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Il treno della vita

Sul treno della vita voglio viaggiare,
ad ogni fermata vorrei sostare,
guardarmi intorno e far salire,
chi, secondo me, sta a soffrire.

Prima una donna con il suo bambino,
fugge da un uomo che non le è più vicino,
non sa ancora cosa le aspetta,
ma fugge decisa, con molta fretta.

All’altra fermata sale un vecchietto,
ha la barba lunga, ma ha un bell’aspetto,
la sua famiglia lo voleva internare,
preferisce scappare, ma non sa dove andare.

Vedo una giovane dal volto emaciato,
noto il suo sguardo che è disorientato,
forse capisco da cosa è fuggita,
e quindi so che le sto salvando la vita.

Giovani, anziani, mamme o bambini,
salite sul treno, restate vicini,
date la mano a chi vi sta accanto,
ognuno di voi è molto affranto.

Per chi vuole salire c’è ancora posto,
non importa chi sei e se non ti conosco,
io guido solo questo convoglio,
voglio farti capire il bene che ti voglio.

Il treno riparte con il suo ricco “bagaglio”,
porta persone che voglion darci un taglio,
gente ferita, ma con un grande coraggio,
san quel che lasciano, il resto è miraggio.

Sognare il Natale

In casa scoppietta il camino,
una luce fioca nell’abbaino,
Babbo Natale se n’è già andato,
chissà se a casa è già arrivato.

I bimbi stanno ancora giocando
e alla scuola non stanno pensando,
c’è ancora nell’aria odore di festa
e molti sogni ancora nella loro testa.

Ma i nostri cuori non sono sereni,
ogni giorno è pieno di mille pensieri,
vediamo i bambini che stanno soffrendo
e tutti quelli che stanno morendo.

Non può esserci pace per tutto questo,
puoi solo pensare che è disonesto
che alcuni bambini siano contenti,
ma molti altri siano dolenti.

Ma non c’è niente che possiamo fare?
Non abbiamo risorse da sfruttare?
Noi mamme e nonne possiamo solo pensare,
che ogni bambino ha il diritto di sognare.

Suor Chiara di Cerbaiolo

Mi ha molto colpito leggere notizie riguardanti il modo di vivere di questa semplice donna, nata come Maria Annunziata Barboni, conosciuta poi come Suor Chiara.

Nata a Porto Corsini nel 1924, una piccola frazione di Ravenna, un tipico villaggio di pescatori, questa eccezionale donna, apparteneva all’ordine della piccola fraternità Francescana di Santa Elisabetta d’Ungheria, ma la sua spiritualità era talmente semplice, da ricercare come posto in cui vivere la sua vita, un ambiente solitario, in mezzo alla natura.

Come eremo scelse il Monastero benedettino di Cerbaiolo, in provincia di Arezzo. La guerra lo aveva devastato e nel 1966 lei curò la ricostruzione di una porzione e ci andò a vivere. Aveva sentito dentro di sé che quello era il posto che cercava.

E ci visse per trent’anni, insieme a un piccolo gregge di caprette.

Donna di grande spiritualità, lavorando nella stalla la si sentiva pregare il Padre Nostro, ma con parole sue. Dacci oggi il nostro fieno quotidiano….

La sua casa era la sua Chiesa, ed era anche un rifugio per animali, loro erano la sua famiglia e il suo mondo. Pregava con loro davanti al fuoco, o durante altre incombenze normali.

Chi ha avuto l’onore di poterla conoscere non ha avuto difficoltà a riconoscere la sua semplicità e la profonda saggezza di chi, ponendosi le domande immutabili nascoste in noi, aveva trovato le risposte.

Il suo più grande desiderio: quello di andare in Paradiso, non solo in terra, ma anche in cielo.

È mancata il 29 Aprile 2010 ed è stata seppellita nel cimitero monastico ai piedi dell’antico monastero.

Suor Plautilla Nelli

Suor Plautilla Nelli è una delle tante donne dimenticate dalla storia dell’arte, il cui recupero è stato reso possibile grazie a un’organizzazione statunitense, The Advancing Women Artists Foundation.

Pulisena Margherita è nata nella famiglia fiorentina dei Nelli, nell’anno 1524. Dopo la morte della madre entrò adolescente nel convento domenicano di Santa Caterina da Siena, a Firenze, considerato uno dei più prestigiosi d’Italia per le virtù delle consorelle-artiste.

Prese i voti nel 1538, quattordicenne, con il nome di Suor Plautilla.

Con questo nome fu molto conosciuta nell’ambiente pittorico dell’epoca.

Suor Plautilla Nelli è la capostipite dell’arte femminile a Firenze nel Cinquecento, citata addirittura dal pittore e storico dell’arte, Giorgio Vasari, il quale scrive che “avrebbe fatto cose meravigliose se, come fanno gl’uomini, avesse avuto commodo di studiare ed attendere al disegno e ritrarre cose vive e naturali”.

Non potendo usufruire di alcun tipo di educazione artistica, fu soltanto copiando disegni e dipinti, usando corpi femminili come modello, che raggiunse la sua maturità artistica, riuscendo a dar vita a una fiorente bottega che coinvolgeva numerose allieve.

SI nota nei suoi quadri la non conoscenza del corpo umano maschile e i suoi santi appaiano molto femminei, così come i volti degli Apostoli dell’Ultima Cena, dipinta per il suo convento.

Il pittore e storico dell’arte, Giorgio Vasari, ci informa che Plautilla avrebbe imparato a dipingere autonomamente, attraverso l’imitazione di altre opere: sappiamo che possedeva dei disegni di Fra Bartolomeo e, probabilmente, anche stampe di opere che circolavano all’epoca. Non ebbe la possibilità di seguire i progressi della pittura perché viveva in convento.

Benché oggi il suo nome rimanga sconosciuto alla maggioranza del pubblico appassionato d’arte, la Nelli godette di grande stima fra i suoi contemporanei.

Realizzò soprattutto dipinti dai soggetti religiosi e quadretti votivi. Le opere di una suora non avevano soltanto un valore spirituale, ma anche una valenza quasi magica, mistica, e possederne una era considerato un simbolo di prestigio.

A lei viene riferita l’immagine più nota di santa Caterina de’ Ricci, con un’iconografia a mezzo busto che venne poi ricalcata anche per altre sante monache toscane, come santa Maria Maddalena de’ Pazzi, o la stessa Santa Caterina da Siena. Una caratteristica ricorrente nei suoi ritratti di Santa Caterina è la presenza di una lacrima, segno della capacità femminile di entrare in empatia con la passione del Cristo.

La maggior parte delle sue tele sono state dipinte per il convento di Santa Caterina, ma oggi risultano distrutte, o situate in altro loco. Fortunatamente alcune chiese domenicane hanno conservato alcune sue opere, come le lunette con San Domenico e Santa Caterina, per il Cenacolo di San Salvi, attribuitele soltanto di recente.

Questo suo famoso quadro è stato recentemente  restaurato e ricollocato nel Museo di Santa Maria Novella, a Firenze. Le dimensioni sono impressionanti. L’intero dipinto proveniente dal refettorio del convento di Santa Caterina di Cafaggio (oggi scomparso), è lungo 7 metri ed alto 2 con personaggi dipinti a grandezza naturale.

Anni di meticoloso restauro sono stati sostenuti grazie al contributo sostanziale di diversi mecenati da tutto il mondo, ma sopratutto grazie all’impegno di AWA Foundation nel recuperare e riportare a nuova luce quest’opera. Fondamentale anche la collaborazione di The Flod e The Florentine per il successo della campagna di raccolta fondi #thefirstlast

I frati Domenicani del Convento di Santa Maria Novella hanno “donato” questo dipinto al Museo omonimo.

Morì nel suo convento nel 1588

Tratto da:

https://www.artribune.com/arti-visive/arte-moderna/2017/02/mostra-suor-plautilla-nelli-uffizi-firenze-pittura/

https://it.wikipedia.org/wiki/Plautilla_Nelli

https://www.smn.it/it/magazine/l-ultima-cena-di-plautilla-nelli-a-santa-maria-novella/

La storia della forchetta

Una giovane donna seppe improvvisamente di avere una malattia terribile e che le restavano solamente tre mesi di vita.

Quindi chiamò il parroco per le sue ultime volontà.

Scelse gli abiti da indossare, la musica, le parole e le canzoni.

Quando finì di parlare con il parroco, lo trattenne per un braccio dicendogli: “C’è un’altra cosa…”“Dica.” rispose gentilmente il parroco. “Questo è importante.Voglio che mi sotterrino con una forchetta nella mano destra!”

