Archivi categoria: Senza categoria

Sally Swatland, la pittrice dei bambini sulla spiaggia

Amando molto il mare e i bambini, non potevo non scrivere nel mio blog la storia di Sally Swatland.

Nella sua vita mi ci ritrovo, avendo avuto un papà violinista e un antenato, Nicolò Barabino,  restauratore di affreschi nelle Chiese di Genova e dei paesi limitrofi.

Sally nasce nel 1946 a Washington, circondata da artisti. Sua nonna era una violinista da concerto, sua zia un’artista di talento e sua madre suonava il piano e cantava in diversi cori.

Sally era super dotata già da piccola, infatti ha iniziato a dipingere all’età di 5 anni, così come le sue due sorelle.

Ha sempre saputo che voleva diventare un artista, forse non era tanto una decisione quanto un istinto generale a guidarla. La sua famiglia ha incoraggiato i suoi talenti naturali acquistandole colori e cavalletti.

Adesso forse questo può rientrare nella normalità, con i vari corsi per bambini proposti su YouTube o altri canali, addirittura ci sono kit di disegni per bambini con impressi i numeri che corrispondono a un determinato colore. Questo facilita molto il tutto, ma è privo di estro.

All’età di sette anni la sua famiglia si trasferì a Greenwich, nel Connecticut, dove trascorse lunghi periodi in campagna e in varie località balneari. La maggior parte dei giorni estivi furono trascorsi giocando in pozze di marea, inseguendo pesciolini, raccogliendo conchiglie ed esplorando.

Durante la sua infanzia e adolescenza Sally ha sempre dipinto e disegnato, sviluppando la sua capacità di osservazione mentre registrava il mondo intorno a lei. Al liceo si è iscritta a corsi d’arte, mentre alla laurea aveva eccelso al punto che le era stato conferito il premio d’arte per la sua classe di laurea.

Nel 1964 Sally entra al Mount Saint Vincent College di Riverdale, New York, come specialista in arte. Nel 1969, frequenta la Art Students League di New York, prendendo il treno tutti i giorni per frequentare le lezioni. Lì studia disegno e pittura di figure e ritratti per sei anni sotto la direzione di Robert Schulz, un illustratore che ha continuato la tradizione di Norman Rockwell ed è diventato famoso per le sue illustrazioni che abbellivano le copertine di molti libri di Zane Gray.

Aveva ricevuto una vasta formazione sia nella pittura di figura che in quella di paesaggio ed era stata introdotta a diversi approcci, ma era alla ricerca del proprio stile e del proprio pubblico.

Un assolato pomeriggio d’estate, mentre si rilassava con sua madre al Todd’s Point, Sally decise di scattare alcune foto di bambini che giocano nelle pozzanghere, catturando il rapporto tra loro e il modo in cui giocano. Sally lo descrive: “La spiaggia è un luogo perfetto per catturare i bambini e le loro relazioni perché sono spensierati, intensi e felici”.

Dal momento che non era in grado di dipingere in quel momento, si è presa il tempo per assorbire ciò che la circondava, memorizzando e studiando l’acqua, la sabbia, i riflessi e l’atmosfera.

Una volta a casa trasse da queste foto lo spunto per eseguire un piccolo dipinto che mostrò agli amici in quali lo apprezzarono molto. Presto comprese che il suo tema preferito era la spiaggia, dove aveva trascorso tanto tempo crescendo.

Aveva trovato il suo soggetto!

Si sposò nel 1070 con Frank Swatland, amico di famiglia, che le è sempre stato accanto collaborando ai suoi progetti,  fotografando tantissime immagini, di aiuto per i suoi dipinti.

Nel 1975 nacque la sua prima figlia, Noelle, che è diventata una delle sue modelle preferite per queste composizioni.

Chiaramente, Sally aveva trovato i suoi soggetti e un pubblico per loro : vedute di bambini che giocano sulla spiaggia o in un giardino lussureggiante.

Quando i suoi figli sono cresciuti (la sua seconda figlia Katie è nata nel 1981), la famiglia ha viaggiato alla scoperta di altre spiagge. Trascorsero molto tempo sulla costa occidentale, esplorando le comunità costiere della California.  Sulla costa orientale, si godettero le spiagge del Maine lungo la North Shore del Massachusetts e fino a Cape Cod. Le spiagge sono diventate una parte importante e stimolante della loro vita familiare.

