La coccinella e il ragno

Questa favoletta mi è stata inviata da Helenia, una ragazza a cui piace scrivere storielle per bambini. Mi ha chiesto l’inserimento di qualcuna di queste nel mio blog.

Un giorno la piccola coccinella Teresa, volando nel prato, salì su di un fiore: quella mattina era così bella che decise di prendersi il sole.

Mentre si rilassava e stava quasi per appisolarsi,  senti una vocina che chiedeva aiuto. Guardò in basso e vide una farfallina incastrata in  una ragnatela…”Ehi,  ma come hai fatto a finire lì?”. La farfallina, di nome Lalla,  rispose che stava volando quando si trovò impigliata tra quei fili.

La coccinella cercò di trovare una soluzione, prese il  gambo di un fiore e lo abbassò per far aggrappare la farfallina, ma era troppo corto, allora le disse di aspettare,  scese giù e cercò di chiamare il ragno…

“Signor ragno… Signor ragno… è in casa?” chiese la coccinella. Il  ragno uscì tutto assonnato e chiese chi fosse a chiamarlo.

“Mi scusi… sono Teresa la coccinella, per favore può aiutarmi a liberare la farfalla?”

Il ragno rispose: “”E come sei finita lì?” guardando in alto.

La farfalla Lalla rispose che stava volando e, non avendo visto la tela, ne era finita impigliata

Il ragno allora prese delle piccole forbicine e liberò la farfalla.

“Grazie” disse la farfalla.

La coccinella era contenta …i ragni, pensò, non sono poi  così cattivi!

Mentre la farfalla si toglieva  gli ultimi fili della ragnatela chiese al ragno “Cosa posso fare per te?”

“Già, che possiamo fare per te, signor…?” disse la coccinella.

Il ragno sorrise…” Mi chiamo Gaio! Beh,  visto che la mia ragnatela è rotta, potreste aiutarmi a ripararla!”

Allora la farfalla prese il volo …”arrivo subito!” esclamò:” prendo il mio ago e filo e la rimetto a posto!”

In un battibaleno la farfalla Lalla tornò, riparò la ragnatela e rese felice il ragno.

Continuarono la loro giornata insieme tra racconti e risate.

La casetta nel bosco

C’era una volta un nonno, dalla lunga barba, che viveva in un bosco. La sua casetta era piccolissima, fatta di legno e tutti gli abitanti della foresta erano soliti passare di lì per salutarlo o perché avevano bisogno del suo aiuto.

Chi doveva farsi togliere una spina nella zampetta, chi aveva male a un dente, chi aveva mal di pancia.

Il nonno li conosceva uno per uno,  e per tutti aveva un rimedio.

Un giorno bussarono alla sua porta alcuni gnomi,  gli chiesero di seguirlo perché avevano bisogno del suo aiuto. In pochi minuti era pronto per partire, aveva messo nel vecchio zaino tutto quello che poteva servire per curare qualsiasi malanno.

Non chiese nulla agli gnomi, non era la prima volta che li aiutava: un animale preso in una trappola, un altro scivolato in una buca, un uccellino caduto dal ramo con una ala spezzata…

Questi erano alcuni degli interventi che aveva dovuto fare. Quindi pensò che anche questa volta si sarebbe trattato di qualcosa di simile.

Dopo aver attraversato vari ruscelli e alcuni sentieri gli gnomi si fermarono. Il nonno non credeva ai propri occhi, davanti a lui, sdraiata in un tappeto di foglie, c’era una bimba bellissima , dai capelli rossi.

Dormiva e il nonno rimase estasiato da quel fagottino tenero. La prese delicatamente in braccio e, prima che giungesse la notte, la bimba era già nella casetta del nonno. La rifocillò con del buon latte caldo di capra e dopo poco tempo questa  si addormentò.

Chi era questo essere stupendo, come si chiamava, chi l’aveva portata nel bosco? Queste, insieme ad altre mille domande affluirono nella sua mente.

Più volte, parlando con gli amici gnomi, aveva confidato loro che si sentiva solo, che avrebbe voluto un po’ di compagnia, soprattutto in inverno, dove molti animali andavano in letargo per cui il suo “lavoro” era ridotto.

Capì che gli gnomi, avendo poteri magici, in cambio dei suoi servizi giornalieri, avevano voluto fargli un dono meraviglioso.

Il nonno e la bimba, che chiamò Arianna, divennero inseparabili. Questa  conquistò il cuore di tutti gli animali del bosco per la sua gentilezza, disponibilità e bontà.

Il nonno le insegnò a curare tutti i problemi dei suoi piccoli e grandi amici.

Arianna crebbe e diventò una splendida ragazza, dai lunghi capelli lisci e morbidi.

Un giorno un giovane cacciatore bussò alla porta del nonno  perché si era procurato una ferita alla gamba, venne curato da Arianna,  ma rimase affascinato dalla sua bellezza e gentilezza.

Dopo poco tempo si sposarono invitando tutti gli animali del bosco.

E rimasero per sempre a vivere nel bosco, in una capanna e vissero per sempre felici e contenti.

I due uccellini amici

Due uccellini sono in un prato,
uno dei due però è azzoppato,
non si sa bene come è successo
e purtroppo, è proprio mal messo.
 
L’altro uccellino si ferma a guardare
e non capisce che cosa può fare,
gli lecca la zampa, lo vuole guarire,
è molto triste vederlo patire.
 
Gli porta un vermetto, lo vuol consolare,
è l’unica cosa che adesso può fare.
Deve pensare, lui è ancora piccino,
ma ha un cuore grande, come un mastino.
 
Per quanto ci pensi non c’è nulla da fare
e solo il tempo lo può risanare,
può stargli vicino, farlo mangiare,
la compagnia non gli deve mancare.
 
Passano i giorni e sono poi tanti,
l’uccellino sta bene, ce l’ho qui davanti,
comincia a saltare sulla zampina,
è buona cosa, mi dice una vocina…
 
Allora ho capito che l’amore fa tanto,
sono stato bravo e un po’ me ne vanto,
niente è nessuno ci potrà separare,
se guardi su in cielo ci vedrai volare.
 

Suor Chiara di Cerbaiolo

Mi ha molto colpito leggere notizie riguardanti il modo di vivere di questa semplice donna, nata come Maria Annunziata Barboni, conosciuta poi come Suor Chiara.

Nata a Porto Corsini nel 1924, una piccola frazione di Ravenna, un tipico villaggio di pescatori, questa eccezionale donna, apparteneva all’ordine della piccola fraternità Francescana di Santa Elisabetta d’Ungheria, ma la sua spiritualità era talmente semplice, da ricercare come posto in cui vivere la sua vita, un ambiente solitario, in mezzo alla natura.

Come eremo scelse il Monastero benedettino di Cerbaiolo, in provincia di Arezzo. La guerra lo aveva devastato e nel 1966 lei curò la ricostruzione di una porzione e ci andò a vivere. Aveva sentito dentro di sé che quello era il posto che cercava.

E ci visse per trent’anni, insieme a un piccolo gregge di caprette.

Donna di grande spiritualità, lavorando nella stalla la si sentiva pregare il Padre Nostro, ma con parole sue. Dacci oggi il nostro fieno quotidiano….

La sua casa era la sua Chiesa, ed era anche un rifugio per animali, loro erano la sua famiglia e il suo mondo. Pregava con loro davanti al fuoco, o durante altre incombenze normali.

Chi ha avuto l’onore di poterla conoscere non ha avuto difficoltà a riconoscere la sua semplicità e la profonda saggezza di chi, ponendosi le domande immutabili nascoste in noi, aveva trovato le risposte.

Il suo più grande desiderio: quello di andare in Paradiso, non solo in terra, ma anche in cielo.

È mancata il 29 Aprile 2010 ed è stata seppellita nel cimitero monastico ai piedi dell’antico monastero.

La leggenda della donna foca

Mitica leggenda irlandese, raccontata in più versioni.

Più precisamente si tratta di Selkie, creature mitologiche della mitologia irlandese, islandese, e scozzese che possono trasformarsi da foche a donne nelle notti di luna piena.

Si credeva che le foche fossero persone annegate in mare e che una volta l’anno ritornassero sulla terra, si togliessero la pelle di foca e ritornassero umane per una notte di danze.

Scrivo della versione irlandese, più fantastica, delle Isole Faroe, più precisamente a Mikladalur, isola al Nord dell’Irlanda, un piccolo paesino molto caratteristico e tenuto bene, dove è situata la statua della donna foca.

Un giorno un contadino, che voleva vedere se esistevano veramente le Selkie, si nascose sulla spiaggia per osservare e da lì vide una bellissima donna foca.

Sottrasse il manto della giovane ragazza che, in questo modo, non poté più tornare in mare. Il giovane la costrinse poi a restare con lui e sposarlo, mentre teneva il manto sotto chiave in uno scrigno.

Un giorno, mentre è in mare a pescare, si accorge di non aver portato con sé la chiave dello scrigno e, quando torna a casa, trova che la sua sposa è già fuggita in mare, con i suoi simili.

Da quel giorno il contadino non la vide più, anche se, quando usciva in mare, una foca si aggirava costantemente attorno alla sua barca.

Tratto da:

 

La lucciola Lumière

C’era una volta una piccolissima lucciola che si chiamava Lumière.

Era una lucciola molto speciale, le piaceva girovagare per i prati da sola e quando le altre lucciole la chiamavano per unirsi a loro, faceva finta di non sentire e andava dalla parte opposta.

Le altre lucciole giocavano, facevano scherzi agli animali, si posavano su di loro facendo così notare ai predatori la loro presenza, insomma erano molto birichine. Ma la nostra lucciola no, era molto seria e l’unico suo passatempo era girare in lungo e in largo intorno a una coppia di lampioni innamorati.

Questi notavano la presenza della lucciola  che ogni sera andava a trovarli, ma a loro non dava fastidio.

