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L’albero di Shel Silverstein

Sheldon Allan “Shel” Silverstein(1930-1999), nato a Illinois, è stato un poeta, cantautore, disegnatore, drammaturgo, paroliere, scrittore e musicista. Sapeva suonare chitarra, piano, sassofono, e anche il trombone.

I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Ha alternato magistralmente l’attività di musicista e compositore a quella di scrittore e poeta.

Nel 1963, su suggerimento di un  collega, viene presentato a Ursula Nordstrom, che lo convince ad iniziare a scrivere racconti e storie per bambini.

Uno dei suoi libri illustrati più popolari è The Giving Tree (L’albero che dà), scritto nel 1964. 

Il libro ha suscitato però alcune controversie. La trama si presta a svariate interpretazioni riguardo il legame di amicizia e sfruttamento fra i due interpreti.

L’albero ha vinto nel 2015  il premio Andersen, come miglior libro mai stato premiato.

C’era una volta un albero che amava un bambino. Il bambino veniva a visitarlo tutti i giorni. Raccoglieva le sue foglie con le quali intrecciava delle corone per giocare al re della foresta. Si arrampicava sul suo tronco e dondolava attaccato ai suoi rami. Mangiava i suoi frutti e poi, insieme, giocavano a nascondino.

Quando era stanco, il bambino si addormentava all’ombra dell’albero, mentre le fronde gli cantavano la ninna nanna. Il bambino amava l’albero con tutto il suo piccolo cuore. E l’albero era felice.

Ma il tempo passò e il bambino crebbe. Ora che il bambino era grande, l’albero rimaneva spesso solo.

Un giorno il bambino venne a vedere l’albero e l’albero gli disse: “Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami, mangia i miei frutti, gioca alla mia ombra e sii felice”.

“Sono troppo grande ormai per arrampicarmi sugli alberi e per giocare, disse il bambino. Io voglio comprarmi delle cose e divertirmi. Voglio dei soldi, puoi darmi dei soldi?” “Mi dispiace” – rispose l’albero – ma io non ho dei soldi. Ho solo foglie e frutti: prendi i miei frutti, bambino mio e va a venderteli in città. Così avrai dei soldi e sarai felice”.

Allora il bambino si arrampicò sull’albero, raccolse tutti i frutti e li portò via. E l’albero fu felice. Ma il bambino rimase molto tempo senza ritornare… e l’albero divenne triste.

Poi, un giorno, il bambino tornò; l’albero tremò di gioia e disse: “Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami e sii felice”. “Ho troppo da fare e non ho tempo da arrampicarmi sugli alberi”, rispose il bambino. “Voglio una casa che mi ripari” – continuò. “Voglio una moglie e voglio dei bambini, ho dunque bisogno di una casa. Puoi darmi una casa?”

“Io non ho una casa” – disse l’albero. “la mia casa è il bosco, ma tu puoi tagliare i miei rami e costruirti una casa. Allora sarai felice”. Il bambino tagliò tutti i rami e li portò via per costruirsi una casa. E l’albero fu felice. Per molto tempo il bambino non venne.

Quando ritornò, l’albero era così felice che riusciva a malapena a parlare. “Avvicinati, bambino mio” – mormorò – “vieni a giocare”. “Sono troppo vecchio e troppo triste per giocare, – disse il bambino – “Voglio una barca per fuggire lontano da qui. Tu puoi darmi una barca?” “Taglia il mio tronco e fatti una barca” disse l’albero “così potrai andartene ed essere felice”.

Allora il bambino tagliò e si fece una barca per fuggire. E l’albero fu felice,  ma non del tutto. Molto tempo dopo, il bambino tornò ancora. “Mi dispiace,bambino mio, disse l’albero – “non mi resta più niente da donarti… – non ho più frutti”. “I miei denti sono troppo deboli per dei frutti” disse il bambino. “Non ho più rami, continuò l’albero – non puoi più dondolarti…”. “Sono troppo vecchio per dondolarmi ai rami – disse il bambino. “Non ho più il tronco” disse l’albero “non puoi più arrampicarti”. “Sono troppo stanco per arrampicarmi” disse il bambino.

“Sono desolato” sospirò l’albero – “vorrei ancora donarti qualcosa… ma non ho più niente. Sono solo un vecchio ceppo. Mi rincresce tanto…”. “Non ho più bisogno di molto ormai” disse il bambino “solo un posticino tranquillo per sedermi e riposarmi. Mi sento molto stanco”. “Ebbene, disse l’albero, raddrizzandosi quanto poteva – “ebbene, un vecchio ceppo è quel che ci vuole per sedersi e riposarsi.

Avvicinati, bambino mio, siediti. Siediti e riposati”. Così fece il bambino.

E l’albero fu felice. 

Filastrocca: l’albero nel bosco

C’era un albero in fondo a un bosco,
non era bello, lo riconosco,
una volta aveva una grande famiglia,
sorelle e fratelli, una meraviglia.

Lui era stato sempre gracilino,
tutto il tronco macchiato, poverino,
tutti i suoi aghi cadevano giù,
quindi era spoglio con il capo all’ingiù.

I suoi fratelli eran stati tagliati
nel freddo inverno e poi portati,
chi in una casa, chi in un grande giardino,
chi in un terrazzo o un balconcino.

E lui da solo era rimasto
nel freddo bosco, con un tempaccio,
no, non poteva stare così,
che senso aveva ancora star lì?

Ma venne il caldo e il suo cuoricino
cominciò a battere quando un bambino,
venuto nel bosco, con molta fatica,
si appoggiò al suo tronco con esili dita.

Guardò il bambino e le sue gambette,
erano esili, non eran perfette
e lui capì perché era ancora lì,
per fare da appoggio a lui ogni dì.

