District inglese vicino ad Ambleside nel 1905, dove rimane fino alla sua morte, avvenuta nel 1943.

Si sposò per la seconda volta nel 1913, all’età di 47 anni, con l’avvocato William Heelis.

Oltre a dedicarsi alla vita contadina, la Potter continua a scrivere ed illustrare libri per bambini fino a quando purtroppo la diminuzione della vista le rende impossibile continuare il lavoro. Beatrix inoltre decise di colorare i disegni, originariamente in bianco e nero.

Alcuni dei suoi documenti sono stati ritrovati recentemente, accompagnati dalle illustrazioni disegnate da Beatrix stessa.

BEATRIX POTTER

Holly Hobbie

HOLLY HOBBIEChi è Holly Hobbie? La creatrice di questo famoso personaggio è Denise Holly Ulinskas, nata nel 1944 ed è cresciuta in una fattoria del Connecticut. Nel 1964 ha sposato il suo amore del liceo e scrittore Douglas Hobbie. Insieme hanno costruito la loro casa nel Massachusetts occidentale con i loro tre figli Brett, Jocelyn, e Nathaniel, dove vive tutt’ora.

La scrittrice e illustratrice è famosa per aver creato i personaggi Toot and Puddle e la bambina che da lei ha preso il nome: Holly Hobbie.

Le sue illustrazioni descrivono quasi sempre luogi e personaggi in campagna, nella natura.

Lanciata come grafica per biglietti di auguri, Holly Hobbie è diventata in breve tempo un vero e proprio fenomeno culturale di enorme popolarità a livello globale. Nei suoi disegni traspare l’amicizia, bontà, semplicità.

In Italia, negli anni ’80 Holly Hobbie ebbe un successo strepitoso, entrando nelle case italiane, con la celebre Ragdoll, la bambola di pezza dal vestito patchwork.

Da qualche anno Caffarel, l’azienda di prodotti dolciari e di cioccolato ha scelto Holly Hobbie per la linea di biscotti.

I disegni di Holly Hobbie e quelli di Sarah Kay denotano una certa somiglianza. Personalmente preferisco la seconda, trovo che i soggetti siano più realistici, ma questi sono gusti personali.

Hollie Hobbie 1

 

Nuove favole dei Nonni

Il progetto sui nonni continua. Hanno scritto delle nuove favole nell’ora che avevamo a disposizione. La seconda e terza volta che ci siamo visti erano già più esperti, avevano maggiori idee e anche gli interventi sono stati effettuati da più persone.

Si sono aggiunti al gruppo nuovi nonni e questo mi ha fatto molto piacere.

Mi sono stati consegnati anche dei disegni delle favole che inserirò dopo aver avuto il consenso da chi li ha realizzati.

Li ho trovati bellissimi!

libro nonni

Sarah Kay

SARAH KAYNel corso degli anni ho dipinto molte t-shirt, cuscini, lenzuolini. Ho cercato di lavorare molto sui particolari, copiando da libri illustrati presi in prestito in biblioteca. Ho eseguito anche molti disegni di Walt Disney ma i miei preferiti sono sempre stati quelli della famosa e ineguagliabile Sarah Kay.

Ma chi è Sarah Kay? E’ lo pseudonimo creato negli anni 70 da Vivien kubos, illustratrice e autrice australiana di libri per bambini.  Vivien ha lavorato dalla sua casa nel sobborgo del porto di Greenwich a Sydney. Greenwich è una meraviglioso tasca di boscaglia sul porto di Sydney e ha una notevole fauna selvatica. Alla signora Kubbos bastava guardare fuori dalla finestra per trovare ispirazione nella bellezza naturale.

Quando sua figlia Allison si ammala gravemente Sarah decide di ricreare nei disegni il mondo incantato della sua infanzia con l’obiettivo di confortare la bambina.