Il parroco rimase molto sorpreso. “La cosa la meraviglia, vero?” chiese la giovane donna.“Per essere sincero sono piuttosto perplesso dalla sua richiesta!” esclamò il parroco.

Ed allora iniziò a spiegare il perché al parroco: “Dunque! Mia nonna mi ha raccontato questa storia ed io ho sempre provato a trasmettere questo messaggio a tutti quelli che amo ed hanno bisogno di incoraggiamento.

In tutti i miei anni di partecipazione ad eventi sociali e pranzi ricordo che sempre c’era qualcuno che rivolgendosi a me diceva: “Tenga la sua forchetta!” ed era il momento che preferivo, perché sapevo che qualcosa di meglio sarebbe arrivato, come una torta, una mousse al cioccolato o una torta di mele.

Qualcosa di meraviglioso e di sostanza.”

Quando la gente mi vedrà nella cassa da morto con una forchetta nella mano, voglio che si chieda: “Perché quella forchetta?” ed allora lei potrà rispondere: “Tenete sempre la vostra forchetta in mano perché il meglio deve ancora arrivare!” e dicendo questo, la giovane donna terminò la propria spiegazione.

Il parroco, con le lacrime agli occhi, la strinse forte per darle l’arrivederci, pur sapendo che molto probabilmente non la avrebbe rivista mai più viva.

E pensando inoltre che quella giovane donna aveva un’idea del paradiso migliore sia della sua che di tanta altra gente. Lei sapeva che qualcosa di meglio sarebbe successo.

Ai funerali la gente sfilava davanti alla cassa della giovane donna, dove si potevano notare sia il suo bel vestito che la forchetta nella mano destra.

Tutto ad un tratto il parroco sentì l’attesa domanda: “Perché la forchetta?” e sorrise.

Durante la predica, il parroco raccontò la conversazione avuta con la giovane donna alla vigilia della sua morte e raccontò loro la storia della forchetta dicendo che non riusciva a smettere di pensarci e che da quel momento in poi anche loro, ogni qual volta avessero avuto nella mano una forchetta, si sarebbero dovuti ricordare che il meglio doveva ancora avvenire.

Tratto dal web, autore anonimo

Leslie Taylor: il potere curativo delle erbe

Una donna bionda dalla pelle chiara che viaggia lungo il Rio delle Amazzoni e nelle zone più remote della foresta amazzonica è una cosa alquanto strana.

Se poi aggiungiamo che fa trekking attraverso le giungle, studiando le piante della conoscenza indigena degli sciamani indiani e del sudamerica,  conosciuti come guaritori, che utilizzano le erbe, è cosa ancora più insolita.

La sua storia è particolare ma a lieto fine. All’età di 25 anni le è stata diagnosticata una leucemia mieloblastica, che ha iniziato a curare in maniera classica, cioè con la chemioterapia. Questo per due anni, ma senza beneficio. Non c’era nulla da fare, doveva andare incontro al suo destino, implacabile.

Donna dalla forte tempra e consapevole di tutto quello che le sarebbe successo, iniziò a studiare medicina alternativa. Con varie combinazioni di varie erbe, dieta, nutrizione e altre modalità riuscì a sconfiggere il cancro.

Dopo aver vinto questa battaglia Leslie continuò nella sua carriera in affari in Texas.  Nel frattempo però continuò a documentarsi sulle erbe e medicine alternative. Propose anche alla sua famiglia, quando avevano disturbi, pozioni strane e rimedi nutrizionisti.

Nel 1989 fece un viaggio nella natura selvaggia dell’Africa, a contatto della natura e della fauna e flora selvatica e questo le cambiò la vita. Quando ritornò negli U.S.A vendette la sua società e acquistò un ranch sulle colline del Texas. Iniziò a coltivare piante strane, erbe aromatiche e verdure.

Le sue ricerche erano orientate alla scoperta di informazioni sul cancro e sull’AIDS. Venne  a conoscenza di una pianta adatta a questo scopo, l’Uncaria tomentosa, la cui origine era nella foresta amazzonica del Perù. Questo nuovo viaggio cambiò di nuovo il corso della sua vita.

Nel tempo venne soprannominata “la Strega bianca  del Rio delle Amazzoni”.

Il suo scopo principale è che le persone apprezzino la foresta pluviale e le sue immense risorse e cerchino di salvare il più possibile questo habitat.

Filastrocca: le sette ochette

Vi guardo e vi dico che siete belle,
sette ochette, tutte sorelle,
chissà perché vi chiaman giulive,
forse perché siete aggressive?

A dir la verità non so che vuol dire,
ho usato la rima per non farlo capire,
ma ora non serve, ormai ve l’ho detto,
sono piccina, ho poco intelletto.

Vi ho portato in questo boschetto,
ma non c’è l’acqua per fare il bagnetto,
ma se usiamo la fantasia,
potete nuotare con frenesia.

Facciamo che il prato sia un ruscello
e che poi dentro mettiamo un cestello,
io dentro a questo mi adagio pianino
e voi sguazzate da sera a mattino.

Ogni bambino ha la sua fantasia,
chi parla con un merlo o va in Tunisia,
è questo il bello di noi piccini,
giochiamo con niente e siam tutti bellini!

La storia della matita di Paulo Coelho

Questa breve favola, tratta dal libro di Paulo Coelho “Come il fiume che scorre”, invia un messaggio importante.

La storia della matita

Il bambino guardava la nonna che stava scrivendo la lettera. A un certo punto, le domandò: “Stai scrivendo una storia che è capitata a noi? E che magari parla di me.”

La nonna interruppe la scrittura, sorrise e disse al nipote: “È vero, sto scrivendo qualcosa di te. Tuttavia, più importante delle parole, è la matita con la quale scrivo. Vorrei che la usassi tu, quando sarai cresciuto.” Incuriosito, il bimbo guardò la matita, senza trovarvi alcunché di speciale.

“Ma è uguale a tutte le altre matite che ho visto nella mia vita!”. “Dipende tutto dal modo in cui guardi le cose. Questa matita possiede cinque qualità: se riuscirai a trasporle nell’esistenza sarai sempre una persona in pace col mondo.”

“Prima qualità: puoi fare grandi cose, ma non devi mai dimenticare che esiste una Mano che guida i tuoi passi. ‘Dio: ecco come chiamiamo questa mano! Egli deve condurti sempre verso la Sua volontà.”

“Seconda qualità, di tanto in tanto, devo interrompere la scrittura e usare il temperino. È un’azione che provoca una certa sofferenza alla matita ma, alla fine, essa risulta più appuntita. Ecco perché devi imparare a sopportare alcuni dolori: ti faranno diventare un uomo migliore.”

“Terza qualità: il tratto della matita ci permette di usare una gomma per cancellare ciò che è sbagliato. Correggere un’azione o un comportamento non è necessariamente qualcosa di negativo: anzi, è importante per riuscire a mantenere la retta via della giustizia.”

“Quarta qualità: ciò che è realmente importante nella matita non è il legno o la sua forma esteriore, bensì la grafite della mina racchiusa in essa. Dunque, presta sempre attenzione a quello che accade dentro te.”

“Ecco la quinta qualità della matita: essa lascia sempre un segno. Allo stesso modo, tutto ciò che farai nella vita lascerà una traccia: di conseguenza impegnati per avere piena coscienza di ogni tua azione.”

Iniziativa filastrocche

Siamo di nuovo giunti alla premiazione della filastrocca di Maggio con la collaborazione del forum Graficamia. 

La vincitrice è Emanuela con il lavoro abbinato alla filastrocca:

Le sette ochette

Vi guardo e vi dico che siete belle,
sette ochette, tutte sorelle,
chissà perché vi chiaman giulive,
forse perché siete aggressive?

A dir la verità non so che vuol dire,
ho usato la rima per non farlo capire,
ma ora non serve, ormai ve l’ho detto,
sono piccina, ho poco intelletto.

Vi ho portato in questo boschetto,
ma non c’è l’acqua per fare il bagnetto,
ma se usiamo la fantasia,
potete nuotare con frenesia.

Facciamo che il prato sia un ruscello
e che poi dentro mettiamo un cestello,
io dentro a questo mi adagio pianino
e voi sguazzate da sera a mattino.

Ogni bambino ha la sua fantasia,
chi parla con un merlo o va in Tunisia,
è questo il bello di noi piccini,
giochiamo con niente e siam tutti bellini!