Filastrocca: il sogno incantato

Stamattina presto mi sono svegliata
e in un batter d’occhio mi son preparata,
ho indossato il vestito più bello

ed ero incerta se metter il cappello.

Ho preferito inserire dei fiocchi,
ci stavan bene, i capelli sono corti,
poi sono uscita di casa, pianino
e mi sono diretta verso il giardino.

Che bella atmosfera che ho trovato,
un albero tronco che ho attraversato,
al di là un castello e mille colori,
scintillii di luci venivano fuori.

Ero in un mondo tutto incantato,
i piedi leggeri in un posto fatato
e mi destreggiavo di qua e di là,
tra nuvole e fiori, con molta abilità.

Di colpo un rumore mi fa sobbalzare,
c’è poca luce, mi devo adattare
e mi ritrovo nella mia cameretta
e sulla porta la mamma che aspetta.

È stato un sogno ed è stato bello,
mi alzo di scatto con un saltarello
e guardo la mamma e il suo sorriso,
l’abbraccio forte: questo è il Paradiso!

Filastrocca: caro Babbo Natale

Toc toc. Posso entrare?
Però nessuno mi deve disturbare,
sono venuto a portare dei doni,
mi hanno detto che i bimbi son stati buoni.

Ecco in un angolo una letterina,
non c’è nessuno in casa stamattina.
Con questo freddo chissà dove sono andati,
c’è anche la neve, si saran bagnati!

Ora mi siedo in questa bella poltrona,
è di raso rosso e sono sveglio di buon’ora.
Sprofondo così nel morbido tessuto
mi sento proprio molto benvoluto.

Però purtroppo nel caldo tepore
mi addormento e passano le ore
e mi ricordo d’un tratto della letterina,
non l’ho ancora aperta, che figura barbina!

“Caro Babbo Natale, sono dovuta partire,
oggi la mamma deve partorire,
ti ho lasciato sul tavolo i biscottini,
un poco di latte e alcuni grissini.

Dona i miei regali a un altro bambino,
a me basta avere un fratellino,
non c’è al mondo cosa più bella,
sul mio albero di Natale aggiungo una stella!”

Lo scoiattolo Coda mozza

Sono rimasta basita quando ieri la mia nipotina, mentre la preparavo per andare all’asilo, mi ha chiesto se le raccontavo una storia! È stata la prima volta che mi ha fatto questa richiesta, a differenza della nipotina più grande. Logicamente questo mi ha reso felice e alla domanda quale dovesse essere il personaggio mi ha risposto velocemente: uno scoiattolo.

È nata così la favola che segue. 
C’era una volta uno scoiattolo molto triste perché, a differenza di tutti gli altri, compresi i suoi fratelli, aveva una coda cortissima, come se fosse stata mozzata a metà. Per questo era sempre deriso dagli altri animali del bosco e aveva pochi amici in quanto si isolava spesso, in seguito al suo problema.

Un giorno andò dalla sua mamma e gli chiese:

«Mamma, io voglio essere come tutti. Perché la mia coda non cresce più? Non mi piace e tutti mi prendono in giro per questo.»

«Figlio mio…» disse la mamma «lo sai che la tua bellissima coda alcuni mesi fa è rimasta incastrata tra i rami dell’albero da cui saltavi ogni giorno. Devi rassegnarti, hai un bellissimo pelo morbido e lucente, due stupendi occhi, delle forti zampette, sei molto agile e simpatico. Devi vedere quello che possiedi non quello che non hai.»

Il piccolo scoiattolo si rassegnò: la sua mamma proprio non lo capiva. Nessuno riusciva a comprendere il malessere che aveva dentro. I suoi numerosi fratelli erano orgogliosi della loro coda mentre lui si vergognava di farla vedere.

Si stava avvicinando il Natale e tutti gli animali del bosco avevano parlato con i loro amici gnomi perché comunicassero a Babbo Natale il regalo desiderato ma coda mozza, come lo soprannominavano tutti, non aveva richieste da fare. Nulla gli interessava.

Lo gnomo incaricato di portare tutte le richieste di doni si accorse che quest’anno, per la prima volta, il suo amico scoiattolo non era andato da lui come sempre aveva fatto.

Ma le voci nel bosco girano veloci e la storia di coda mozza la conoscevano tutti. Come poteva fare? La cosa più ovvia era parlarne con Babbo Natale che sicuramente avrebbe trovato una soluzione.

Era giunta la notte del Santo Natale e tutti gli animali andarono nelle loro tane appena si fece buio, in attesa di vedere il regalo richiesto alle prime luci dell’alba.

Il mattino dopo, il giorno di Natale, il bosco si animò velocemente. Tutti gli animali, grandi e piccoli, trovarono i loro doni: castagne, noci, bucce di banane, funghi, semi ma anche cappelli, bastoni, scope, ecc. Le richieste inviate erano varie.

Tutti si radunarono per fare festa ma coda mozza non uscì dal suo nido nell’albero. Era troppo triste per festeggiare. Fino a quando un pacchettino dal fiocco rosso attirò il suo sguardo. Cosa poteva contenere? Lui non aveva chiesto nulla. La curiosità prevalse per cui scartò il pacco e… sorpresa.

Conteneva una coda! Ogni animale aveva donato alcuni dei suoi peli perché Babbo Natale potesse costruirgliene una.

Era troppo bello ed eccitante. Inserì l’elastico della nuova coda nel suo moncone e voilà, finalmente si sentiva di nuovo uno scoiattolo, e addirittura super dotato.

Saltò da un albero all’altro, saltellando in mezzo a tutti i suoi amici. Cosa poteva desiderare di più? Sentiva il calore della loro amicizia.

Era di nuovo, finalmente, felice!