Per gran parte degli anni ’80, Sally si è concentrata sulla sua famiglia, trascorrendo molto tempo con i suoi figli. Ha continuato con le sue commissioni di ritratti e si è dilettata a catturare i suoi giovani modelli mentre giocavano sulle spiagge e sui giardini che visitavano. La sua macchina fotografica ha continuato ad essere un registratore importante per i suoi dipinti. Trascorreva molti giorni estivi sulle spiagge e nei giardini intorno a Greenwich, dove portava le sue figlie e le loro amiche e le fotografava.

Portava una varietà di vestiti colorati e un assortimento di cappelli, trascorrendo una notevole quantità di tempo alla ricerca dell’abbigliamento giusto. L’ombrello, la borsa da spiaggia, la fascia o la sedia giusta potevano dare un tocco di colore in più al dipinto. I suoi servizi fotografici sulla spiaggia, in particolare, attiravano sempre una folla, soprattutto di bambini piccoli, permettendole di accedere a ancora più modelli.

Nel 1986 ha avuto un incontro casuale con i proprietari di Caspari, un’azienda di biglietti di auguri con sede a New York. Questo si è trasformato in un lavoro e nei successivi 14 anni ha creato più di 150 disegni originali che sono stati utilizzati su numerosi biglietti di auguri. 

Sally ancora spesso dipinge dal suo studio, non ha più bisogno delle foto, conosce così bene l’acqua e la flora che può contare sui suoi sensi.

Attualmente è membro della Copley Society, Società americana degli artisti marini. Ha vinto moltissimi importanti premi ed è stata coinvolta in numerosi enti di beneficenza.

Kevin Woods e gli leprechaun

In questi giorni ho letto un articolo che parla degli Leprechaun. Avendone sempre sentito parlare come leggenda e avendo fatto dei lavori di grafica su di essi, questo articolo mi ha colpito tantissimo.

Kevin Woods, chiamato “leprechaun whisperer” (colui che sussurra ai leprecauni), è un irlandese di mezza età che vive a Carlingford, a nord di Dublino che è considerata la capitale dei folletti.

Egli è l’ultimo iralndese ritenuto in grado di interagire con loro ed ha ottenuto l’autorizzazione per rendere accessibile la Leprechaun Cavern, vicina allo spettacolare fiordo di Carlingford Lough, in cui si troverebbero 230 folletti.

Entrando in questo tunnel si arriverebbe direttamente alle case dei folletti.

Il signor Woods afferma che queste indicazioni gli sono state fornite da un  predecessore più anziano.

Questa zona dell’Irlanda è famosa per essere una “terra di antiche leggende”. Il delizioso villaggio medievale di Carlingford ed è considerato un posto magico.

Kevin Woods è un importante sostenitore e attivista del folletto con una storia di campagne per i diritti del folletto.

Secondo il sussurratore di folletti, questi stanno bene, anche se il loro numero è  diminuito  negli ultimi tempi.

“C’erano milioni di loro qui in Irlanda e sono morti tutti tranne 236 di loro. Sono  davvero il custode di loro e delle loro vite e lo faccio da quando ho ottenuto loro una specie protetta.”

Durante un’intervista, il  signor  Woods ha spiegato che, mentre la maggior parte delle  persone  non può vedere i folletti, egli ha questi poteri ed essi gli appaiono e comunicano “attraverso un’esperienza fuori dal corpo. I folletti sono spiriti, si manifestano a me come folletti e li visito ogni giorno”.

Il St. Patrick’s Day, ovvero la festa del santo patrono di Irlanda San Patrizio, si celebra ogni anno il 17 Marzo, ed è la festa più importante dell’anno nella Repubblica d’Irlanda.

Tratto da:
https://carlingford.ie/listing/the-last-leprechaun-whisperer/

https://www.irishpost.com/news/leprechaun-whisperer-says-the-mythical-irish-fairies-dont-have-a-problem-with-lockdown-185757

Anna Corti, l’ultima barcaiola

Alcuni anni fa ho letto un articolo riguardante Anna Corti (1926-2015) , di Onno di Oliveto Lario, l’ultima barcaiola lariana.

Questa donna coraggiosa è ancora nel ricordo delle tante persone che sono salite sulla sua barca a remi, per passare  tra le due sponde del ramo lecchese del Lario.

Dall’età di sette anni suo padre l’aveva avviata alla professione di barcaiola.