Come ogni sera la lucciola partiva verso il parco dove vivevano i due lampioni, che con il  loro silenzio le tenevano compagnia, ma un giorno accadde qualcosa di speciale, una lucciola aveva urtato con la sua pancina, dove emana la luce, contro un grosso ramo e la luce si era spenta.

Non aveva possibilità di vedere nulla e al buio, unirsi alle altre lucciole che ormai erano lontane, era difficile. Si sentiva sola, aveva paura, tremava. “Oh povera di me, esclamava, come faccio a ritornare a casa, a ritrovare i miei fratelli…E comincio a singhiozzare “sigh, sigh”.

Tutto questo attirò l’attenzione di Lumière che, incuriosita, si avvicinò alla povera lucciola.

“Cosa ti è successo? Ti sembra il caso di fare tanto rumore e disturbare con i tuoi lamenti questa quiete? Non puoi andare più lontano a piangere?”.

La poverina smise di piagnucolare ma trovò molto strano il comportamento di questa suo fratello, dovrebbero essere amici visto che il Signore li aveva fatti uguali, dovrebbero aiutarsi l’un l’altro, dovrebbero condividere i propri dispiaceri, come mai invece non era così?

Comunicò tutto questo alla lucciola e questa, per la prima volta, capì che il suo comportamento era sbagliato. Faceva parte del gruppo, il suo posto era con loro. E cominciò subito la sua opera, fece da guida notturna, con la sua luce, alla povera lucciola, che riuscì così a riunirsi alle altre.

Comprese per la prima volta cosa era la felicità, aveva aiutato un suo simile, gli aveva fatto da guida e compagnia, aveva potuto ridargli la serenità e ricondurlo dai loro fratelli e amici.

Da quel giorno non si separò più dal gruppo, imparò che giocare e ridere è molto bello, che condividere un percorso di vita con qualcuno ti rende più ricco dentro.

Morale: andiamo sempre al di là delle apparenze, ritroviamo la  luce dentro di noi  e  facciamola  brillare…è nel buio che  la nostra luce brillerà di più!

Canzone: La barchetta di carta

Ho sempre scritto filastrocche o favole abbinando poi una grafica o un disegno, questa volta invece ho fatto il contrario. 

Mi è venuta in mente una vecchia canzone dello zecchino d’oro, del 1993, intitolata La barchetta di carta. 

Riporto di seguito il testo.

Con una pagina di un vecchio giornale
Là sulla spiaggia un nonno occasionale
Mi ha fatto una barchetta un po’ speciale
Che galleggia superba sul mare.

È proprio bella, mi sembra un’ammiraglia
Mi piace tanto perché mi fa sognare
Non è mai stanca e si lascia guidare
Per ore ed ore senza brontolare…

Non ci sto dentro, ma sono il capitano
E la manovro con una sola mano
Solchiamo i mari immensi della fantasia
Poi torno a casa perché ho nostalgia

Ho già girato
In lungo e in largo il mondo
Ma che succede?
La barca si è inzuppata…
Ahimè! La mia ammiraglia è affondata!
Chissà se il nonno me ne farà un’altra…

È proprio bella, mi sembra un’ammiraglia
Mi piace tanto perché mi fa sognare
Non è mai stanca e si lascia guidare
Per ore ed ore senza brontolare…

Non ci sto dentro, ma sono il capitano
E la manovro con una sola mano
Solchiamo i mari immensi della fantasia
Poi torno a casa perché ho nostalgia

Non ci sto dentro, ma sono il capitano
E la manovro con una sola mano
Solchiamo i mari immensi della fantasia
Poi torno a casa perché ho nostalgia…

Il coraggio dei fratellini colombiani

Stamane ho appresa la notizia del ritrovamento dei 4 fratellini, che hanno girovagato nella foresta amazzonica colombiana per 40 giorni, dopo un incidente aereo, dove hanno perso la vita la mamma e altri 2 adulti.

Non voglio in questo articolo parlare della vicenda perché in questi giorni si potrà leggere e sentire molto di questo miracolo straordinario, ma mi sento di fare un momento di riflessione su questo fatto.

Il senso logico fa pensare che se tutti i 4 bambini si sono salvati saranno stati seduti in una parte dell’aereo che li ha salvati, ma mi piace credere che il tutto possa essere un monito.

In molte scuole vengono organizzate gite al Parco avventura, dove vengono utilizzati dai bambini i “ponti tibetani”, cioè ponti traballanti, i “tree climbing”, comunemente detta arrampicata sugli alberi, l’utilizzo di liane e molto altro, tutto questo in estrema sicurezza. Per loro può essere un gioco, ma se anche una minima parte di questo potesse essere d’aiuto in circostanza estreme, sarebbe bellissimo.

Per i bambini cambogiani non era un gioco, ma una realtà, di cui non si sarebbero mai aspettati di far parte. Eppure anche loro ne sono usciti “provati”, ma indenni.
Non sottovalutiamo mai la capacità dei bambini!

Sicuramente, in questa storia, il fatto che fossero tutti insieme ha decisamente instaurato in loro l’istinto di sopravvivenza e, anche se debilitati e consapevoli che la loro mamma non c’era più, credo che sia stato essenziale che vi fossero anche due bambini più grandi, su cui il gruppo si è appoggiato, ma se pensiamo alla responsabilità che si sono addossati, da soli in una giungla per così tanto tempo, mi fa venire la pelle d’oca.

La speranza, unita all’aiuto che hanno ricevuto tramite kit di soccorso inviati per via aerea, le loro capacità nel muoversi nella giungla, costruendo rifugi improvvisati e mangiando frutta hanno rappresentato per loro la salvezza

Mi ha molto colpito, come nonna, leggere che parte di questo lieto fine è legato alle conoscenze ancestrali trasmesse dalla loro nonna. Si racconta che uno degli elicotteri utilizzati per la ricerca abbia diffuso un messaggio, registrato proprio da questa, in lingua huitoto che diceva loro di smettere di muoversi nella giungla. Credo che se hanno avuto modo di sentire la registrazione , questo li abbia aiutati a non sentirsi soli.

 E vorrei allora ricordare tutti gli altri bambini coraggiosi, in un modo o in un altro, di cui ho scritto nel blog in questi anni :

Andrè Roussimoff:
http://www.tiraccontounastoriablog.com/?s=Andr%C3%A8+Roussimoff+

Bimba sirena: 
http://www.tiraccontounastoriablog.com/?s=la+bimba+sirena

Frida Kahlo:
http://www.tiraccontounastoriablog.com/?s=Frida+Kahlo+

Gypsy Blanchard:
http://www.tiraccontounastoriablog.com/?s=Gypsy+Blanchard+

Hellen Keller:
http://www.tiraccontounastoriablog.com/?s=Hellen+Keller

Johnny Clem, il tamburino
http://www.tiraccontounastoriablog.com/?s=Johnny+Clem+

Le gemelle Dionne:
http://www.tiraccontounastoriablog.com/?s=Le+gemelle+Dionne

Mowgli, la bimba indiana:
http://www.tiraccontounastoriablog.com/?s=Mowgli

Mr Mowgli tra i lupi:
http://www.tiraccontounastoriablog.com/?s=Mr+Mowgli+tra+i+lupi

Ruby Bridges:
http://www.tiraccontounastoriablog.com/?s=Ruby+Bridges

Stephen Hawking:
http://www.tiraccontounastoriablog.com/?s=Stephen+Hawking+

Suzanne Walcott (bambole Gorjuss) :
http://www.tiraccontounastoriablog.com/?s=Suzanne+Walcott%2C+

Wang Fuman, la storia di fiocco di neve:
http://www.tiraccontounastoriablog.com/?s=Wang+Fuman

Il silenzio dell’anima

Le mie parole cadono nel vuoto, 
come scintille di un fuoco
che arde nel camino.
Scivolano via lente,
si depositano a terra,
calpestate da un’ombra
che vaga cupa intorno.
Ma restano impresse in me,
vengono spinte all’interno
e bruciano in un cuore
che esplode d’amore.
Un cuore ferito, straziato,
sofferente, così come la vita
che sta scorrendo inesorabile,
lenta, ma ancora vitale,
alla ricerca di quello
che non esiste più.

L’erba voglio

C’era una volta un Re che viveva nel suo bellissimo Castello con la moglie, la Regina e il suo figlioletto di 4 anni, Nicolas.

Il principino era molto viziato, ogni giorno pretendeva che il Re gli procurasse nuovi giocattoli, ma più ne faceva pervenire  a corte più Nicolas ne voleva, a tal punto che il suo gioco principale non era giocarci ma romperli, pretendendone così sempre di nuovi. 

“Voglio una nuova macchinina”; “Voglio un nuovo triciclo”; “Voglio un nuovo trenino”…

Voglio, voglio, voglio, il principino ogni giorno chiedeva questo al papà. Il Re, per accontentarlo, faceva sempre pervenire alla Reggia tutto quello che lui chiedeva, ma pur avendo di tutto Nicolas non era felice, non era capace a giocare!

Tutti i sudditi del paese sapevano che il Re aveva difficoltà a farsi ubbidire dal figlio e, pur rispettandolo e amandolo molto, criticavano questo suo modo di comportarsi.

Un giorno arrivò al Castello un vecchio saggio, spacciandosi per un Mago e propose al Re che poteva aiutarlo, seminando nel suo giardino un’erba magica, “l’Erba Voglio”.

Questi gli promise che, una volta cresciuta, al principino sarebbe bastato mettersi vicino a questa e gridare a voce alta quello che desiderava e in pochi secondi quello richiesto sarebbe apparso.

Quale miglior proposta potevano fare al Re!

Non doveva più badare ai capricci del figlio, non doveva più mandare i suoi maggiordomi a cercare questo o quell’altro giocattolo.

Il Re accettò volentieri l’offerta.