Iniziativa filastrocche

Eccoci giunti alla premiazione della filastrocca di Marzo tramite la collaborazione del mio blog e il forum Graficamia.

Le vincitrici di questo mese sono AnnamariaLorette con il lavoro abbinato alla filastrocca:

Il bene di una nonna

Nonna mi vieni vicino
oggi ho male al pancino,
non so che cosa ho mangiato,
forse era avariato.

La nonna gli si siede vicino
e gli accarezza il pancino,
con questo tocco beato
il bimbo si è addormentato.

Lo osserva mentre riposa,
un sorriso sul volto si posa,
chissà se starà sognando
la mamma, il papà o cos’altro.

E pensa a quando era nato
e al mondo si è presentato,
due occhi blu come il mare,
ti ci potevi specchiare.

Si sveglia di soprassalto
e vede la nonna al suo fianco,
allora è tranquillo e sa
che lei sempre accanto sarà.

Le prende la mano rugosa,
è scarna e ha lo smalto rosa,
ella gli dà un bacino

e gli rivolta il cuscino.

Dormi caro tesoro,
perché non sei da solo,
mamma e papà son lontano
ma io ti tengo per mano.

Iniziativa filastrocche

Siamo giunti alla premiazione della filastrocca del mese di  Gennaio tramite la collaborazione tra il mio blog e il forum Graficamia.

La vincitrice di questo mese è Annamaria   con il lavoro abbinato alla filastrocca:

Gennaio

Sono Gennaio, non son tanto bello
e porto in testa un grande cappello,
a molti piaccio e son proprio buoni

invece molti mi voglion far fuori.

Sono un po’ strano, questo lo so,
porto la pioggia oppure no,
porto la neve che riscalda i cuori
ma solo ai bambini perché giocano fuori.

Molti vecchietti di me han paura,
io porto il freddo e non è cosa sicura,
ma che volete, non c’è nulla da fare,
io devo venire, non mi posso assentare.

Bella e l’alano George

Eccomi di nuovo a scrivere una storia vera di cui ho sentito parlare ultimamente. Questa volta i veri personaggi sono una bambina e un cane, precisamente un alano.

Questa bella bambina di Woburn (Massachusetts) Bella Burton, all’età di due anni ha iniziato ad avere problemi di crescita. Dopo varie visite effettuate da specialisti le è stata diagnosticata la “Sindrome di Morquio”. Questa le ha causato problemi cardiaci e paraplegia.

Ha subito 9 interventi ma non ha mai potuto abbandonare la sedia a rotelle e le stampelle.

Non riesco ad immaginare il dolore dei genitori, impossibilitati a fare qualsiasi cosa per il bene della bimba. Il fatto poi che Bella fosse consapevole di tutto accresce ancora di più il tormento.

Ma come tutte le favole a lieto fine ecco che arriva il nostro Principe azzurro a salvare la bambina.

Dopo la conoscenza, da parte dei genitori, di un progetto in cui alcuni cani  alani venivano addestrati per aiutare persone in difficoltà motoria, questi si sono recati con la bimba nel centro di addestramento  e qui Bella ha incontrato il suo amico più prezioso. Dicono che è stato amore a prima vista. George, il nome del cane, già da subito è stato ammaliato da questa bimba e non voleva allontanarsi da lei.

L’alano, addestrato dal Service Dog Project di Ipswich (Massachusetts), è entrato a far parte della vita di Bella e da allora l’accompagna ovunque lei vada: a scuola, in palestra, al centro commerciale e a fine giornata si addormenta accanto a lei.

La sua sedia a rotelle è stata parzialmente abbandonata e le stampelle sono state sostituite da George che funge da appoggio alla piccola.

George e Bella hanno un legame inscindibile e lui farebbe di tutto per lei. Sono inseparabili!

George l’ha aiutata a guadagnare autostima, indipendenza e felicità. Con questa motivazione la fondazione American Kennel Club ha incluso l’alano tra i vincitori del premio per l’eccellenza canina.

Ora Bella ha 11 anni e con George al suo fianco è una bambina felice.

(a cura di Marisa Labanca)

Film Wonder

Come ho scritto più volte i miei interessi verso il grande schermo e la lettura sono sempre stati orientati a casi di storie vere, soprattutto legate a bambini o a portatori di handicap. Mia figlia minore mi dice sempre che dovrei farmi valutare psicologicamente perché questo interesse ha sicuramente una sua motivazione, ma visto che lei è in questo ambito lavorativo non prendo assolutamente in considerazione il suo consiglio e vado avanti con i miei interessi.

Ritornando a noi, il mio ultimo film visto (anzi rivisto) è stato Wonder e avevo già scritto qualcosa su questo film che ripropongo perché lo avevo scritto molti mesi fa.  

Buona lettura

Quando mi hanno parlato che era uscito un film con Julia Roberts, che stimo tantissimo come attrice, ne sono andata alla ricerca e l’ho  visto. Inoltre con la visione del film avrei anche trovato stimoli per scrivere l’articolo per il mio blog, che da tempo avevo in serbo, in quanto questi affronta sia il tema del bullismo sia la diversità, due temi importanti attuali che volevo trattare.

Il libro è tratto da una vera esperienza della scrittrice statunitense, Raquel Jaramillo, nota con lo pseudonimo di R.J. Palacio. Un giorno, in gelateria, il figlio di tre anni scoppiò a piangere perché aveva visto una bambina affetta dalla disostosi mandibolo-facciale, la sindrome di Treacher Collins, una malattia rara congenita dello sviluppo craniofacciale, associata a diverse anomalie della testa e del collo che colpisce un neonato su 50mila.

Tornata a casa, R.J. Palacio provò molta vergogna e decise di raccontare la storia di quella bambina e di Auggie la notte subito dopo l’incontro in gelateria: “Ho iniziato a pensare a come deve essere vivere ogni giorno guardando in faccia un mondo che non sa come guardarti”.

Da questa esperienza nasce il libro Wonder che racconta la storia di uno sfortunato ragazzo affetto da questa malattia.

Ritornando al film, che si intitola ugualmente Wonder, che in italiano significa Meraviglia, con sincerità parla ai ragazzi e alle famiglie permettendo loro di affrontare temi importanti come la diversità, la malattia, le difficoltà quotidiane, il mondo della scuola e il bullismo con un sorriso bagnato di lacrime di commozione.

Nel film è drammatica la scena della sua nascita dove le infermiere lo nascondono alla vista della madre, subito dopo il parto, nello sguardo terrorizzato della donna che teme il peggio.

Dopo l’accettazione amorevole da parte dei genitori e della sorella, decidono di dedicargli tutto il maggior tempo possibile per evitargli ogni dolore.

Quindi la mamma funge da maestra insegnandogli tantissime cose e quando lui deve uscire lui indossa un casco da astronauta per evitare i commenti delle persone.

Quando Auggie cresce, dopo aver subito 27 interventi chirurgici correttivi, i genitori decidono di iscriverlo a una scuola media pubblica. Sanno che non possono proteggerlo dal mondo circostante per sempre con tutte le sue insidie. Entrambi vogliono che il bimbo si faccia delle amicizie ma già alla fine del giorno viene soprannominato “Barf Hideous” (che in italiano diventa Darth vomito).

Riuscirà a trovare un amico in Jack, un ragazzo dolce e sensibile che tuttavia esita ad avvicinarsi al nuovo ragazzo diverso per non uscire dal suo gruppo.

Nella scuola è vittima di bullismo, ma il protagonista di Wonder si piega, ma non si spezza. Agli insulti, alle angherie, Auggie risponde sempre con la gentilezza.

Con indicibile audacia Auggie mostra al mondo il suo vero viso, non quello segnato dalle cicatrici degli interventi chirurgici ma quello di un bambino intelligente e sensibile, capace di conquistare il cuore delle persone con gentilezza e umorismo.

Egli è un bambino forte, ma al contempo pieno di ansie e paure che si scopre artefice di un cambiamento positivo dei suoi coetanei nella classe.

Questo cambiamento è sottolineato dal preside della scuola nel suo encomio finale, dove cita alcuni passi di un autore, fondatore della scuola, che sottolineano come la forza di un cuore che trascina altri cuori è motivo di orgoglio e di importanza più di un’ opera di carità.

Il bimbo è pronto sempre a porgere l’altra guancia, e grazie al suo modo di essere conquisterà tutti e in poco tempo diventerà l’allievo più popolare della scuola media Beecher Prep.