Anna ha svolto questo suo lavoro con dedizione, pur essendo una professione non semplice prima come bambina e poi come donna.

Anna in questo suo lavoro, modesto ma essenziale per la comunità, ha vissuto gli anni della guerra, tra partigiani, mitragliamenti e sfollati; traghettava quotidianamente pendolari delle fabbriche, commercianti, allevatori diretti alle fiere di bestiame, ogni genere di merci, persino i sacchi della posta, le medicine, il medico, l’ostetrica… in ogni stagione e condizione di tempo.

Ha rischiato anche di essere colpita da Pippo, un aereo nemico che bombardava tutto ciò che era in movimento. Nel periodo bellico, durante una traversata in barca, rischiò di essere colpita da “Pippo”, come la gente era solita chiamare l’aereo che bombardava tutto ciò che si moveva, a terra o in acqua.

“Quel giorno indossavo un abito rosso che mi rendeva facile bersaglio – spiegava lei stessa – e guardavo con sgomento gli spruzzi provocati dalle raffiche in avvicinamento. Per fortuna, però, l’aereo virò e smise di fare fuoco”.

Anni dopo , per casualità, ebbe modo di incontrare il pilota che era a bordo di quell’aereo. Era dell’Aviazione monarchica il quale le confidò di aver capito proprio dal colore dell’abito che ai remi vi era una donna. Da qui la sua decisione di non colpire l’imbarcazione.

Lei riteneva il lago suo autentico amico, dicendo che non l’aveva mai tradita!

È stato scritto anche un libro su di lei: Anna, l’avventurosa vita di una barcaiola lariana, di Luca Sala

Tratto da: 

https://lecconotizie.com/attualita/laddio-di-onno-a-anna-corti-ultima-barcaiola-del-lago/

https://libreriatorriani.blogspot.com/2013/11/lucia-sala-anna-storia-di-una-barcaiola.html?m=1

Suor Plautilla Nelli

Suor Plautilla Nelli è una delle tante donne dimenticate dalla storia dell’arte, il cui recupero è stato reso possibile grazie a un’organizzazione statunitense, The Advancing Women Artists Foundation.

Pulisena Margherita è nata nella famiglia fiorentina dei Nelli, nell’anno 1524. Dopo la morte della madre entrò adolescente nel convento domenicano di Santa Caterina da Siena, a Firenze, considerato uno dei più prestigiosi d’Italia per le virtù delle consorelle-artiste.

Prese i voti nel 1538, quattordicenne, con il nome di Suor Plautilla.

Con questo nome fu molto conosciuta nell’ambiente pittorico dell’epoca.

Suor Plautilla Nelli è la capostipite dell’arte femminile a Firenze nel Cinquecento, citata addirittura dal pittore e storico dell’arte, Giorgio Vasari, il quale scrive che “avrebbe fatto cose meravigliose se, come fanno gl’uomini, avesse avuto commodo di studiare ed attendere al disegno e ritrarre cose vive e naturali”.

Non potendo usufruire di alcun tipo di educazione artistica, fu soltanto copiando disegni e dipinti, usando corpi femminili come modello, che raggiunse la sua maturità artistica, riuscendo a dar vita a una fiorente bottega che coinvolgeva numerose allieve.

SI nota nei suoi quadri la non conoscenza del corpo umano maschile e i suoi santi appaiano molto femminei, così come i volti degli Apostoli dell’Ultima Cena, dipinta per il suo convento.

Il pittore e storico dell’arte, Giorgio Vasari, ci informa che Plautilla avrebbe imparato a dipingere autonomamente, attraverso l’imitazione di altre opere: sappiamo che possedeva dei disegni di Fra Bartolomeo e, probabilmente, anche stampe di opere che circolavano all’epoca. Non ebbe la possibilità di seguire i progressi della pittura perché viveva in convento.

Benché oggi il suo nome rimanga sconosciuto alla maggioranza del pubblico appassionato d’arte, la Nelli godette di grande stima fra i suoi contemporanei.

Realizzò soprattutto dipinti dai soggetti religiosi e quadretti votivi. Le opere di una suora non avevano soltanto un valore spirituale, ma anche una valenza quasi magica, mistica, e possederne una era considerato un simbolo di prestigio.