Il vecchio vangò a mano un pezzetto di prato, seminò l’erba magica e ogni giorno venne al Castello a bagnarla.

Quando questa fu cresciuta il vecchio annunciò al Re che il suo lavoro era finito, ora il giardiniere del castello non doveva far altro che bagnare e tagliare l’erba, una volta cresciuta. 

Quando il Re volle ricompensare il vecchio, questi rifiutò dicendogli che non voleva essere pagato, che lo rispettava e che questo era un suo regalo.

Dopo averlo ringraziato e congedato il Re pensò di chiamare il figlioletto spiegandogli quello che doveva fare, ma curioso e con il desiderio di aumentare le sue ricchezze, si mise di fronte al prato, guardandosi bene attorno che nessuno le vedesse e sentisse e cominciò a gridare “Voglio una carrozza tutta d’oro”, aspettò, ma non successe niente.

Convinto di aver chiesto troppo gridò “Voglio un baule di pietre preziose”.

Ma anche questa volta non apparì nulla. Continuò a fare diverse richieste ma non successe mai niente.

Capì così di essere stato imbrogliato dal vecchio, che l’Erba voglio non esisteva.

Dopo un attimo di collera verso il vecchio, perché lo aveva preso in giro, capì la lezione, se i suoi desideri fossero stati esauditi non si sarebbe mai fermato, avrebbe voluto sempre di più.

Ed era esattamente quello che lui faceva con Nicolas, lo esaudiva sempre e questi pretendeva sempre qualcosa di diverso.

Da quel momento cominciò a dire “No” al figlio che, sorpreso da questo cambiamento, ma amando molto il padre, non osò replicare.

Da allora imparò a ubbidire e a giocare con quello che possedeva, si fece degli amici e incomincio a capire che giocare è bellissimo.

E avere anche tanti amici!

La minestra di sassi

Ho letto nel web  più volte questa “fiaba”, che ha subito diversi adattamenti, ma il fine, la condivisione, c’è in ognuna.   

Un giovane, stanco e affamato, un giorno giunse in un piccolo villaggio. Faceva freddo e c’era la neve per terra.

Bussò ad ogni porta chiedendo cibo e riparo, ma tutti gli rispondevano che non avevano niente da dargli. Allora il giovane, a mezzogiorno in punto, nella piazza del paese, dallo zaino tirò fuori una pentola, e la riempì di neve, accese un fuoco sotto la pentola, e aspettò che la neve si sciogliesse.

Gli abitanti del villaggio rimasero attoniti, e si chiedevano che cosa stesse mai facendo.

Il giovane poi tirò fuori dallo zaino due grossi sassi ben levigati e li buttò nell’acqua ormai bollente, ma piano, ad uno ad uno, in modo che tutti quelli che lo stavano spiando potessero vedere bene.

“Cosa stai cucinando?” esclamò un vecchietto.“La minestra di sassi!” rispose lo sconosciuto.

Poi dal sacco tirò fuori un cucchiaio, e si mise a rigirare l’acqua bollente, poi l’assaggiò e se ne compiacque, come se avesse assaggiato la migliore minestra del mondo.

“È buona?” chiese sempre il vecchietto.

“Eccome!” disse il giovane, “ma con un paio di cipolle sarebbe ancora migliore”.

“Io un paio di cipolle ce l’ho, vado a prenderle a casa e le porto subito!” disse un altro anziano, si allontanò e ritornò con le cipolle.

Il giovane le mise nella pentola, le rigirò, e poi assaggiò di nuovo con il suo cucchiaio. E allora disse: “Beh, se ci mettessimo anche qualche carota, e un po’ di patate, sarebbe proprio perfetta!”.

E allora la gente andò a procurare quanto lui aveva chiesto e glielo portò.

La minestra cominciò ad emanare un buon profumo e gli abitanti avevano l’acquolina in bocca.

E allora alcuni proposero: “Perché non ci mettiamo anche delle ossa di manzo? Pensate che si possano aggiungere alla vostra minestra?” Il soldato rispose di sì, e allora di lì a breve poté aggiungere anche quelle alla minestra; alcuni portarono anche un po’ di sale e di formaggio, e il ragazzo aggiunse anche questi ultimi ingredienti.

La minestra ormai era pronta e aveva un ottimo profumo.

Il giovane sconosciuto ne versò la prima scodella per il vecchietto che gli aveva fatto la prima offerta e ne versò anche agli altri abitanti, e infine anche per lui.

Tutti mangiarono insieme intorno al fuoco, chiacchierando amichevolmente.

Una volta che si furono saziati, qualcuno iniziò a cantare, altri a ballare, e l’atmosfera si fece sempre più allegra e festosa.

Ad un certo punto il giovane se ne andò senza essere visto, mentre gli abitanti del villaggio stavano ancora facendo festa.

Nessuno lo vide più.

La formichina solitaria

C’era una volta una formichina molto pigra, non le piaceva assolutamente lavorare. Si sa che le formiche sono delle grandi lavoratrici instancabili che trasportano con le loro mandibole tutto ciò che può servire, anche se è molto più pesante di loro,  lavorando di gruppo, ma la nostra formichina era diversa!

Ella amava la solitudine, girovagava tutto il giorno di qua e di là, curiosando tra le altre famiglie di animali che occupavano il bosco.

Era talmente piccola che passava inosservata.  

La formica Regina  aveva imposto una nuova legge: ogni oggetto o cibo che ogni singola formica operaia portava all’interno del formicaio doveva servire esclusivamente alle altre formiche e non a se stessa. Alle sue necessità avrebbero provveduto le altre.

La nostra piccola formica, molto furba, aveva appreso bene questo nuovo comando, considerando che per lei ci sarebbe stato sempre cibo a disposizione, quindi perché preoccuparsi? Poteva fare a meno di lavorare, di trasportare oggetti o cibo verso la tana, intanto a lei non sarebbero serviti!

Arrivò così l’inverno e con l’inverno arrivò la neve, la possibilità di procurare nuovo cibo era inesistente, ma la scorta che le altre formiche, in tanti mesi di lavoro, giorno dopo giorno, con grande fatica avevano racimolato, era notevole. Semi, briciole, insetti, foglie…

Ma la formica Regina si era accorta che la nostra formichina non aveva mai portato nulla nella tana, rientrava la sera ma non era stanca come le altre, per cui, in pieno inverno, la allontanò , non poteva far parte del gruppo.

La poverella si trovò così da sola, infreddolita, affamata e, nel silenzio del bosco, cominciò a capire il grande errore che aveva fatto: aveva pensato solo a se stessa!

Come poteva rimediare? Non voleva stare lì da sola, l’inverno era lungo, poteva ammalarsi per il freddo, poteva morire di fame.

Così volle rimediare al suo errore, cominciò a perlustrare la zona in cerca di qualcosa da portare nel formicaio, con la speranza che la Regina l’avrebbe perdonata.

Si avventurò dentro il bosco, vicino alle case, alla ricerca di qualcosa da mangiare e, con grande stupore, vide dei bambini giocare con la neve, dopo aver fatto colazione. Per terra c’erano molti pezzetti di cibo strano, diverso: briciole di patatine, cracker, brioche, noccioline, bucce di frutta. Eureka, se portava questo nuovo cibo nella tana la Regina l’avrebbe perdonata.

E fu così! La Regina, visto che aveva capito il suo errore la perdonò e…tenne per se quel cibo così strano e buono!

                                                                    

Rosa Parks: la madre del movimento per i diritti civili

Ho finito di leggere un testo di psicologia di Luca Mazzucchelli, che non ha bisogno di pubblicità per farsi conoscere, avendo fatto molti video che sono online su YouTube.

Luca è uno psicoterapeuta e imprenditore che ha trovato nella società il suo spazio, dopo il classico rodaggio e, ammettiamolo, anche con la fortuna di aver qualche incontro importante. Ma non si è mai tirato indietro e ha avuto coraggio di affrontare molte cose.

Nel libro si parla proprio di questo coraggio che tutti dovremmo avere per poter andare avanti, per poter arrivare a essere felici. Cita anche alcuni personaggi che hanno avuto il coraggio di fare alcune scelte e sono stati premiati.

Ma non è di Luca che vorrei parlarvi, ma di Rosa Parks, che egli cita appunto nel libro, quando tratta l’argomento sul coraggio.

Rosa Parks nasce a Tuskegee, Alabama (Stati Uniti) nel 1913. A diciannove anni  sposa Raymond Parks, barbiere di carnagione bianca, che faceva parte del movimento per i diritti civili. Dividendosi tra il lavoro di sarta e l’attivismo politico al fianco del consorte, si distinse per il supporto offerto a nove ragazzi afroamericani (gli Scottsboro Boys), che dopo una rissa su un treno vengono accusati ingiustamente di aver usato violenza su due ragazze bianche, a cui la Parks mostrerà supporto emotivo e concreto, partecipando e organizzando diverse iniziative a favore della loro liberazione.

Ma l’avvenimento più eclatante è avvenuto Il 1 Dicembre 1955, a Montgomery, Alabama. Terminata la giornata lavorativa, la quarantaduenne Rosa Parks, di pelle nera e di professione sarta, prende l’autobus 2857, diretta a casa. Si siede in una fila centrale, ma quando dopo poche fermate sale un passeggero bianco, il conducente le chiede di alzarsi per lasciargli il posto, come impongono le regole.

Rosa conosce perfettamente queste regole: i neri siedono dietro, i bianchi davanti, mentre i posti centrali sono misti e si possono usare solo se tutti gli altri sono occupati, ma la precedenza spetta sempre ai bianchi. «Non stavolta», pensa Rosa, e senza rifletterci troppo risponde che «no», non intende alzarsi. A quel punto, il guidatore del mezzo chiamò la polizia che arrestò la donna.