Quando un amico gli chiede se ha mai pensato a un intervento chirurgico egli risponderà:”Questo è dopo la chirurgia plastica. Non è facile essere così belli”!

Ci sono almeno tre cose meravigliose in Wonder. Primo il fatto che dipinga i genitori del bambino come “porte”. La loro funzione principale all’interno della storia è infatti sia quella di proteggere il bambino e la sorella dalle brutture del mondo, sia quella di lasciarsi attraversare in modo che i figli vadano oltre, nel caos della vita. Poi che ribadisca come la scuola sia ancora il luogo più importante dell’educazione e della crescita personale, e che infine rivendichi una morale che non ci si stanca mai di sentire. L’ironia, l’intelligenza, l’amore, sono i mezzi con cui si reagisce alle durezze della vita, passando da una situazione di debolezza a una di forza.

Certo, questo è un film a lieto fine, se si può definire così. Il bimbo ha saputo reagire ma soprattutto ha saputo accettarsi con i suoi limiti e i suoi difetti. Ma purtroppo nella vita non sempre avviene così.

Il bullismo è una piaga sociale. Il diverso viene etichettato e preso di mira. La diversità, questa condizione universale che esce dai canoni e ti isola o addirittura ti annienta.  

Ma chi sono i diversi e perché non sono accettati? Eppure si dice che la diversità è una ricchezza. Ce lo insegna la natura. È attraverso la diversità che si arriva alla conoscenza. Ciascuno di noi contribuisce con la sua tessera al grande mosaico (in perenne estensione) del sapere umano.

Tu non sei come me, tu sei diverso,
ma non sentirti perso.
Anch’io sono diverso, siamo in due
se metto le mani con le tue.
Certe cose so fare io, e altre tu
e insieme sappiamo fare anche di più.
Tu non sei come me, son fortunato,
davvero ti son grato
perché non siamo uguali:
vuol dire che tutte e due siamo speciali.

(Bruno Tognolini)

Notizie tratte da Wikipedia 

Filastrocca: caro Babbo Natale

Toc toc. Posso entrare?
Però nessuno mi deve disturbare,
sono venuto a portare dei doni,
mi hanno detto che i bimbi son stati buoni.

Ecco in un angolo una letterina,
non c’è nessuno in casa stamattina.
Con questo freddo chissà dove sono andati,
c’è anche la neve, si saran bagnati!

Ora mi siedo in questa bella poltrona,
è di raso rosso e sono sveglio di buon’ora.
Sprofondo così nel morbido tessuto
mi sento proprio molto benvoluto.

Però purtroppo nel caldo tepore
mi addormento e passano le ore
e mi ricordo d’un tratto della letterina,
non l’ho ancora aperta, che figura barbina!

“Caro Babbo Natale, sono dovuta partire,
oggi la mamma deve partorire,
ti ho lasciato sul tavolo i biscottini,
un poco di latte e alcuni grissini.

Dona i miei regali a un altro bambino,
a me basta avere un fratellino,
non c’è al mondo cosa più bella,
sul mio albero di Natale aggiungo una stella!”

Iniziativa filastrocche

Siamo giunti alla premiazione della filastrocca del mese di Novembre tramite la collaborazione del mio blog con il forum Graficamia. 

La vincitrice è Lorette con il lavoro abbinato alla filastrocca:

Non sono un pesce

Mi sono tolta il pannolino
e mi sono infilata il costumino,
ora nel mare mi devo buttare
ma ho paura, non c’è niente da fare.

Il babbo mi guarda con un sorrisetto,
il baffo trema, mi dà uno sberleffo.
Questo mi fa ancora più arrabbiare
e non mi aiuta di certo ad entrare.

Passa davanti a me un pesciolino,
mi dà uno sguardo, è proprio carino.
Chissà chi gli ha insegnato a nuotare,
eh, la natura, quante cose sa fare.

E noi bambini invece perché,
dobbiamo nuotare, senso non c’è.
Già dobbiamo imparar a camminare,
e la pipì addosso non possiamo più fare.

Se sbagliamo in qualcosa ci sanno sgridare,
siamo piccini, dobbiamo imparare.
Il pesce nuota, la rana salta,
l’uccello vola, la biscia avanza.

Invece io devo imparare a nuotare,
non sono un pesce ma lo devo fare.
Guardo la mamma e poi il papà,
mi butto nel mare, che contenti li fa!

Frida Kahlo: l’artista

Frida Kahlo nasce nel 1907 a Coyoacán (Città del Messico) da Carl Wilhelm Kahlo, fotografo tedesco e da Matilde Calderon y Gonzales, sposata in seconde nozze nel 1898.

Frida è la più vivace e ribelle di quattro fratelli. È indipendente e passionale, intollerante di ogni regola e convenzione; è anche la più cagionevole di salute perché affetta da spina bifida, cioè una malformazione del midollo spinale.

Con il padre ebbe un buonissimo rapporto che ringrazierà con queste parole:” Grazie a mio padre ebbi una infanzia meravigliosa, infatti, pur essendo molto malato fu per me modello di tenerezza, bravura e soprattutto di comprensione per tutti i miei problemi”. Non facile invece il rapporto con la madre per la freddezza pragmatica e il fanatismo religioso.

 

Non si fece però sopraffare dalla malattia e intraprese gli studi con l’obiettivo finale di diventare medico. Studiò inizialmente al Colegio Aleman, una scuola tedesca, e nel 1922 s’iscrisse alla Escuela Nacional preparatoria. Qui si innamorò di uno studente, Alejandro Gómez Arias.

In questo lasso di tempo cominciò a dipingere per divertimento i ritratti dei suoi compagni.

Ma nel 1925 un evento terribile cambiò drasticamente la sua vita. In seguito a un incidente, tra l’autobus su cui viaggiava e un tram. La colonna vertebrale le si spezzò in tre punti. Si fratturò anche il femore, costole, gamba sinistra e l’osso pelvico.

Subì 32 operazioni chirurgiche. Dimessa dall’ospedale, fu costretta ad anni di riposo nel letto di casa, col busto ingessato.

Tutto questo le provocò una profonda solitudine e ebbe solo l’arte come unica finestra sul mondo.

Nella situazione in cui era costretta iniziò a leggere testi sul movimento comunista e fece il suo primo lavoro, un autoritratto che donò ad Alejandro.

In seguito a questa predisposizione naturale i genitori predisposero un letto a baldacchino con uno specchio sul soffitto, in modo che potesse vedersi, e dei colori. Incominciò così la serie di autoritratti. “Dipingo me stessa perché passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio” affermò.

Dopo che le fu rimosso il gesso riuscì a camminare, con dolori che sopportò per tutta la vita.

A 21 anni, in seguito ad approvazione del suo talento e per poter contribuire finanziariamente al ménage familiare, sottopose i suoi quadri al famoso pittore del Messico, Diego Rivera. Questi rimase assai colpito dallo stile moderno di Frida, tanto che la prese sotto la propria ala e la inserì nella scena politica e culturale messicana.

Si sposano l’anno successivo, Diego ha 21 anni più di lei ed è al terzo matrimonio. Ma con lui la vita non è stata facile in seguito alla sua continua infedeltà. Di riflesso anche lei ebbe numerosi rapporti extraconiugali.  

In seguito molti altri eventi lasciarono Frida sempre più triste: un aborto spontaneo, il tradimento di Rivera con la sorella Cristina. In seguito a questo divorziarono ma si risposarono nel 1940.

Frida stessa dirà: «Ho subito due gravi incidenti nella mia vita: il primo è stato quando un tram mi ha travolto e il secondo è stato Diego Rivera».

Lo stile di questa grande artista è ricco di suggestioni surrealiste ed espressioniste a cui aggiunge un tocco naïf che rende le sue opere difficilmente assimilabili ad una qualsivoglia corrente pittorica.

All’inizio i suoi dipinti furono realistici, ritratti della sua famiglia e di amici. Con il passare degli anni i suoi tormenti fisici e psichici tramutarono il suo stile.

Nella sua prima mostra un critico messicano ha commentato:”È impossibile la vita di questa persona straordinaria. I suoi quadri sono la sua biografia”.

Il suo ultimo dipinto “Viva la vida”, eseguito 8 giorni prima di morire, è veramente un ultimo omaggio alla vita. Ritrae dei cocomeri dalla polpa succosa che spiccano, verdi e rossi, su un cielo azzurro.

Frida amava la natura e gli animali. Il meraviglioso patrimonio naturalistico messicano è spesso presente nelle sue opere. I suoi stessi giardini ispiravano i suoi quadri e la consolavano nella sua vita turbolenta.