A lei viene riferita l’immagine più nota di santa Caterina de’ Ricci, con un’iconografia a mezzo busto che venne poi ricalcata anche per altre sante monache toscane, come santa Maria Maddalena de’ Pazzi, o la stessa Santa Caterina da Siena. Una caratteristica ricorrente nei suoi ritratti di Santa Caterina è la presenza di una lacrima, segno della capacità femminile di entrare in empatia con la passione del Cristo.

La maggior parte delle sue tele sono state dipinte per il convento di Santa Caterina, ma oggi risultano distrutte, o situate in altro loco. Fortunatamente alcune chiese domenicane hanno conservato alcune sue opere, come le lunette con San Domenico e Santa Caterina, per il Cenacolo di San Salvi, attribuitele soltanto di recente.

Questo suo famoso quadro è stato recentemente  restaurato e ricollocato nel Museo di Santa Maria Novella, a Firenze. Le dimensioni sono impressionanti. L’intero dipinto proveniente dal refettorio del convento di Santa Caterina di Cafaggio (oggi scomparso), è lungo 7 metri ed alto 2 con personaggi dipinti a grandezza naturale.

Anni di meticoloso restauro sono stati sostenuti grazie al contributo sostanziale di diversi mecenati da tutto il mondo, ma sopratutto grazie all’impegno di AWA Foundation nel recuperare e riportare a nuova luce quest’opera. Fondamentale anche la collaborazione di The Flod e The Florentine per il successo della campagna di raccolta fondi #thefirstlast

I frati Domenicani del Convento di Santa Maria Novella hanno “donato” questo dipinto al Museo omonimo.

Morì nel suo convento nel 1588

Tratto da:

https://www.artribune.com/arti-visive/arte-moderna/2017/02/mostra-suor-plautilla-nelli-uffizi-firenze-pittura/

https://it.wikipedia.org/wiki/Plautilla_Nelli

https://www.smn.it/it/magazine/l-ultima-cena-di-plautilla-nelli-a-santa-maria-novella/

Chris Dunn: illustratore

Questa volta vorrei scrivere di un illustratore dei giorni nostri. Chris Dunn. Perché?

Vedendo con le nipotine i nuovi cartoni animati mi sono resa conto che le fisionomie, in riferimento al periodo in cui li guardavo con le figlie. Premetto che non sono mai stata una amante di questo genere, ma non posso dimenticare i grandi capolavori della Walt Disney.

La dolcezza dei cani dalmata della Carica dei 101, l’indimenticabile Biancaneve e 7 nani, di cui conosciamo i nomi a memoria, Bambi, che ha fatto piangere grandi e piccini, Cenerentola, che ricordiamo ad Halloween, con la sua carrozza a forma di zucca, Alice nel paese delle meraviglie, nel suo mondo magico, e poi Pinocchio, Dumbo, Le avventure di Peter (Peter Pan), Lilli il vagabondo e tantissimi altri…

Le sembianze dei personaggi di questi capolavori erano aggraziate, distinguibili, indimenticabili.

I cartoni di oggi sono totalmente diversi. Tutto accelerato e di una sonorità allarmante. Diciamo che non rilassano e moltissime volte non hanno una trama o un filo logico. Ma è il mondo che è cambiato!

Ritornando al nostro illustratore, mi ha colpito perché mi sembra un ragazzo di altri tempi, un Beatrix Potter maschile.

Questo ragazzo britannico ha ottenuto una laurea in illustrazione nel 2008 e ha iniziato la sua carriera come ritrattista e paesaggista, ma non era soddisfatto verso questo genere. Amante dell’acquerello ha iniziato a partecipare a concorsi nell’arte figurativa, vincendo dei premi. Si è dato da fare per farsi conoscere e per il confronto con altri artisti dell’acquerello.

Pochi anni dopo, nel 2013, è arrivata la sua grande occasione. Una grande commissione per la rinomata Galerie Daniel Maghen, a Parigi. Doveva dipingere una serie di acquerelli basata su The Wind in the Willows, di Kenneth Grahame. Ha iniziato ad esplorare il mondo alla periferia della riva del fiume citato  nel libro suddetto. Ha iniziato così a illustrare un mondo immaginario fatto di animali dei boschi che interagiscono a casa, sugli alberi, in città, sulla costa, a scuola e persino nell’aria.  

Dopo vari altri successi la pandemia ha sospeso tutto, ma è riuscito  a portare avanti degli ordini in corso.

Finita la pandemia, nel marzo 2021 ha ultimato anche  di illustrare The Night Before Christmas e un libro di filastrocche pubblicate in una raffinata edizione limitata per collezionisti.