La Parks fu quindi incarcerata con l’accusa di “condotta impropria”, ma poche ore dopo l’accaduto venne scarcerata grazie a Clifford Durr, un avvocato bianco e antirazzista, da sempre impegnato nella battaglia per i diritti civili della comunità afroamericana, che decise di pagare la cauzione alla donna.

«Dicono sempre che non ho ceduto il posto perché ero stanca, ma non è vero. Non ero stanca fisicamente, non più di quanto lo fossi di solito alla fine di una giornata di lavoro… No, l’unica cosa di cui ero stanca era subire»

Quel rifiuto la trasforma all’improvviso in un’eroina dei diritti dei neri.

Fu citata come “La madre del movimento per i diritti civili”.  


L’autobus citato, ora esposto all’Henry Ford Museum

 

Tratto da:
https://it.wikipedia.org/wiki/Rosa_Parks

https://www.studenti.it/rosa-parks-storia-biografia-e-pensiero.html

https://www.focus.it/cultura/storia/la-storia-di-rosa-parks-eroina-dei-diritti-dei-neri

Il topo e il gatto

C’era una volta un grossissimo topo che viveva in una bella casa di campagna. Si era costruito da solo la sua tana scavando, giorno dopo giorno, nel muro della cantina.

Gin, questo il nome del topone, ogni notte usciva dalla sua abitazione, per andare in cucina a mangiare, divorando fino alla sazietà tutto quello che trovava, e portando con sé sempre qualcosa: pane, frutta, biscotti, tutto quello che poteva.

La padrona di casa vedeva sempre che, parte del cibo lasciato per il figlio, al mattino non c’era più, ma credeva che lo avesse mangiato di notte. E quindi, ogni sera si ripeteva la stessa cosa.

In questa casa viveva anche Tommy, un giovane gatto molto dormiglione che non si accorgeva mai di nulla. A lui bastava mangiare e dormire!

Ma una notte accadde un fatto increscioso: Gin, dopo aver divorato una gran quantità di quella pappa, pronto a rientrare nella sua tana, rimase incastrato nel buco, non andava né avanti né indietro.

Spingeva, si dimenava ma non c’era nulla da fare.

Povero me, pensò, Se la padrona di casa mi vede mi farà mangiare dal gatto! Aiuto! Cominciò a sbattere la coda di qua e di là con l’intento di riuscire a passare ma niente da fare.

D’un tratto tutto questo rumore svegliò Tommy che, mezzo addormentato, vide questa scena ridicola: il grosso sedere di un topo che sporgeva da un buco!

Voleva aiutarlo ma non poteva tirarlo per la coda perché gli avrebbe fatto male, quindi cominciò a spingere una, due, tre volte finché il topo riuscì a uscire dal buco facendo un bel capitombolo.

Finalmente sono libero!

Però adesso come poteva mangiare? Non riusciva più a passare da quell’apertura…

Dopo una settimana di digiuno la pancia diminuì, quindi riuscì a passare dal buco e andare a ringraziare il suo amico gatto.

Quella lezione gli era servita anche se continuò sempre a rubare qualcosa ma in maniera limitata, solo il necessario.

Divenne così un bel topo elegante e l’amicizia fra lui e il gatto durò per tantissimi anni.

E la padrona di casa? Sta ancora domandosi come mai il figlio, di notte, non ha più fame!

Sally Swatland, la pittrice dei bambini sulla spiaggia

Amando molto il mare e i bambini, non potevo non scrivere nel mio blog la storia di Sally Swatland.

Nella sua vita mi ci ritrovo, avendo avuto un papà violinista e un antenato, Nicolò Barabino,  restauratore di affreschi nelle Chiese di Genova e dei paesi limitrofi.

Sally nasce nel 1946 a Washington, circondata da artisti. Sua nonna era una violinista da concerto, sua zia un’artista di talento e sua madre suonava il piano e cantava in diversi cori.

Sally era super dotata già da piccola, infatti ha iniziato a dipingere all’età di 5 anni, così come le sue due sorelle.

Ha sempre saputo che voleva diventare un artista, forse non era tanto una decisione quanto un istinto generale a guidarla. La sua famiglia ha incoraggiato i suoi talenti naturali acquistandole colori e cavalletti.

Adesso forse questo può rientrare nella normalità, con i vari corsi per bambini proposti su YouTube o altri canali, addirittura ci sono kit di disegni per bambini con impressi i numeri che corrispondono a un determinato colore. Questo facilita molto il tutto, ma è privo di estro.

All’età di sette anni la sua famiglia si trasferì a Greenwich, nel Connecticut, dove trascorse lunghi periodi in campagna e in varie località balneari. La maggior parte dei giorni estivi furono trascorsi giocando in pozze di marea, inseguendo pesciolini, raccogliendo conchiglie ed esplorando.

Durante la sua infanzia e adolescenza Sally ha sempre dipinto e disegnato, sviluppando la sua capacità di osservazione mentre registrava il mondo intorno a lei. Al liceo si è iscritta a corsi d’arte, mentre alla laurea aveva eccelso al punto che le era stato conferito il premio d’arte per la sua classe di laurea.

Nel 1964 Sally entra al Mount Saint Vincent College di Riverdale, New York, come specialista in arte. Nel 1969, frequenta la Art Students League di New York, prendendo il treno tutti i giorni per frequentare le lezioni. Lì studia disegno e pittura di figure e ritratti per sei anni sotto la direzione di Robert Schulz, un illustratore che ha continuato la tradizione di Norman Rockwell ed è diventato famoso per le sue illustrazioni che abbellivano le copertine di molti libri di Zane Gray.

Aveva ricevuto una vasta formazione sia nella pittura di figura che in quella di paesaggio ed era stata introdotta a diversi approcci, ma era alla ricerca del proprio stile e del proprio pubblico.

Un assolato pomeriggio d’estate, mentre si rilassava con sua madre al Todd’s Point, Sally decise di scattare alcune foto di bambini che giocano nelle pozzanghere, catturando il rapporto tra loro e il modo in cui giocano. Sally lo descrive: “La spiaggia è un luogo perfetto per catturare i bambini e le loro relazioni perché sono spensierati, intensi e felici”.

Dal momento che non era in grado di dipingere in quel momento, si è presa il tempo per assorbire ciò che la circondava, memorizzando e studiando l’acqua, la sabbia, i riflessi e l’atmosfera.

Una volta a casa trasse da queste foto lo spunto per eseguire un piccolo dipinto che mostrò agli amici in quali lo apprezzarono molto. Presto comprese che il suo tema preferito era la spiaggia, dove aveva trascorso tanto tempo crescendo.

Aveva trovato il suo soggetto!

Si sposò nel 1070 con Frank Swatland, amico di famiglia, che le è sempre stato accanto collaborando ai suoi progetti,  fotografando tantissime immagini, di aiuto per i suoi dipinti.

Nel 1975 nacque la sua prima figlia, Noelle, che è diventata una delle sue modelle preferite per queste composizioni.

Chiaramente, Sally aveva trovato i suoi soggetti e un pubblico per loro : vedute di bambini che giocano sulla spiaggia o in un giardino lussureggiante.

Quando i suoi figli sono cresciuti (la sua seconda figlia Katie è nata nel 1981), la famiglia ha viaggiato alla scoperta di altre spiagge. Trascorsero molto tempo sulla costa occidentale, esplorando le comunità costiere della California.  Sulla costa orientale, si godettero le spiagge del Maine lungo la North Shore del Massachusetts e fino a Cape Cod. Le spiagge sono diventate una parte importante e stimolante della loro vita familiare.

Per gran parte degli anni ’80, Sally si è concentrata sulla sua famiglia, trascorrendo molto tempo con i suoi figli. Ha continuato con le sue commissioni di ritratti e si è dilettata a catturare i suoi giovani modelli mentre giocavano sulle spiagge e sui giardini che visitavano. La sua macchina fotografica ha continuato ad essere un registratore importante per i suoi dipinti. Trascorreva molti giorni estivi sulle spiagge e nei giardini intorno a Greenwich, dove portava le sue figlie e le loro amiche e le fotografava.

Portava una varietà di vestiti colorati e un assortimento di cappelli, trascorrendo una notevole quantità di tempo alla ricerca dell’abbigliamento giusto. L’ombrello, la borsa da spiaggia, la fascia o la sedia giusta potevano dare un tocco di colore in più al dipinto. I suoi servizi fotografici sulla spiaggia, in particolare, attiravano sempre una folla, soprattutto di bambini piccoli, permettendole di accedere a ancora più modelli.

Nel 1986 ha avuto un incontro casuale con i proprietari di Caspari, un’azienda di biglietti di auguri con sede a New York. Questo si è trasformato in un lavoro e nei successivi 14 anni ha creato più di 150 disegni originali che sono stati utilizzati su numerosi biglietti di auguri. 

Sally ancora spesso dipinge dal suo studio, non ha più bisogno delle foto, conosce così bene l’acqua e la flora che può contare sui suoi sensi.

Attualmente è membro della Copley Society, Società americana degli artisti marini. Ha vinto moltissimi importanti premi ed è stata coinvolta in numerosi enti di beneficenza.

Kevin Woods e gli leprechaun

In questi giorni ho letto un articolo che parla degli Leprechaun. Avendone sempre sentito parlare come leggenda e avendo fatto dei lavori di grafica su di essi, questo articolo mi ha colpito tantissimo.

Kevin Woods, chiamato “leprechaun whisperer” (colui che sussurra ai leprecauni), è un irlandese di mezza età che vive a Carlingford, a nord di Dublino che è considerata la capitale dei folletti.

Egli è l’ultimo iralndese ritenuto in grado di interagire con loro ed ha ottenuto l’autorizzazione per rendere accessibile la Leprechaun Cavern, vicina allo spettacolare fiordo di Carlingford Lough, in cui si troverebbero 230 folletti.

Entrando in questo tunnel si arriverebbe direttamente alle case dei folletti.

Il signor Woods afferma che queste indicazioni gli sono state fornite da un  predecessore più anziano.