Ad agosto 1953, per un’infezione con conseguente gangrena, le fu amputata la gamba destra. Morì di embolia polmonare a 47 anni nel 1954. Fu cremata e le sue ceneri sono conservate nella sua Casa Azul, oggi sede del Museo Frida Kahlo.

Le ultime parole che scrisse nel diario furono: “Spero che l’uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai più.”

Tratto da:
https://www.festivalculturatecnica.it/chi-e-davvero-frida-kahlo-5-curiosita-su-di-lei/

https://it.wikipedia.org/wiki/Frida_Kahlo

Iniziativa filastrocche

Dopo una breve pausa legata al periodo estivo nel mese di Settembre ho ripreso la collaborazione tra il mio blog e il forum Graficamia riguardo le filastrocche.

La vincitrice del mese di Settembre è Emanuela con il lavoro abbinato alla filastrocca:

La montagna dei bambini

La montagna è da adorare
ci son pochi che lo posson fare,
ai bambini può piacere
solo quel che si può vedere.

Puoi incontrare uno stambecco,
l’ermellino o il gipeto,
uno scoiattolo nel bosco
o un picchio su un ramo morto.

Passa un merlo con un verme in bocca,
cerca il nido e il suo cuore scoppia,
il movimento lo ha disorientato
e il suo piccolo è ancora affamato.

Queste cose piacciono a un bambino,
ma per questo deve fare un cammino,
sarà lungo o sarà breve
chissà quel che dalla strada riceve.

Ma tutto questo ti arricchisce
e la visione non svanisce,
quando a casa tornerai
dentro il tuo cuore troverai.

La pediofobia

Sembra quasi impossibile che oggi, dove si vedono solo scene di violenza, dove anche molti cartoni animati includono identiche scene, si parli di questa fobia.

Si tratta della pediofobia, cioè la paura incontrollata verso le bambole.

L’ho vissuta in prima persona in quanto mia figlia minore, da piccola, aveva paura delle bambole che parlavano o camminavano.

Ho scritto in questo blog alcuni articoli sulle bambole, per cui mi sembra appropriato citare questa patologia.  

Vi sono molte teorie che psicologi e pedagogisti hanno elaborato in merito. Questa patologia può essere vissuta fino all’età adulta. Pur capendo che è infondata nel tempo chi ne soffre non riesce a superarla e, come per quasi tutte le fobie, se si vuole liberarsene bisogna trattarla con mezzi di esposizione graduale, usando una serie di bambole fino ad arrivare a quelle che impauriscono maggiormente il paziente.

Coloro che soffrono di pediofobia, i pediofobici, hanno delle reazioni alla vista delle bambole, che possono comprendere:

– battito accelerato;

– respirazione accelerata;

– secchezza delle fauci;

– tremori e brividi;

– rimanere paralizzati dallo spavento;

– urla e pianti;

– cercare di fuggire.

Un addetto del Pollock’s Toy Museum di Londra, un piccolo museo che espone giocattoli d’epoca, ha confessato che alcuni visitatori preferiscono fare a ritroso tutto il percorso di visita e uscire dall’ingresso piuttosto che affrontare la sala in prossimità dell’uscita, quella che espone decine di bambole, da rarità con i volti di cera a dame di porcellana in abiti vittoriani.
Tratto da:

https://www.focus.it/comportamento/psicologia/perche-le-bambole-possono-fare-paura

Racconti di un apprendista sciamano

Alcuni anni fa ho letto con molto interesse questo libro dal titolo “Racconti di un apprendista sciamano” di Mark Plotkin.

In quel periodo ero la titolare di un Vivaio di piante tropicali ed ero alla continua ricerca di notizie che potessero ampliare le mie conoscenze verso questo mondo meraviglioso.

L’autore del libro,  scritto come un diario giornaliero, ha percorso decine di chilometri con gli Sciamani Yanomano, essendo un appassionato della foresta amazzonica. Si è interessato sia alle piante che agli animali che vi vivevano, ma il suo studio-ricerca era soprattutto rivolto verso la conoscenze, con conseguente approfondimento, dei poteri delle sostanze prodotte da alcune piante.  

Egli scrive: “Avevo seguito il vecchio sciamano per tre giorni nella giungla e nel corso della nostra lunga camminata s’era sviluppato fra noi un rapporto enigmatico. L’uomo medicina era ovviamente offeso del mio desiderio d’imparare i segreti delle piante della foresta che lui conosceva e usava per curare. Tuttavia pareva contento che io fossi venuto da una terra così lontana, mi chiamava l’alieno, per apprendere gli insegnamenti botanici che i giovani della sua tribù non erano più interessati ad imparare”.

Tra lui e il vecchio sciamano con il tempo si è poi instaurato un rapporto di amicizia.

Da questo libro ho imparato nomi nuovi, ho seguito passo per passo, con la fantasia, il percorso fatto da questa persona eccezionale, ho imparato che quello che il mondo moderno sa non è nulla in confronto a quello che viene custodito da questi popoli che dedicano la loro esistenza esclusivamente alla sopravvivenza in una terra piena di insidie ma ricca di elementi naturali e solo la loro grande capacità di saperli utilizzare li porta ad essere Medici, Botanici, Chimici, esclusivamente per il loro popolo.

“Quando un occidentale guarda la giungla, vede il verde: erbe, liane, cespugli, alberi. Quando un indio guarda la giungla, vede le cose fondamentali per l’esistenza: cibo, medicamenti e materie prime per costruire un riparo, intrecciare amache e intagliare archi da caccia”.

La storia dell’orsetto Teddy

Sono mesi che avrei voluto scrivere un articolo sull’orsetto di peluche maggiormente conosciuto e ho sempre rimandato ma, secondo me, adesso è il momento giusto. Vi chiederete il perché?

In questo periodo credo che i Teddy di tutto il mondo abbiano passato molto più tempo in braccio ai loro amati “amici”.

Non c’è stata solo più la compagnia notturna ma in più occasioni hanno avuto il contatto fisico anche durante queste giornate solitarie. Sono stati non solo i loro compagni di giochi, di tranquillità, di amicizia, ma gli unici amici che potevano incontrare e stringere in un caloroso abbraccio. 

Inoltre l’identica necessità, legata all’orsetto Teddy, è già accaduta durante il periodo della seconda guerra mondiale. 

Molti bambini soffrirono il trauma della evacuazione dalle loro case e furono confortati solo dalla compagnia dei loro orsacchiotti.

E quindi racconto la vera storia di Teddy Bear.

Il nome Teddy Bear deriva da un episodio accaduto al Presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt, soprannominato “Teddy”, che come passatempo andava a caccia grossa.

Nel 1902, durante una battuta di caccia all’orso lungo il fiume Mississippi. A un certo punto i suoi assistenti catturarono un cucciolo di orso bruno, lo legarono a un albero ed esortarono il Presidente a sparargli per poi portare a casa il suo trofeo.

Alla vista dell’animale ferito e immobilizzato, però, Roosvelt si indignò, dicendo che sparare a un orso in quelle condizioni non sarebbe stato sportivo e si rifiutò di ucciderlo.

La scelta di Roosevelt fu particolarmente apprezzata perché in quella battuta di caccia (come pare accadesse spesso al presidente) lui non riuscì poi ad abbattere nessun orso, tornandosene a casa senza alcun trofeo.

La notizia fece impazzire la stampa, che la diffuse ribattezzando l’orso Teddy Bear.

Il giorno successivo il disegnatore satirico Clifford K. Berryman pubblicò sulla prima pagina del Washington Post una vignetta che mostrava Roosevelt nell’atto di volgere le spalle all’orsetto legato con un gesto di rifiuto.

I lettori si innamorarono dell’orsetto della vignetta, e in seguito Berryman inserì immagini di orsetti in molti dei suoi disegni. Gradualmente, gli orsetti di Berryman divennero sempre più “piccoli, rotondi e carini”, contribuendo a creare lo stereotipo dell’orsacchiotto. Il record di vendite spronò i coniugi a fondare la società Ideal Novelty and Toy Company, un vero e proprio regno degli orsacchiotti.

Roosevelt scrisse a Berryman dicendo “abbiamo trovato tutti molto gradevoli i suoi disegni di orsetti”.

Sull’onda della popolarità di “Teddy Bear” e degli orsetti di Berryman, il 15 febbraio del 1903 Moris Michtom e sua moglie Rose misero in vetrina due orsetti di pezza nel loro negozio di Brooklyn, con il cartello “Teddy’s bears”, previo permesso scritto del presidente di usare quel nome. Il successo fu tale che in seguito i coniugi fondarono una società specializzata nella produzione di orsacchiotti, la Ideal Toy Company.