Tratto da:
https://www.chris-dunn.co.uk/bio

https://www.chris-dunn.co.uk/

Racey Helps

Avevo scritto tempo fa un articolo sull’illustratrice, naturalista e ambientalista Beatrix Potter.  

Molti altri artisti si sono avvicinati al suo mondo, costituito da disegni di topolini e coniglietti, facendo nuove opere personalizzate.

Uno di questi è Racey Helps, di cui Beatrix è stata fonte di ispirazione.

Angus Clifford Racey Helps, autore e illustratore per bambini,  è nato a Bristol, Inghilterra,  nel 1913. Ha trascorso la sua infanzia nella frazione di Chelvey , nel Somerset. Ha studiato privatamente in una canonica e successivamente alla Bristol Cathedral School . Helps iniziò a scrivere storie, ai tempi della scuola,  per un cugino più giovane malato.

Si sposò con Irene Orr nel 1936 ed ebbe due figli, Anne e Julian ed era solito raccontare alla figlia una favola della buonanotte ogni sera.

Quando scoppiò la guerra, Anne fu mandata a vivere in campagna ed egli iniziò a scrivere ed inviare storie esclusive per lei, inserendo anche illustrazioni.

In quegli anni ebbe la fortuna di essere scoperto da un editore e iniziò così la sua carriera letteraria. 

In seguito la famiglia si riunì vivendo per un certo periodo di tempo a Clevedon , nel Somerset, poi si trasferì a Saltford vicino a Bath e nel 1962 a Barnstaple , nel Devon, dove la pittoresca campagna ha fornito ulteriore ispirazione per le immagini di Helps.

Ha contribuito a diversi annuari per bambini, ha illustrato diversi libri scritti da Helen Wing, autrice, compositrice e pianista americana.

I suoi libri sono stati scritti in uno stile semplice e presentano creature e uccelli dei boschi. È noto anche per aver illustrato cartoline , biglietti d’auguri , puzzle , carte da gioco e carta da pacchi .

Muore in seguito un fatale infarto nella sua casa di Barnstaple nel 1970, all’età di 57 anni.

Tratto da:
https://en.wikipedia.org/wiki/Racey_Helps

La vecchina e il lupo

In mezzo a un bosco, in una piccola casetta di legno, viveva, da tantissimi anni, una vecchina di nome Magò. Ella era conosciuta da tutti gli animali per le sue virtù magiche, sapeva guarire tutti i malanni.

Un giorno bussò da lei un coniglio che aveva male a  un orecchio, Magò andò nel retro della casetta, dove coltivava un piccolissimo orto con tanti piccoli cespugli e erbe, adatte a ogni malattia o dolore. Prese due foglie da un cespuglio, 1 foglia da un altro, 1 mazzetto di erba, lo depose nel suo grande grembiule e fece bollire il tutto. Una volta raffreddato depose il tutto in un panno pulito e lo mise sull’orecchio del coniglio. Dopo pochi minuti questi non ebbe più dolore e se ne andò ringraziandola con un bacio. Dopo di lui venne una volpe perché aveva male a un dente e anche per lei, con altre foglie, preparò un decotto, glielo fece bere e anche lei guarì.

Tutto il giorno andò avanti così, gli animaletti si mettevano in coda: chi aveva un occhio arrossato, chi un graffio, chi mal di pancia, chi prurito, ecc. Per tutti aveva un rimedio e una parola gentile.  

Ma una sera arrivò un lupo, aveva una zampina rotta perché l’aveva lasciata in una tagliola. Il lupo aveva molto male e non riusciva a camminare, così Magò lo fece stendere sul suo divano, fece un impacco di foglie e fango, lo mise sulla zampa e lo fasciò. Il povero lupo non poteva andare via subito, ci volevano alcuni giorni perché guarisse. Ogni giorno gli cambiava la fasciatura e l’impacco e pian piano la zampa guarì.

Ma Magò questa volta era triste, il lupo le aveva fatto compagnia per tanti giorni e adesso lei si sentiva sola, per la prima volta. Il lupo andò nei giorni seguenti a trovarla, perché si era affezionato a lei e le doveva molto ma quando andava via, si accorgeva del suo malumore.

Una splendida mattina di sole Magò sentì del rumore fuori dalla sua porta, credendo fosse un animale ferito andò subito ad aprire e cosa vide? Un cucciolo di lupo, bellissimo, dono del lupo che lei aveva curato con tanto amore.  