Questa zona dell’Irlanda è famosa per essere una “terra di antiche leggende”. Il delizioso villaggio medievale di Carlingford ed è considerato un posto magico.

Kevin Woods è un importante sostenitore e attivista del folletto con una storia di campagne per i diritti del folletto.

Secondo il sussurratore di folletti, questi stanno bene, anche se il loro numero è  diminuito  negli ultimi tempi.

“C’erano milioni di loro qui in Irlanda e sono morti tutti tranne 236 di loro. Sono  davvero il custode di loro e delle loro vite e lo faccio da quando ho ottenuto loro una specie protetta.”

Durante un’intervista, il  signor  Woods ha spiegato che, mentre la maggior parte delle  persone  non può vedere i folletti, egli ha questi poteri ed essi gli appaiono e comunicano “attraverso un’esperienza fuori dal corpo. I folletti sono spiriti, si manifestano a me come folletti e li visito ogni giorno”.

Il St. Patrick’s Day, ovvero la festa del santo patrono di Irlanda San Patrizio, si celebra ogni anno il 17 Marzo, ed è la festa più importante dell’anno nella Repubblica d’Irlanda.

Tratto da:
https://carlingford.ie/listing/the-last-leprechaun-whisperer/

https://www.irishpost.com/news/leprechaun-whisperer-says-the-mythical-irish-fairies-dont-have-a-problem-with-lockdown-185757

L’albero di Shel Silverstein

Sheldon Allan “Shel” Silverstein(1930-1999), nato a Illinois, è stato un poeta, cantautore, disegnatore, drammaturgo, paroliere, scrittore e musicista. Sapeva suonare chitarra, piano, sassofono, e anche il trombone.

I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Ha alternato magistralmente l’attività di musicista e compositore a quella di scrittore e poeta.

Nel 1963, su suggerimento di un  collega, viene presentato a Ursula Nordstrom, che lo convince ad iniziare a scrivere racconti e storie per bambini.

Uno dei suoi libri illustrati più popolari è The Giving Tree (L’albero che dà), scritto nel 1964. 

Il libro ha suscitato però alcune controversie. La trama si presta a svariate interpretazioni riguardo il legame di amicizia e sfruttamento fra i due interpreti.

L’albero ha vinto nel 2015  il premio Andersen, come miglior libro mai stato premiato.

C’era una volta un albero che amava un bambino. Il bambino veniva a visitarlo tutti i giorni. Raccoglieva le sue foglie con le quali intrecciava delle corone per giocare al re della foresta. Si arrampicava sul suo tronco e dondolava attaccato ai suoi rami. Mangiava i suoi frutti e poi, insieme, giocavano a nascondino.

Quando era stanco, il bambino si addormentava all’ombra dell’albero, mentre le fronde gli cantavano la ninna nanna. Il bambino amava l’albero con tutto il suo piccolo cuore. E l’albero era felice.

Ma il tempo passò e il bambino crebbe. Ora che il bambino era grande, l’albero rimaneva spesso solo.

Un giorno il bambino venne a vedere l’albero e l’albero gli disse: “Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami, mangia i miei frutti, gioca alla mia ombra e sii felice”.

“Sono troppo grande ormai per arrampicarmi sugli alberi e per giocare, disse il bambino. Io voglio comprarmi delle cose e divertirmi. Voglio dei soldi, puoi darmi dei soldi?” “Mi dispiace” – rispose l’albero – ma io non ho dei soldi. Ho solo foglie e frutti: prendi i miei frutti, bambino mio e va a venderteli in città. Così avrai dei soldi e sarai felice”.

Allora il bambino si arrampicò sull’albero, raccolse tutti i frutti e li portò via. E l’albero fu felice. Ma il bambino rimase molto tempo senza ritornare… e l’albero divenne triste.

Poi, un giorno, il bambino tornò; l’albero tremò di gioia e disse: “Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami e sii felice”. “Ho troppo da fare e non ho tempo da arrampicarmi sugli alberi”, rispose il bambino. “Voglio una casa che mi ripari” – continuò. “Voglio una moglie e voglio dei bambini, ho dunque bisogno di una casa. Puoi darmi una casa?”

“Io non ho una casa” – disse l’albero. “la mia casa è il bosco, ma tu puoi tagliare i miei rami e costruirti una casa. Allora sarai felice”. Il bambino tagliò tutti i rami e li portò via per costruirsi una casa. E l’albero fu felice. Per molto tempo il bambino non venne.

Quando ritornò, l’albero era così felice che riusciva a malapena a parlare. “Avvicinati, bambino mio” – mormorò – “vieni a giocare”. “Sono troppo vecchio e troppo triste per giocare, – disse il bambino – “Voglio una barca per fuggire lontano da qui. Tu puoi darmi una barca?” “Taglia il mio tronco e fatti una barca” disse l’albero “così potrai andartene ed essere felice”.

Allora il bambino tagliò e si fece una barca per fuggire. E l’albero fu felice,  ma non del tutto. Molto tempo dopo, il bambino tornò ancora. “Mi dispiace,bambino mio, disse l’albero – “non mi resta più niente da donarti… – non ho più frutti”. “I miei denti sono troppo deboli per dei frutti” disse il bambino. “Non ho più rami, continuò l’albero – non puoi più dondolarti…”. “Sono troppo vecchio per dondolarmi ai rami – disse il bambino. “Non ho più il tronco” disse l’albero “non puoi più arrampicarti”. “Sono troppo stanco per arrampicarmi” disse il bambino.

“Sono desolato” sospirò l’albero – “vorrei ancora donarti qualcosa… ma non ho più niente. Sono solo un vecchio ceppo. Mi rincresce tanto…”. “Non ho più bisogno di molto ormai” disse il bambino “solo un posticino tranquillo per sedermi e riposarmi. Mi sento molto stanco”. “Ebbene, disse l’albero, raddrizzandosi quanto poteva – “ebbene, un vecchio ceppo è quel che ci vuole per sedersi e riposarsi.

Avvicinati, bambino mio, siediti. Siediti e riposati”. Così fece il bambino.

E l’albero fu felice. 

La casa nel bosco

C’era una volta un nonno, dalla lunga barba, che viveva in un bosco. La sua casetta era piccolissima, fatta di legno e tutti gli abitanti della foresta erano soliti passare di lì per salutarlo o perché avevano bisogno del suo aiuto. Chi doveva farsi togliere una spina nella zampetta, chi aveva male a un dente, chi aveva mal di pancia.

Il nonno li conosceva tutti e per tutto aveva un rimedio.

Un giorno bussarono alla sua porta alcuni gnomi,  gli chiesero di seguirlo perché avevano bisogno del suo aiuto. In pochi minuti era pronto per partire, aveva messo nel vecchio zaino tutto quello che poteva servire per curare qualsiasi malanno.

Non chiese nulla agli gnomi, non era la prima volta che gli aiutava. Un animale preso in una trappola, oppure uno scivolato in una buca, un uccellino caduto dal ramo con una ala spezzata.

Questi erano alcuni interventi che aveva dovuto fare. Quindi pensò che anche questa volta si sarebbe trattato di qualcosa di simile.

Dopo aver attraversato vari ruscelli e alcuni sentieri si fermarono. Il nonno non credeva ai propri occhi, davanti a lui, sdraiata in un tappeto di foglie, c’era una bimba bellissima , dai capelli rossi. Dormiva e il nonno rimase estasiato da quel fagottino tenero. La prese delicatamente in braccio e, prima che giungesse la notte, la bimba era già nella casetta del nonno. La rifocillò con del buon latte caldo di capra e dopo poco tempo la bimba si riaddormentò.

Chi era questo essere stupendo, come si chiamava, chi l’aveva portata nel bosco? Queste, insieme ad altre mille domande affluirono nella sua mente.

Più volte, parlando con gli amici gnomi, aveva confidato loro che si sentiva solo, che avrebbe voluto un po’ di compagnia, soprattutto in inverno, dove molti animali andavano in letargo per cui il suo “lavoro” era ridotto.

Capì che gli gnomi, avendo poteri magici, in cambio dei suoi servizi giornalieri, avevano voluto fargli un dono meraviglioso.

Il nonno e la bimba, che chiamò Arianna, divennero inseparabili. La bimba conquistò il cuore di tutti gli animali del bosco per la sua gentilezza, disponibilità e bontà.

Il nonno le insegnò a curare tutti i problemi dei suoi piccoli e grandi amici.

Arianna crebbe e diventò una splendida ragazza, dai lunghi capelli lisci e morbidi.

Un giorno un giovane cacciatore bussò alla porta del nonno  perché si era procurato una ferita alla gamba, e rimase affascinato dalla bellezza di Arianna e…

Ma questa è un’altra storia!

Anna Corti, l’ultima barcaiola

Alcuni anni fa ho letto un articolo riguardante Anna Corti (1926-2015) , di Onno di Oliveto Lario, l’ultima barcaiola lariana.

Questa donna coraggiosa è ancora nel ricordo delle tante persone che sono salite sulla sua barca a remi, per passare  tra le due sponde del ramo lecchese del Lario.

Dall’età di sette anni suo padre l’aveva avviata alla professione di barcaiola.

Anna ha svolto questo suo lavoro con dedizione, pur essendo una professione non semplice prima come bambina e poi come donna.

Anna in questo suo lavoro, modesto ma essenziale per la comunità, ha vissuto gli anni della guerra, tra partigiani, mitragliamenti e sfollati; traghettava quotidianamente pendolari delle fabbriche, commercianti, allevatori diretti alle fiere di bestiame, ogni genere di merci, persino i sacchi della posta, le medicine, il medico, l’ostetrica… in ogni stagione e condizione di tempo.

Ha rischiato anche di essere colpita da Pippo, un aereo nemico che bombardava tutto ciò che era in movimento. Nel periodo bellico, durante una traversata in barca, rischiò di essere colpita da “Pippo”, come la gente era solita chiamare l’aereo che bombardava tutto ciò che si moveva, a terra o in acqua.