Come è nata Sarah Kay? Sarah era il nome dell’animale domestico della signora Kubbos e  Kay è stato aggiunto avendo la stessa iniziale di Kubbos. Essa prova a vendere le illustrazioni e trova un editore che comprerà venti tavole da trasformare in una serie di biglietti di auguri di compleanno. In poco tempo andranno tutti a ruba e per “Sarah” sarà l’inizio di una carriera di grande successo, nonostante la quale la disegnatrice non si metterà mai sotto le luci dei riflettori, continuerà infatti a essere molto riservata e di lei si sa solo che vive tutt’ora in un sobborgo di Sidney, con Allison e Adam, i suoi figli e ha un magnifico giardino.

Qui sotto una delle rare fotografie di Vivien Kubbos con i suoi figli.

Vivien Kubbos

 

Nuovi Progetti

Ho nel cassetto due nuovi progetti, uno dei quali è già iniziato e consiste nel far scrivere una favola alle persone anziane che si trovano presso una struttura in cui faccio volontariato.

Malgrado non sapessi se potevano essere interessati e se fosse problematico interagire con queste persone anziane, sono rimasta basita e molto soddisfatta. Questi adorabili ospiti in un’ora sono stati capaci di scrivere una favola accompagnata dal titolo e dalla morale della stessa. 

Il mio compito è stato solo quello di consigliare le basi, la struttura della storia, gli elementi necessari per la realizzazione in modo da poter far si che tutti potessero contribuire. Ogni nuova cosa aggiunta doveva essere approvata all’unanimità.  

E così è nata la prima favola dal titolo: “L’amicizia è superiore alla cattiveria”.

A breve verrà inserita nel blog. Se la leggerai, lasciami un commento, sarebbe molto gradito. Grazie

Ricordate: è stata interamente scritta dai nonni!

Del mio secondo progetto vi parlerò a breve, appena avrò messo luce alle mie idee.

lampadina 3

Una nuova favola

La notte precedente la nascita della mia seconda nipotina l’ho passata accanto a Giada, la nipotina di 3 anni. Ignara di tutto dormiva beata ma, svegliandosi nel pieno della notte, mi ha trovato accanto a lei. Sgomenta di questo, nel suo dormiveglia, i suoi occhioni chiedevano una risposta a questa novità. Perchè ero li! Le sue prime parole sono state “Io voglio mamma”!  Come spiegarle che mamma era dovuta andare in ospedale? Come spiegarle che, probabilmente al suo nuovo risveglio sarebbe stata la sorella maggiore? Come spiegarle che per alcuni giorni mamma non l’avrebbe coccolata di sera e messa a letto? Due lacrime cominciavano a scorrerle sul delicato visino, due grandi occhi azzurri spalancati chiedevano risposte su domande che non era riuscita a formulare. Allora ho fatto la cosa più facile al mondo: le ho messo accanto il suo adorato peluche Teddy, soprannominato da lei Nino e le ho raccontato una favola. La storia dell’Orsetto Teddy.

La troverete nell’elenco delle favole.

Inutile dire che è servito, il sonno è arrivato, anche se ancora colmo di dubbi e domande. Abbracciata al suo adorato Nino!

Nonna bis

La nascita di una nuova vita è un qualcosa di indescrivibile. Attendi con ansia questo momento, non hai idea di come sarà: biondo o castano? roseo o pallido? Attendi e speri che tutto vada bene, Mille pensieri assillano la tua mente, i tuoi ricordi riaffiorano e sembra che non siano passati anni da quando tu, adesso nonna ma prima mamma, hai trepidato di gioia mista a  ansia in attesa del lieto evento. L’arrivo di un figlio.

Poi ti viene presentata la tua nuova nipotina. Ma è bellissima! E’ il primo aggettivo di tutti ma ai tuoi occhi non solo è bella, e MERAVIGLIOSA! Due guancette che ti dicono: baciami; due occhioni che penetrano dentro di te e scavano nella tua anima; due manine che afferrano il tuo dito quasi per dire”sono attaccata a te” : al tuo essere, al tuo destino, alla tua vita. E allora, dentro di te, le dici che è al sicuro, che farai di tutto per appianarle la strada, farai di tutto perchè possa essere felice. E allora lei, guardandoti con i suoi occhioni sembra che ti dica “Lo so già, nonna!”.