Nello stesso periodo, Margaret Steiff, proprietaria di una fabbrica di giocattoli in Germania iniziò a commercializzare orsacchiotti. Alla Fiera del Giocattolo di Lipsia, la Steiff vendette 3000 esemplari a un importatore americano. Ancora oggi, la Steiff produce “Teddy Bear” per l’esportazione in tutto il mondo.

Nel mondo dei giocattoli, nessun animale si è mai guadagnato una posizione così in vista come l’orsacchiotto.

E’ lui il pupazzo del cuore, quello che non si butta mai.

Ci sono persone che conservano il loro orso per tutta la vita. Il giocattolo diventa parte integrante della famiglia, fa la stessa vita del proprietario: mangia, dorme e va in vacanza con lui.

All’orsetto sono state dedicate favole in cui è rappresentato come simbolo di virtù.

Dal celeberrimo Winnie-the-Pooh a Paddington e l’orsetto è sempre il più onesto, coraggioso, leale e gentile.

Nel periodo della seconda guerra mondiale la costruzione di giocattoli fu razionata perchè i materiali con cui i teddy venivano costruiti servivano a scopi bellici.

Al giorno d’oggi orsacchiotti storici, vecchi di parecchi anni, sono venduti alle più importanti aste internazionali, da Christie’s a Sotheby’s, a prezzi esorbitanti, come se fossero quadri di importanti pittori.

La prima vignetta di Clifford K. Berryman

Tratto da:
https://www.hobbydonna.it/hobby/53-teddy-bear/536-la-storia-dei-teddy-bears

https://www.luukmagazine.com/teddy-bear-storia-dell-orsacchiotto-piu-famoso-del-mondo/

https://it.wikipedia.org/wiki/Orsacchiotto

Poesia per le donne: Sei bella

Vorrei  citare oggi, in occasione della Giornata sulla violenza delle donne, questa poesia così conosciuta ma erroneamente attribuita a Alda Merini.

Il suo autore è Angelo de Pascalis, poeta e scrittore salentino. 

Sei bella

Sei bella.

E non per quel filo di trucco.

Sei bella per quanta vita ti è passata addosso,

per i sogni che hai dentro

e che non conosco.

Bella per tutte le volte che toccava a te,

ma avanti il prossimo.

Per le parole spese invano

e per quelle cercate lontano.

Per ogni lacrima scesa

e per quelle nascoste di notte

al chiaro di luna complice.

Per il sorriso che provi,

le attenzioni che non trovi,

per le emozioni che senti

e la speranza che inventi.

Sei bella semplicemente,

come un fiore raccolto in fretta,

come un dono inaspettato,

come uno sguardo rubato

o un abbraccio sentito.

Sei bella

e non importa che il mondo sappia,

sei bella davvero,

ma solo per chi ti sa guardare.

Nuova iniziativa sulle filastrocche

Anche questo mese il Forum Graficamia si è messo a disposizione per inserire il contest Le Filastrocche di Lucia. 

Nel ringraziare per questa opportunità annuncio che ha vinto, per il mese di Ottobre,  il lavoro di  Paola abbinato alla filastrocca:

              Mi è caduto un dentino

Oggi mi è caduto un dentino
e l’ho trovato nel mio lettino,
mi sono addormentata con lui vicino
ma me lo ha rubato un topolino.

Alcuni dicono che è una fatina
che ruba i denti per la Regina,
ma invece per me è stato un topino,
ho visto la cacca sul comodino.

E al mattino ho trovato un soldino,
è stato tirchio, era bellino,
sì, piccolino ma era carino

ed era bianco, pulito a puntino.

La filastrocca è quasi finita,
non fatemi ridere, lo faccio a fatica,
adesso in bocca ho un buchetto,
non riesco nemmeno a dare un bacetto.

Metto il guadagno nel salvadanaio,
forse da grande farò il gelataio
e porterò gelati ai bambini,
che senza un dente sono sempre carini.

Nuove collaborazioni

Stavo leggendo alcuni commenti nel blog di una amica e mi ha colpito l’articolo che aveva inserito riguardo un giovane scrittore, Marco Conti.

Ho così navigato nel fantastico sito di Marco che vedete QUI e mi sono persa nelle sue parole, nel suo modo di esprimersi attraverso le sue pagine, dal suo modo semplice di scrivere, dalla voglia instancabile di fare, di trovare ogni occasione per dare sfogo a questa necessità.

Solo chi è scrittore può capire il bisogno impellente che si ha di farlo, non importa dove o come, non importa cosa si scrive o cosa ma lo si fa. Ogni giorno, ogni attimo, ogni qualvolta che nasce un’idea o un verso.

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Il suo nuovo progetto è quello di dare spazio alla fantasia dei bambini che hanno desiderio di scrivere una poesia o una storia. A rompere il ghiaccio ma soprattutto ad ideare questa iniziativa è stato suo figlio Luca che frequenta la scuola elementare.

Conoscete il detto”Tale padre tale figlio”, in questo caso è successo proprio così, il ragazzo ha sentito la necessità di voler mettere su carta delle sensazioni fornitegli dalla natura, con i suoi suoni e suoi colori. E a quale miglior maestro poteva chiedere consiglio se non al padre? Come si può non sentirsi coinvolti nelle richieste dei figli? 

È quindi nata così la poesia La primavera che potete seguire QUI vista dagli occhi di un bambino. Ne è seguito un video con sottofondo musicale, di Beppe Bornaghi, che ti apre il cuore: solo semplicità scaturisce da queste parole, quella che solo nel cuore di un bambino puoi ancora riscoprire.

Da questa semplice e simpatica idea è nato quindi il progetto, il BabyBooksTuBe. L’obiettivo è quello di dar voce ai bambini che amano scrivere, che siano poesie, favole o racconti. Quante cose potrebbero insegnarci, potremmo così riuscire a vedere il mondo attraverso il loro pensiero e il loro sguardo.

Complimentandomi con Marco ma soprattutto con Luca, io che scrivo esclusivamente per i bambini, non potevo non cogliere questa occasione, cioè quella di collaborare con loro.

Ho tanto da imparare da questa esperienza e mi auguro che il connubio porti a far emergere tanti nuovi piccoli “artisti”.

luca

 

Serve solo un foglio di carta, una penna e la fantasia che ogni bambino ha dentro di sé per farci sognare.

 

Anche il blog marcoscrive ha parlato di questa nuova collaborazione. LEGGI QUI 

Suor Giuseppina Demuro

Suor Giuseppina Demuro nasce a Lanusei, in provincia di Nuoro il 2 Novembre 1902. È la secondogenita di nove figli.

Dopo esser emigrati a Cagliari, Giuseppina si avvicina la mondo delle Suore Vincenziane ed entra nella congregazione delle Figlie della Carità.

Nel 1923 arriva a Torino dove prende l’abito religioso.

Nel 1926 fa parte del gruppo chiamate a seguire le detenute del carcere giudiziario “Le Nuove”, di Torino. Si ingegna per trovare modi e metodi per relazionare con le detenute . Impara a suonare l’harmonium, a fare della musica uno strumento di gioia, di liberazione dal male e di crescita interiore per le sue carcerate. si istruisce maggiormente, cerca di ridurre le sofferenze dei detenuti.

Nel 1942 viene nominata  Superiora e comandante delle sezione femminile, dietro suggerimento del Direttore del carcere, dottor Marino Tamburrini.