“Quel giorno indossavo un abito rosso che mi rendeva facile bersaglio – spiegava lei stessa – e guardavo con sgomento gli spruzzi provocati dalle raffiche in avvicinamento. Per fortuna, però, l’aereo virò e smise di fare fuoco”.

Anni dopo , per casualità, ebbe modo di incontrare il pilota che era a bordo di quell’aereo. Era dell’Aviazione monarchica il quale le confidò di aver capito proprio dal colore dell’abito che ai remi vi era una donna. Da qui la sua decisione di non colpire l’imbarcazione.

Lei riteneva il lago suo autentico amico, dicendo che non l’aveva mai tradita!

È stato scritto anche un libro su di lei: Anna, l’avventurosa vita di una barcaiola lariana, di Luca Sala

Tratto da: 

https://lecconotizie.com/attualita/laddio-di-onno-a-anna-corti-ultima-barcaiola-del-lago/

https://libreriatorriani.blogspot.com/2013/11/lucia-sala-anna-storia-di-una-barcaiola.html?m=1

Suor Plautilla Nelli

Suor Plautilla Nelli è una delle tante donne dimenticate dalla storia dell’arte, il cui recupero è stato reso possibile grazie a un’organizzazione statunitense, The Advancing Women Artists Foundation.

Pulisena Margherita è nata nella famiglia fiorentina dei Nelli, nell’anno 1524. Dopo la morte della madre entrò adolescente nel convento domenicano di Santa Caterina da Siena, a Firenze, considerato uno dei più prestigiosi d’Italia per le virtù delle consorelle-artiste.

Prese i voti nel 1538, quattordicenne, con il nome di Suor Plautilla.

Con questo nome fu molto conosciuta nell’ambiente pittorico dell’epoca.

Suor Plautilla Nelli è la capostipite dell’arte femminile a Firenze nel Cinquecento, citata addirittura dal pittore e storico dell’arte, Giorgio Vasari, il quale scrive che “avrebbe fatto cose meravigliose se, come fanno gl’uomini, avesse avuto commodo di studiare ed attendere al disegno e ritrarre cose vive e naturali”.

Non potendo usufruire di alcun tipo di educazione artistica, fu soltanto copiando disegni e dipinti, usando corpi femminili come modello, che raggiunse la sua maturità artistica, riuscendo a dar vita a una fiorente bottega che coinvolgeva numerose allieve.

SI nota nei suoi quadri la non conoscenza del corpo umano maschile e i suoi santi appaiano molto femminei, così come i volti degli Apostoli dell’Ultima Cena, dipinta per il suo convento.

Il pittore e storico dell’arte, Giorgio Vasari, ci informa che Plautilla avrebbe imparato a dipingere autonomamente, attraverso l’imitazione di altre opere: sappiamo che possedeva dei disegni di Fra Bartolomeo e, probabilmente, anche stampe di opere che circolavano all’epoca. Non ebbe la possibilità di seguire i progressi della pittura perché viveva in convento.

Benché oggi il suo nome rimanga sconosciuto alla maggioranza del pubblico appassionato d’arte, la Nelli godette di grande stima fra i suoi contemporanei.

Realizzò soprattutto dipinti dai soggetti religiosi e quadretti votivi. Le opere di una suora non avevano soltanto un valore spirituale, ma anche una valenza quasi magica, mistica, e possederne una era considerato un simbolo di prestigio.

A lei viene riferita l’immagine più nota di santa Caterina de’ Ricci, con un’iconografia a mezzo busto che venne poi ricalcata anche per altre sante monache toscane, come santa Maria Maddalena de’ Pazzi, o la stessa Santa Caterina da Siena. Una caratteristica ricorrente nei suoi ritratti di Santa Caterina è la presenza di una lacrima, segno della capacità femminile di entrare in empatia con la passione del Cristo.

La maggior parte delle sue tele sono state dipinte per il convento di Santa Caterina, ma oggi risultano distrutte, o situate in altro loco. Fortunatamente alcune chiese domenicane hanno conservato alcune sue opere, come le lunette con San Domenico e Santa Caterina, per il Cenacolo di San Salvi, attribuitele soltanto di recente.

Questo suo famoso quadro è stato recentemente  restaurato e ricollocato nel Museo di Santa Maria Novella, a Firenze. Le dimensioni sono impressionanti. L’intero dipinto proveniente dal refettorio del convento di Santa Caterina di Cafaggio (oggi scomparso), è lungo 7 metri ed alto 2 con personaggi dipinti a grandezza naturale.

Anni di meticoloso restauro sono stati sostenuti grazie al contributo sostanziale di diversi mecenati da tutto il mondo, ma sopratutto grazie all’impegno di AWA Foundation nel recuperare e riportare a nuova luce quest’opera. Fondamentale anche la collaborazione di The Flod e The Florentine per il successo della campagna di raccolta fondi #thefirstlast

I frati Domenicani del Convento di Santa Maria Novella hanno “donato” questo dipinto al Museo omonimo.

Morì nel suo convento nel 1588

Tratto da:

https://www.artribune.com/arti-visive/arte-moderna/2017/02/mostra-suor-plautilla-nelli-uffizi-firenze-pittura/

https://it.wikipedia.org/wiki/Plautilla_Nelli

https://www.smn.it/it/magazine/l-ultima-cena-di-plautilla-nelli-a-santa-maria-novella/

Festeggiamo il Natale

Per questo Natale un po’ strampalato,
in questi giorni che ricordan il passato,
è molto difficile stare a guardare
quello che avviene in oltremare.

Eppure dobbiamo chinare la testa
e fare lo stesso una grande festa,
per tutti quelli che ci sono vicini,
ma soprattutto per i bambini.

Allora apriamo la nostra casetta,
accendiamo le luci e iniziamo la festa,
Babbo Natale ci porterà i doni
anche quest’anno, se siam stati buoni.

Stampiamo sul viso un grande sorriso,
poniamo il cibo che sarà condiviso,
pensiamo un attimo a chi ci ha lasciato
perché in questo giorno non sia scordato.

E allora facciamo che questa giornata,
possa esser di gioia e non rovinata,
diamo la mano a chi ci è vicino
e non scordiamo che oggi è nato un Bambino.

Babbo natale e la nursery

Babbo Natale quest’anno era proprio contento, i suoi amici Elfi avevano lavorato tantissimo e, oltre aver costruito i regali richiesti dai bimbi tramite le letterine pervenute, erano riusciti a fare alcuni giocattoli in più nel caso fossero giunte nuove lettere all’ultimo momento.

Era riconoscente verso i suoi piccoli aiutanti, sapeva che senza di loro non sarebbe stato in grado di portare a termine tutti i preparativi per il Natale.

Era quindi giunta la notte di Natale, caricò sulla slitta tutti i sacchi dei doni, attaccò le sue 9 adorate renne : Dixen Vixen Comet Dazzle Cupid Donner Prancer Dasher e Rudolph, l’ultima arrivata, che era diventata  la capo renna.

Le legò ben bene alla slitta e partì per consegnare i doni richiesti. Iniziò con il primo camino e continuò così per tutta la notte. 

Dopo aver consegnato tutti i pacchetti, si sentì molto stanco, ma felice perché aveva esaudito il desiderio di molti bambini.

Quando fu pronto per ritornare a casa, si accorse che in fondo alla slitta era rimasto un sacco ancora pieno di doni. Si ricordò allora dei giocattoli che gli elfi avevano costruito in più. Non aveva idea di cosa fossero, ma era sicuro che erano particolari.

Cosa fare? Non poteva di certo riportarli indietro, stava inoltre venendo una fitta nebbia e riusciva a orientarsi poco, doveva trovare subito una soluzione. Ecco che intravide tra la nebbia una forte luce. Si avvicinò e vide un edificio con una croce rossa, il colore che amava perché era il colore del cuore e anche del suo vestito. Si avvicinò cautamente e notò che all’interno vi era trambusto. Capì che era una nursery, nel reparto di Maternità. .

Vide persone vestite di bianco, altro colore a lui molto gradito perché gli ricordava la neve. Tutti erano molto allegri, ma, guardando bene, vide che vi erano delle culle in cui dormivano dei piccolissimi bambini, uno accanto all’altro, come dei bellissimi angioletti uniti per farsi compagnia.

Erano tutti nati da pochissimi giorni e molti di loro piangevano. Il suo istinto da Babbo Natale prese il sopravvento, doveva dar loro i regali del sacco, perché questi bimbi sicuramente non avevano potuto scrivere la letterina.

Ma come poteva portare a loro dei giocattoli che erano più grandi di loro? Pensa e ripensa non trovò nessuna soluzione, sapeva che doveva lasciare quei giocattoli lì. Aprì il sacco e con grande sorpresa vide che conteneva solo piccoli carillon di legno, tutti uguali, con una dolce musica di Natale come sottofondo.

Quanto amava i suoi Elfi, loro sapevano, avevano predisposto tutto e solo lui non aveva capito. Gli elfi sapevano che questi bimbi erano nati e non avevano nessun regalo.

Quando tutti si allontanarono mise un carillon vicino ad ogni bambino e poi sparì nella notte buia e fredda. Mentre si allontanava la musica nei carillon iniziò a suonare, tutti i bimbi del mondo, con questa dolce ninna nanna, si addormentarono. Questa soave musica lo accompagnò per tutto il lungo viaggio verso casa.

Era felice.

Dopo una buona cena e un meritato riposo sarebbe stato pronto a iniziare a lavorare per il  successivo Natale.

Chris Dunn: illustratore

Questa volta vorrei scrivere di un illustratore dei giorni nostri. Chris Dunn. Perché?

Vedendo con le nipotine i nuovi cartoni animati mi sono resa conto che le fisionomie, in riferimento al periodo in cui li guardavo con le figlie. Premetto che non sono mai stata una amante di questo genere, ma non posso dimenticare i grandi capolavori della Walt Disney.

La dolcezza dei cani dalmata della Carica dei 101, l’indimenticabile Biancaneve e 7 nani, di cui conosciamo i nomi a memoria, Bambi, che ha fatto piangere grandi e piccini, Cenerentola, che ricordiamo ad Halloween, con la sua carrozza a forma di zucca, Alice nel paese delle meraviglie, nel suo mondo magico, e poi Pinocchio, Dumbo, Le avventure di Peter (Peter Pan), Lilli il vagabondo e tantissimi altri…

Le sembianze dei personaggi di questi capolavori erano aggraziate, distinguibili, indimenticabili.

I cartoni di oggi sono totalmente diversi. Tutto accelerato e di una sonorità allarmante. Diciamo che non rilassano e moltissime volte non hanno una trama o un filo logico. Ma è il mondo che è cambiato!

Ritornando al nostro illustratore, mi ha colpito perché mi sembra un ragazzo di altri tempi, un Beatrix Potter maschile.

Questo ragazzo britannico ha ottenuto una laurea in illustrazione nel 2008 e ha iniziato la sua carriera come ritrattista e paesaggista, ma non era soddisfatto verso questo genere. Amante dell’acquerello ha iniziato a partecipare a concorsi nell’arte figurativa, vincendo dei premi. Si è dato da fare per farsi conoscere e per il confronto con altri artisti dell’acquerello.

Pochi anni dopo, nel 2013, è arrivata la sua grande occasione. Una grande commissione per la rinomata Galerie Daniel Maghen, a Parigi. Doveva dipingere una serie di acquerelli basata su The Wind in the Willows, di Kenneth Grahame. Ha iniziato ad esplorare il mondo alla periferia della riva del fiume citato  nel libro suddetto. Ha iniziato così a illustrare un mondo immaginario fatto di animali dei boschi che interagiscono a casa, sugli alberi, in città, sulla costa, a scuola e persino nell’aria.  

Dopo vari altri successi la pandemia ha sospeso tutto, ma è riuscito  a portare avanti degli ordini in corso.

Finita la pandemia, nel marzo 2021 ha ultimato anche  di illustrare The Night Before Christmas e un libro di filastrocche pubblicate in una raffinata edizione limitata per collezionisti.

Tratto da:
https://www.chris-dunn.co.uk/bio

https://www.chris-dunn.co.uk/

Racey Helps

Avevo scritto tempo fa un articolo sull’illustratrice, naturalista e ambientalista Beatrix Potter.  

Molti altri artisti si sono avvicinati al suo mondo, costituito da disegni di topolini e coniglietti, facendo nuove opere personalizzate.

Uno di questi è Racey Helps, di cui Beatrix è stata fonte di ispirazione.

Angus Clifford Racey Helps, autore e illustratore per bambini,  è nato a Bristol, Inghilterra,  nel 1913. Ha trascorso la sua infanzia nella frazione di Chelvey , nel Somerset. Ha studiato privatamente in una canonica e successivamente alla Bristol Cathedral School . Helps iniziò a scrivere storie, ai tempi della scuola,  per un cugino più giovane malato.

Si sposò con Irene Orr nel 1936 ed ebbe due figli, Anne e Julian ed era solito raccontare alla figlia una favola della buonanotte ogni sera.

Quando scoppiò la guerra, Anne fu mandata a vivere in campagna ed egli iniziò a scrivere ed inviare storie esclusive per lei, inserendo anche illustrazioni.

In quegli anni ebbe la fortuna di essere scoperto da un editore e iniziò così la sua carriera letteraria. 

In seguito la famiglia si riunì vivendo per un certo periodo di tempo a Clevedon , nel Somerset, poi si trasferì a Saltford vicino a Bath e nel 1962 a Barnstaple , nel Devon, dove la pittoresca campagna ha fornito ulteriore ispirazione per le immagini di Helps.

Ha contribuito a diversi annuari per bambini, ha illustrato diversi libri scritti da Helen Wing, autrice, compositrice e pianista americana.

I suoi libri sono stati scritti in uno stile semplice e presentano creature e uccelli dei boschi. È noto anche per aver illustrato cartoline , biglietti d’auguri , puzzle , carte da gioco e carta da pacchi .

Muore in seguito un fatale infarto nella sua casa di Barnstaple nel 1970, all’età di 57 anni.

Tratto da:
https://en.wikipedia.org/wiki/Racey_Helps

La storia della forchetta

Una giovane donna seppe improvvisamente di avere una malattia terribile e che le restavano solamente tre mesi di vita.

Quindi chiamò il parroco per le sue ultime volontà.

Scelse gli abiti da indossare, la musica, le parole e le canzoni.

Quando finì di parlare con il parroco, lo trattenne per un braccio dicendogli: “C’è un’altra cosa…”“Dica.” rispose gentilmente il parroco. “Questo è importante.Voglio che mi sotterrino con una forchetta nella mano destra!”

Il parroco rimase molto sorpreso. “La cosa la meraviglia, vero?” chiese la giovane donna.“Per essere sincero sono piuttosto perplesso dalla sua richiesta!” esclamò il parroco.

Ed allora iniziò a spiegare il perché al parroco: “Dunque! Mia nonna mi ha raccontato questa storia ed io ho sempre provato a trasmettere questo messaggio a tutti quelli che amo ed hanno bisogno di incoraggiamento.

In tutti i miei anni di partecipazione ad eventi sociali e pranzi ricordo che sempre c’era qualcuno che rivolgendosi a me diceva: “Tenga la sua forchetta!” ed era il momento che preferivo, perché sapevo che qualcosa di meglio sarebbe arrivato, come una torta, una mousse al cioccolato o una torta di mele.

Qualcosa di meraviglioso e di sostanza.”

Quando la gente mi vedrà nella cassa da morto con una forchetta nella mano, voglio che si chieda: “Perché quella forchetta?” ed allora lei potrà rispondere: “Tenete sempre la vostra forchetta in mano perché il meglio deve ancora arrivare!” e dicendo questo, la giovane donna terminò la propria spiegazione.

Il parroco, con le lacrime agli occhi, la strinse forte per darle l’arrivederci, pur sapendo che molto probabilmente non la avrebbe rivista mai più viva.

E pensando inoltre che quella giovane donna aveva un’idea del paradiso migliore sia della sua che di tanta altra gente. Lei sapeva che qualcosa di meglio sarebbe successo.

Ai funerali la gente sfilava davanti alla cassa della giovane donna, dove si potevano notare sia il suo bel vestito che la forchetta nella mano destra.

Tutto ad un tratto il parroco sentì l’attesa domanda: “Perché la forchetta?” e sorrise.

Durante la predica, il parroco raccontò la conversazione avuta con la giovane donna alla vigilia della sua morte e raccontò loro la storia della forchetta dicendo che non riusciva a smettere di pensarci e che da quel momento in poi anche loro, ogni qual volta avessero avuto nella mano una forchetta, si sarebbero dovuti ricordare che il meglio doveva ancora avvenire.

Tratto dal web, autore anonimo

La vecchina e il lupo

In mezzo a un bosco, in una piccola casetta di legno, viveva, da tantissimi anni, una vecchina di nome Magò. Ella era conosciuta da tutti gli animali per le sue virtù magiche, sapeva guarire tutti i malanni.

Un giorno bussò da lei un coniglio che aveva male a  un orecchio, Magò andò nel retro della casetta, dove coltivava un piccolissimo orto con tanti piccoli cespugli e erbe, adatte a ogni malattia o dolore. Prese due foglie da un cespuglio, 1 foglia da un altro, 1 mazzetto di erba, lo depose nel suo grande grembiule e fece bollire il tutto. Una volta raffreddato depose il tutto in un panno pulito e lo mise sull’orecchio del coniglio. Dopo pochi minuti questi non ebbe più dolore e se ne andò ringraziandola con un bacio. Dopo di lui venne una volpe perché aveva male a un dente e anche per lei, con altre foglie, preparò un decotto, glielo fece bere e anche lei guarì.

Tutto il giorno andò avanti così, gli animaletti si mettevano in coda: chi aveva un occhio arrossato, chi un graffio, chi mal di pancia, chi prurito, ecc. Per tutti aveva un rimedio e una parola gentile.  

Ma una sera arrivò un lupo, aveva una zampina rotta perché l’aveva lasciata in una tagliola. Il lupo aveva molto male e non riusciva a camminare, così Magò lo fece stendere sul suo divano, fece un impacco di foglie e fango, lo mise sulla zampa e lo fasciò. Il povero lupo non poteva andare via subito, ci volevano alcuni giorni perché guarisse. Ogni giorno gli cambiava la fasciatura e l’impacco e pian piano la zampa guarì.

Ma Magò questa volta era triste, il lupo le aveva fatto compagnia per tanti giorni e adesso lei si sentiva sola, per la prima volta. Il lupo andò nei giorni seguenti a trovarla, perché si era affezionato a lei e le doveva molto ma quando andava via, si accorgeva del suo malumore.

Una splendida mattina di sole Magò sentì del rumore fuori dalla sua porta, credendo fosse un animale ferito andò subito ad aprire e cosa vide? Un cucciolo di lupo, bellissimo, dono del lupo che lei aveva curato con tanto amore.  

Inutile dire che la vecchina da quel giorno fu molto felice e si dedicò ancora di più ad aiutare gli animali del bosco.

Adesso non era più sola.

Juzcar, villaggio dei Puffi

Juzcar, un piccolo paesino in provincia di Malaga, abitato da circa 200 persone, è diventato importante perché nel 2011 è stato scelto come paese per il film dei Puffi in 3D.

Come tutti i paesi in Andalusia in origine era composto da abitazioni bianche e, come tanti altri, ha subito lo spopolamento a causa della possibilità lavorativa.