Delle molteplici gesti edificanti di Suor Giuseppina ricordiamo:

  1. la revoca dell’esecuzione capitale di un padre di famiglia condannato a morte per ragioni politiche;
  2. la salvezza di una giovane ebrea trattenuta presso il carcere Le Nuove, anziché essere deportata in un lager tedesco, perché venne applicato alla lettera il Regolamento penitenziario del 1931 che prescriveva il trasferimento di un detenuto se si conosceva prima e con esattezza il luogo di destinazione;
  3. il ricovero infondato di due coniugi ebrei che si salvarono fuggendo dall’ospedale in cui si trovavano; tale gesto è ricordato ancora oggi dai loro due figli con immensa gratitudine;
  4. la sottrazione alle SS di un bambino di appena nove mesi che veniva nascosto in un fagotto di lenzuola sporche e portato via dal carcere;
  5. altri gesti di carità venivano compiuti da questa superiora: · le uova sode sbriciolate venivano messe nelle scatole di medicinali per portarle ai detenuti politici del 1. Braccio tedesco; · varie notizie familiari venivano trasmesse di nascosto ai prigionieri; · le madri venivano consolate allorquando, arrivate al carcere per effettuare colloquio, erano messe a conoscenza della tragica fine che era toccata ai loro figli fucilati al Martinetto; · il consigliare vari prigionieri sull’adattamento alla vita penitenziaria e al regime intramurario imposto dalle SS, il saper chiedere al maresciallo Siegl, comandante dei reclusi sotto le SS, di far celebrare la Messa del Natale 1944 a Ruggero, cappellano del carcere cui era negato l’accesso al 1. Braccio; · il saper ricorrere a sotterfugi come lo scambio di lastre e di altri esiti medici, grazie alla complicità del dottore in carica, per trasferire in infermeria detenuti politici al fine di offrire loro un trattamento meno disumano.
  6. la nascita dell’Asilo Nido per i bambini da 0 a 3 anni, allevati con le loro madri che espiavano una pena; · l’apertura della “Casa del Cuore” destinate alle detenute senza dimora, con difficoltà economiche, con figli minorenni; · i pranzi offerti alle detenute in occasione del Suo onomastico; la scuola per imparare a leggere, scrivere e fare i conti, i corsi di rattoppo, di stireria, di maglieria, il conforto di madre buona a chi non aveva mai avuto genitori oppure li aveva uccisi di persona per motivi aberranti ed inauditi. 
  7. Diventa fondatrice della Casa del cuore, aperta nel Maggio del 1949. Le liberate dalle varie carceri italiane che non hanno famiglia o rifiutate dalla stessa troveranno qui una accoglienza familiare. Sono incluse anche le recluse dei Manicomi giudiziari o delle Case di Pena.

    La Casa del Cuore aveva 12 posti letto.

    Suor Giuseppina Demuro muore tra le sue amate detenute il 18 Ottobre 1965, amata e venerata da tutti!

    Tratto da:

    http://www.museolenuove.it/index.php/news/item/21-suor-giuseppina-una-donna-attenta-ai-bisogni-degli-altri

John Sloane: illustratore

Oggi vorrei scrivere qualcosa su questo particolare illustratore americano, cresciuto a Chicago intorno agli anni 50-60.

John Sloane volle essere un artista dal momento in cui seppe tenere in mano una matita. All’età di quattro anni, iniziò a riempire ogni scarto disponibile di carta con disegni. Come iniziò la scuola, gli insegnanti riconobbero subito l’abilità del ragazzo ed lo incoraggiarono a sviluppare i suoi talenti. Mentre era ancora un adolescente, puntò sulla carriera di illustratore. 

Invece di intraprendere un addestramento formale, John entrò all’università per intraprendere un percorso di lettere. Studiò i lavori di grandi artisti americani ed illustratori, mentre sviluppava le sue abilità nel dipingere e nella composizione. Immediatamente dopo la sua laurea, cominciò ad ottenere commissioni indipendenti e creò da allora una clientela fedele di editori e raccoglitori.

Si sposò con Mary Anne e insieme acquistarono una vecchia casa colonica che chiamarono Hearts Haven.

I suoi spunti per il disegno, così come per altri artisti che ho menzionato nel mio blog, vennero cercati e trovati nella campagna circostante. Ogni stagione la natura ci viene incontro, soddisfa ogni nostra esigenza ed è da stimolo per mettere su carta ciò che osserviamo. Le ispirazioni ci sono ovunque.

L’ambiente è un’inspirazione meravigliosa al mio lavoro. Io sono stato affascinato dalla bellezza della campagna e dal cambiamento che fornisce, e la terra mi offre una fonte inesauribile di soggetti. Quando io dipingo un prato o una strada di paese, io sento come se fossi io nel dipinto. Io voglio ritrarre la gioia che sento per la campagna americana. Non c’è niente di più bello del colore di un granaio rosso nella luce del sole contro un cielo blu riempito con nubi bianche. Per me, l’immagine è puramente americana.”

Il suo stile è realistico-naif: spettacolari disegni rurali, natalizi, la natura in tutte le sue stagioni, scene di allegri bimbi e famiglie al completo.

Quello che mi ha colpito ed ho trovato molto particolare sono i disegni da colorare da scaricare online. Non è da tutti realizzare un disegno e sapere che poi verrà rifinito  in maniera non conforme al nostro gusto o alla realtà.

Questo fa di lui un artista particolare.

 

  

 

 
                        Hearts Haven

 
               John Sloane

                  

Andrè the Giant: il gigante buono

Andrè Roussimoff nasce a Grenoble il 19 Maggio del 1946. I genitori, Boris e la moglie Mariann  erano due contadini. Boris proveniva dalla Bulgaria e sua moglie Mariann dalla Polonia.

La loro vita scorreva placida seguendo il ritmo del lavoro nei campi, finché divenne chiaro che il loro figlio, Andrè,  aveva un problema: la sua crescita era abnorme ed evidentemente patologica, tanto che a 12 anni pesava 110 kg, ed era alto 190,5 cm. La sua stazza era dovuta a una secrezione eccessiva di ormone della crescita, che causa il gigantismo nei bambini e l’acromegalia negli adulti.

Ben presto per il ragazzo divenne impossibile salire sul piccolo autobus che faceva il giro delle fattorie, raccogliendo gli alunni e portandoli fino a scuola. L’unico modo per garantire che loro figlio ricevesse un’istruzione sarebbe stato acquistare un’automobile capace di reggere il suo peso per accompagnarlo alle lezioni; sfortunatamente i Roussimoff non avevano i soldi necessari.

Cinque anni prima, però, un irlandese aveva acquistato un terreno vicino alla loro fattoria. Boris Roussimoff gli aveva dato una mano nella costruzione del cottage e da allora erano rimasti in buoni rapporti. Venuto a sapere dei problemi del ragazzo ad arrivare a scuola, l’irlandese si offrì di accompagnarlo con il suo pickup. Così, ogni mattina il gigantesco ragazzo e il vicino di casa percorrevano assieme il tragitto verso l’edificio scolastico.

Questa potrebbe non sembrare una storia tanto straordinaria, se non fosse per l’identità dei due protagonisti. L’irlandese alla guida del furgoncino non era altri che Samuel Beckett. Questi all’epoca aveva già scritto Aspettando Godot, Finale di partita e L’ultimo nastro di Krapp e dieci anni dopo sarebbe stato insignito del Premio Nobel per la Letteratura.

Aveva deciso di ritirarsi in questa ridente e tranquilla cittadina per scrivere i suoi capolavori: una piccola casa spoglia, circondata da un prato di erba finissima, lontana dalle distrazioni della quotidianità con un telefono destinato solo a chiamare, senza possibilità di ricezione.

Il ragazzo dodicenne che viaggiava con lui, invece, avrebbe raggiunto una fama di tutt’altro tenore, diventando un idolo per milioni di bambini con il nome di scena di André The Giant.

Icona del wrestling dagli anni ’70 fino alla sua scomparsa nel 1993, André The Giant resta tuttora uno dei lottatori più riconoscibili e amati. Oltre al wrestling, ha partecipato ad alcuni film e la sua apparizione più famosa è quella nel ruolo di Fezzik, il gigante del film La storia fantastica.

Gigante gentile e di buon cuore con i bambini, ma terribile avversario sul ring, è ricordato da tutti i colleghi con affetto e simpatia.

Nella  vita di André niente era comodo o scontato; non c’erano forchette o coltelli della sua misura, e i viaggi in aereo erano un incubo di ore e ore: durante il volo, il gigante doveva rimanere con la testa piegata per non toccare il soffitto, e il bagno era per lui inaccessibile a causa della sua stazza. Nonostante i problemi che l’acromegalia comportava, André era famoso per la sua generosità e la conviviale allegria. Poteva mangiare 12 bistecche e 15 aragoste, bevendo fino a 150 birre in una sola sera, soltanto per divertire i suoi ospiti.

Il 27 di Gennaio del 1993 André si trovava in Francia, rientrato per assistere ai funerali del padre, quando venne colto nel sonno da un infarto fulminate, per il quale il suo cuore malmesso non riprese a battere.

Fu così che uscì di scena un ragazzone generoso destinato ad esser imprigionato nella parte di un mostruoso gigante, seppur di fama planetaria.