La scelta di farlo diventare il Villaggio dei Puffi ha dato agli abitanti una svolta positiva. Per questo è stato ridipinto completamente in azzurro.

La cosa più straordinaria è che la tinteggiatura di case, Chiese, negozi, Municipio, Cimitero, ecc. è stata effettuata dagli stessi abitanti. In relazione  a questo 50 disoccupati hanno trovato un impiego, anche se provvisorio.

Sono stati effettuati anche tantissimi murales e giochi per i più piccoli.

Gli accordi erano che, una volta effettuate le riprese, il paese riprendesse le stesse tonalità di prima, ma gli abitanti hanno preferito lasciarlo colorato di blu, a ricordo anche delle riprese effettuate.

Questa scelta bizzarra è stata decisa anche perché il turismo ha iniziato a voler visionare questo villaggio “puffoso”.

A Juzcar si trova un parco giochi per i più piccini, un percorso per i più grandicelli, decori e suppellettili puffosi alle finestre delle case. Vengono effettuati anche eventi a tema, come corse, concorsi di pittura, fiere, tutto rigorosamente a tema Puffo.   

Ma si sa che le cose non avvengono mai come vorremmo, anni più tardi a Juzcar fu imposto di togliere la nomenclatura “Il Villaggio dei Puffi”, modificandola con “Villaggio azzurro” e gli eredi del creatore dei Puffi hanno reclamato al paese di Juzcar il 12% di diritti d’autore.

Tratto da:
https://andalusiaviaggioitaliano.com/provincia-malaga/juzcar-visitare-il-villaggio-blu-dei-puffi-in-spagna/

https://www.itinerariodiviaggio.com/juzcar-villaggio-blu-puffi-andalusia-giornata-77.html

I proverbi Fiamminghi

Ho inserito questo nuovo articolo, insolito per me, legato a un quadro. Mi è stato proposto da un fotografo professionista, Roberto Pestarino.

Il suo avvicinamento alla fotografia l’ho trovato bizzarro e per questo ho iniziato una collaborazione con lui.

I “PROVERBI FIAMMINGHI” DI ROBERTO PESTARINO

A spasso tra pittura e storia con un pizzico di ironia.

Il progetto “Proverbi fiamminghi – da Brueghel a Pestarino” di Roberto Pestarino si compone di 31 scatti fotografici che consistono in una rivisitazione del dipinto, in olio su tavola, di Pieter Brueghel il Vecchio, datato 1559 e conservato nella Pinacoteca di Berlino.

Sulla scia del lavoro di Bosch, Brueghel dà vita, in questo quadro, ad uno spettacolare paese in cui ogni persona compie un’azione ed ogni azione implica un’osservazione meditata. È uno spaccato di vita quanto mai veritiero, che sa mettere a nudo l’animo umano, con il suo bagaglio di debolezza e di forza.

Roberto Pestarino, dopo aver studiato quest’opera, ha voluto trasferirla ai nostri giorni e trasformare i tanti vizi degli uomini in essa evidenziati in spunti per farne, in una lettura ribaltata, virtù.

Nelle varie scene personaggi in carne ed ossa, ma vestiti con costumi d’epoca, attualizzano il proverbio scelto. In ogni scatto proposto dal fotografo è stata posizionata una riproduzione del frammento dell’opera di Brueghel che si è inteso presentare al riguardante, sempre presente il cavalletto.

Realizzare le varie scene ha richiesto l’intervento di attori, truccatori, costumisti. Le scene sono state create talvolta all’aperto, talvolta all’interno. Il lavoro è stato realizzato in collaborazione con Cristina Lucchini la quale si è occupata della regia.

Il progetto, curato dall’esperta d’arte Claudia Ghiraldello, è corredato da un catalogo per le edizioni del Centro Culturale “Conti Avogadro di Cerrione”.

Tre proverbi con interpretazione di Roberto Pestarino:


Pesce grande mangia pesce piccolo

Il pesce grande mangia il pesce piccolo”. Può essere che un giorno il pesce grande impari ad aiutare il pesce piccolo.


Portare l’acqua al mulino altrui

Tirare per avere la fune più lunga”, ossia portare l’acqua al proprio mulino, Pestarino sprona a portare acqua al mulino altrui perché se ne avrà certa ricompensa.


Plasma la tua materia

Lanciare piume al vento”, ossia lavorare senza uno scopo, bensì darsi da fare per creare qualcosa di nuovo, vedendo nei fallimenti un’opportunità di riscatto.

Il bruco sognatore

Un piccolo bruco un giorno camminava in direzione del sole. Vicino alla strada incontrò un grillo che gli chiese: “Dove vai…” Senza fermarsi, il bruco gli rispose: “Stanotte ho sognato che dalla punta della gran montagna io guardavo tutta la valle. Mi è piaciuto quello che ho visto nel mio sogno, “Devi essere proprio matto! Come puoi tu, un semplice bruco, arrivare fino a quel posto? Qualunque pietra per te sarà una montagna; una piccola pozzanghera sarà un mare e qualunque tronco sarà una barriera insormontabile per te! Ma il bruco era già lontano, e non l’udì: i suoi minuti piedi non smettevano di muoversi.

All’ improvviso sentì la voce di uno scarabeo: Dove stai andando con tanto impegno? “Sudato ed ansimando, il bruco gli rispose: “Ho fatto un sogno, e voglio realizzarlo. Salirò su quella montagna, e da li contemplerò tutto il nostro mondo”. Lo scarabeo non poté contenersi, e scoppiò a ridere. Poi disse:” Nemmeno io che ho delle zampe tanto grandi tenterei un’impresa tanto ambiziosa”. E rimase lì sdraiato a ridere, mentre il bruco continuò per la sua strada.

Lungo il cammino, il piccolo bruco incontrò il ragno, la talpa, la rana e un canarino. Tutti gli consigliavano di desistere:” Non ci riuscirai mai, non potrai mai arrivare fin là!”. Ma il bruco, dentro di sé, sentiva un impulso che lo spingeva ad avanzare. Un giorno si senti senza forze, sfinito, e sul punto di morire. Decise di fermarsi e di costruirsi col suo ultimo sforzo un posto dove riposare. Ma dopo un po’, mori.

Tutti gli animali della valle per molti giorni contemplarono i suoi resti e parlavano di lui come dell’animale più matto del paese. Una mattina, però, quando il sole brillava in una maniera speciale, qualcosa cominciò a succedere. Tutti restarono attoniti. Quella conchiglia dura ed opaca, quel monumento di un sognatore matto, quella tomba dove giaceva un verme rozzo e testardo, cominciò a schiudersi e…da quel rozzo bozzolo spuntò una farfalla dalle belle ali con i colori dell’arcobaleno.

Era un essere impressionante quello che avevano di fronte e, quando cominciò a volare, tutti ebbero lo stesso pensiero, tutti sapevano quello che avrebbe fatto: avrebbe volato verso la grande montagna, realizzando il suo sogno, quel sogno per il quale era vissuto come bruco, per il quale era morto, e per il quale era ritornato in vita.

Tutti s’erano sbagliati meno lui.

Carl Larsson e la Casa sotto il Sole

Oggi vorrei scrivere sulla originale casa-museo del pittore Carl Larsson e della sua famiglia, essendo uno dei luoghi più visitati in Svezia.

Carl nacque a Stoccolma nel 1853 in una famiglia indigente. Egli iniziò a studiare in una scuola per bambini poveri, ma a 13 anni fu ammesso all’Accademia Reale Svedese delle arti di Stoccolma. Timido e introverso ebbe  difficoltà relazionali, tuttavia, col passare degli anni riuscì a farsi conoscere per il suo talento.

Dopo aver lavorato come illustratore di libri e giornali, nel 1880 si trasferì a Parigi, dove incontrò l’artista Karin Bergöö, che presto diventò sua moglie.

Dopo poco tempo lasciò la pittura a olio, tecnica maggiormente utilizzata da lui, per dedicarsi all’acquerello.

Nel 1988 la coppia si trasferì nel piccolo villaggio svedese di Sundborn, in una casa che fu decorata ed arredata rispecchiando il loro gusto artistico; i loro eredi hanno trasformato questa casa in un museo che è ancora oggi visitabile.

Carl e Karin ebbero 7 figli, e proprio i suoi familiari divennero i soggetti preferiti per le composizioni dei suoi acquerelli. Scene di vita quotidiana.

Si dedicò a molte opere, alcune molto importanti, come gli affreschi al Teatro dell’Opera ed al Museo Nazionale di Belle Arti di Stoccolma, ma con poco riscontro da parte dei critici.

Nelle sue memorie Larsson si dichiarò amareggiato per il riscontro negativo da parte dei critici riguardo il suo lavoro con gli affreschi,  che lui  considerava essere il suo risultato più grande; nelle stesse memorie riconobbe però che le immagini della sua famiglia, per lui,  furono la parte più immediata e durevole del suo lavoro, perché espressione genuina della sua personalità, dei suoi sentimenti più profondi e di tutto il suo amore per la moglie e i figli.

Oggi lo si ricorda soprattutto per l’originale abitazione in Svezia, donata a suo tempo, dal padre di Karin, che negli anni, per esigenze di spazio, avendo 7 figli,  fu ampliata più volte. Venne soprannominata Casa sotto il  Sole. Essi la decorarono uscendo fuori dai canoni di quell’epoca. I colori scuri, predominanti in quel periodo, furono sostituiti da colori chiari e caldi. Fu soprattutto karin la progettista di tutto: creò tappezzerie, tessuti, disegnò i mobili e Carl invece realizzò dipinti murali raffiguranti i loro figli.

La Casa sotto il Sole oggi appartiene ancora ai tanti pronipoti della coppia ed è visitabile.

Carl Larsson morì nella sua casa di Sundborn il 22 gennaio 1919.

Tratto da:
https://it.wikipedia.org/wiki/Carl_Larsson