Tratto da:

http://bizzarrobazar.com/tag/andre-the-giant/

Filastrocca: scende la neve

Scende la neve
soffice e bianca
ed ogni cosa
al suolo s’imbianca.
Dalla finestra,
chiusa a metà,
un fanciullino
trepida già.

Vuole toccare
la coltre bianca
ma la sua mano
è scarna e già stanca.
Vuole giocare
e fare un pupazzo,
ma i suoi piedi 
non muovono un passo.

Corre la mamma
allora la mamma
e gli disegna 
un uomo paffuto.
Un uomo grande
e lunga ha la barba.
Sembra cotone
e il bimbo lo guarda.

Egli è l’inverno
e porta quaggiù
amore e pace
anche se tu, 
piccolo bimbo
non puoi giocare,
hai la tua mamma,
non lo scordare.

Il piccolo bimbo
guarda la neve,
poi guarda il vecchio
e il suo cuore freme.
Guarda la mamma
e non può mai scordare
che è il dono più bello.
E ritorna a sognare.

 

Filastrocche perché…

A differenza della mia nipotina più grande, la piccola Greta non ama le favole. Anche cercare di leggerle dei libri figurati è un problema, dopo pochi minuti si alza e se ne va. 

Allora ho iniziato a raccontarle delle filastrocche in base a quello che stiamo facendo o vedendo. 

Se le lavo i piedini ecco la filastrocca delle dita, se vediamo dalla finestra un uccellino ecco quella del cagnolino, se scende la neve un’altra. Così riesco ad attirare un pochino la sua attenzione. Cose brevi e ritmate.

E quindi ho aggiunto questa pagina: FILASTROCCHE

Premetto che non amo particolarmente le filastrocche ma sono quelle che le ho raccontato e quindi ho iniziato a trascriverle. 

 

 

 

Ninna nanna: per non dimenticare

Oggi, 27 Gennaio, la Repubblica italiana riconosce il giorno della memoria, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz,

In questo periodo vengono proposti moltissimi film, documentari, dibattiti sullo shoah.

Personalmente ho visto molti film e letto molti libri su questo tragico argomento e ogni volta mi si stringe il cuore pensando a tutti quei bambini, vittime innocenti, che non hanno avuto la possibilità di diventare donne o uomini, mamme o papà. 

Ho sentito in Tv una ninna nanna, Luli. Luli La, scritta da una deportata,  cantata da un soprano e ho voluto documentarmi su questi canti.

Ho ascoltato tante canzoni in lingua Yiddish, ma pur non comprendendo le parole la commozione era tanta.   

La più nota tra le autrici di queste canzoni è Ilse Weber, ceca, morta a 41 anni ad Auschwitz dopo aver passato quasi due anni a Theresienstadt, la fortezza vicino Praga trasformata dai nazisti in qualcosa a metà fra un ghetto e un campo di transito, in cui furono lasciati sopravvivere per un po’ perfino i bambini e dove furono concentrati i musicisti ebrei dell’Europa centro-orientale, che vi composero e allestirono opere importanti.

Quasi tutti quelli che passarono per Theresienstadt continuarono il viaggio verso il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau.

Ilse Weber era scrittrice di racconti per bambini, poetessa e musicista. Quando il marito fu selezionato per Auschwitz, decise volontariamente di seguirlo, con il suo bimbo. Lei e il piccolo furono subito gassati, mentre il marito sopravvisse.

A Theresienstadt, Ilse compose una sessantina di poemi, musicandone alcuni. Fra quelli scelti per il concerto, quasi tutti in tedesco (Rita Baldoni sta curando una traduzione italiana), c’era una tenera ninna nanna in cui si immaginava vagare per Theresienstadt desiderando invano la casa e la libertà.

Di lei, che era già una scrittrice nota, sono rimaste molte immagini, tra cui una bellissima mentre suona un mandolino.

E poi Erika Taube, che nel 1942 a Theresienstadt compose un solo canto, Sei un bimbo come tanti altri , musicato dal marito Carlo. Era dedicato al loro bimbo, con loro a Theresienstadt e che con loro morì ad Auschwitz. E ancora, due canti in ceco di Ludmilla Peskarova, deportata a Ravensbruck e sopravvissuta.

Lulinka (“Ninna-nanna”) fu scritta nel ghetto di Łódź poco dopo la morte del piccolo figlio del poeta, Chava. Fu eseguita per prima dalla cantante Ella Diamant all’apertura del centro culturale del Ghetto, e cantata dagli Ebrei di Łódź, sebbene proibita dallo “Judenrat” (il “Consiglio Ebraico” di osservanza tedesca).

Versione italiana letterale (dall’inglese) di Riccardo Venturi

NON PIU’ UVETTA, NON PIU’ MANDORLE (LULINKA)

Non più uvetta, non più mandorle,

tuo padre non è andato via per lavoro

ninna nanna, figlio mio.

E’ andato via e ci ha lasciati qui,

è andato ai confini del mondo,

ninna nanna, figlio mio.

I gufi gracchiano, i lupi ululano,

Dio, abbi pietà e ascolta le nostre preghiere

ninna nanna, figlio mio.

È da qualche parte a vegliar su di noi

uvetta, mandorle, ne ha così tante,

ninna nanna, figlio mio.

Non più uvetta, non più mandorle,

tuo padre non è andato via per lavoro,

ninna nanna, figlio mio.

Sicuramente tornerà presto

da te, figlio mio, mio gioiello, mia corona,

ninna nanna, figlio mio.

 

Il tamburino Johnny Clem

Molti ricorderanno la storia del Tamburino sardo inserita nel libro Cuore di Edmondo De Amicis (1846-1908), pubblicato nel 1886.

Mi sono chiesta chi fosse stato il primo tamburino ed è emerso il nome di Johnny Clem (Newark, 13 agosto 1851 – San Antonio, 13 maggio 1937)

Egli nacque a Newark nell’Ohio(U.S.A). A soli 9 anni scappò di casa per arruolarsi nell’esercito ma venne rifiutato per la sua giovane età. Pienamente convinto della sua scelta inoltrò la domanda come ragazzo tamburino e così poté entrare a far parte del 22 Reggimento del Michigan.

Anche se non ufficialmente arruolato ricevette ugualmente una paga da soldato di 13 dollari al mese, svolgendo alcuni compiti all’interno del campo.

Nell’Aprile seguente a Shiloh, il tamburo di Clem venne fracassato da una scheggia di artiglieria. Questa notizia di secondo ordine fu ricordata con il titolo di “Johnny Shiloh il ragazzo tamburino”.

Più di un anno dopo, durante la battaglia di Chickamauga, egli portò un cassone di munizioni di artiglieria al fronte impugnando un moschetto con la canna segata per meglio adattarlo alle sue dimensioni.

Durante la ritirata dell’Unione, un ufficiale Confederato inseguì il cannone al cui traino stava seduto Clem, gridando “Arrenditi piccolo dannato Yankee!” ma il ragazzino, anziché ubbidire, lo colpì uccidendolo.

Il fegato dimostrato da Johnny in quell’occasione gli regalò la fama nazionale ed il soprannome di “Ragazzo tamburino di Chickamauga”.

Clem rimase nell’esercito, in servizio come corriere, per tutta la durata della guerra. Venne ferito due volte. A cavallo tra la battaglia di Shiloh e Chickamauga egli venne regolarmente arruolato, ricevendo finalmente la sua retribuzione personale direttamente dai ruoli paga dell’esercito.

Terminata la Guerra Civile Clem presentò la richiesta di poter accedere all’Accademia di West Point, ma la domanda venne respinta a causa della sua scarna istruzione.

Grazie ad un appello fatto direttamente al presidente degli Stati Uniti, Ulysses Grant suo generale durante la battaglia di Shiloh, il 18 Dicembre del 1871 si guadagnò un posto come sottotenente nell’esercito regolare.

Nel 1903 divenne colonnello e assistente generale del Commissariato di guerra.

Si guadagnò una notevole fama per il suo coraggio dimostrato sui campi di battaglia, diventando il più giovane sottufficiale dell’United States Army dell’intera storia militare degli Stati Uniti d’America.

Si ritirò dalle forze armate nel 1915, dopo aver raggiunto il grado di Brigadier generale nel Corpo dei Quartiermastri generali; era allora l’ultimo veterano della Guerra civile ancora in servizio nelle United States Armed Forces. Con un atto speciale del Congresso datato 29 agosto del 1916, venne promosso al grado militare di maggior generale un anno dopo il suo definitivo ritiro.

Morì a San Antonio, Texas, il 13 maggio 1937 e riposa al cimitero nazionale di Arlington.