Inutile dire che la vecchina da quel giorno fu molto felice e si dedicò ancora di più ad aiutare gli animali del bosco.

Adesso non era più sola.

Juzcar, villaggio dei Puffi

Juzcar, un piccolo paesino in provincia di Malaga, abitato da circa 200 persone, è diventato importante perché nel 2011 è stato scelto come paese per il film dei Puffi in 3D.

Come tutti i paesi in Andalusia in origine era composto da abitazioni bianche e, come tanti altri, ha subito lo spopolamento a causa della possibilità lavorativa.

La scelta di farlo diventare il Villaggio dei Puffi ha dato agli abitanti una svolta positiva. Per questo è stato ridipinto completamente in azzurro.

La cosa più straordinaria è che la tinteggiatura di case, Chiese, negozi, Municipio, Cimitero, ecc. è stata effettuata dagli stessi abitanti. In relazione  a questo 50 disoccupati hanno trovato un impiego, anche se provvisorio.

Sono stati effettuati anche tantissimi murales e giochi per i più piccoli.

Gli accordi erano che, una volta effettuate le riprese, il paese riprendesse le stesse tonalità di prima, ma gli abitanti hanno preferito lasciarlo colorato di blu, a ricordo anche delle riprese effettuate.

Questa scelta bizzarra è stata decisa anche perché il turismo ha iniziato a voler visionare questo villaggio “puffoso”.

A Juzcar si trova un parco giochi per i più piccini, un percorso per i più grandicelli, decori e suppellettili puffosi alle finestre delle case. Vengono effettuati anche eventi a tema, come corse, concorsi di pittura, fiere, tutto rigorosamente a tema Puffo.   

Ma si sa che le cose non avvengono mai come vorremmo, anni più tardi a Juzcar fu imposto di togliere la nomenclatura “Il Villaggio dei Puffi”, modificandola con “Villaggio azzurro” e gli eredi del creatore dei Puffi hanno reclamato al paese di Juzcar il 12% di diritti d’autore.

Tratto da:
https://andalusiaviaggioitaliano.com/provincia-malaga/juzcar-visitare-il-villaggio-blu-dei-puffi-in-spagna/

https://www.itinerariodiviaggio.com/juzcar-villaggio-blu-puffi-andalusia-giornata-77.html

I proverbi Fiamminghi

Ho inserito questo nuovo articolo, insolito per me, legato a un quadro. Mi è stato proposto da un fotografo professionista, Roberto Pestarino.

Il suo avvicinamento alla fotografia l’ho trovato bizzarro e per questo ho iniziato una collaborazione con lui.

I “PROVERBI FIAMMINGHI” DI ROBERTO PESTARINO

A spasso tra pittura e storia con un pizzico di ironia.

Il progetto “Proverbi fiamminghi – da Brueghel a Pestarino” di Roberto Pestarino si compone di 31 scatti fotografici che consistono in una rivisitazione del dipinto, in olio su tavola, di Pieter Brueghel il Vecchio, datato 1559 e conservato nella Pinacoteca di Berlino.

Sulla scia del lavoro di Bosch, Brueghel dà vita, in questo quadro, ad uno spettacolare paese in cui ogni persona compie un’azione ed ogni azione implica un’osservazione meditata. È uno spaccato di vita quanto mai veritiero, che sa mettere a nudo l’animo umano, con il suo bagaglio di debolezza e di forza.

Roberto Pestarino, dopo aver studiato quest’opera, ha voluto trasferirla ai nostri giorni e trasformare i tanti vizi degli uomini in essa evidenziati in spunti per farne, in una lettura ribaltata, virtù.

Nelle varie scene personaggi in carne ed ossa, ma vestiti con costumi d’epoca, attualizzano il proverbio scelto. In ogni scatto proposto dal fotografo è stata posizionata una riproduzione del frammento dell’opera di Brueghel che si è inteso presentare al riguardante, sempre presente il cavalletto.

Realizzare le varie scene ha richiesto l’intervento di attori, truccatori, costumisti. Le scene sono state create talvolta all’aperto, talvolta all’interno. Il lavoro è stato realizzato in collaborazione con Cristina Lucchini la quale si è occupata della regia.

Il progetto, curato dall’esperta d’arte Claudia Ghiraldello, è corredato da un catalogo per le edizioni del Centro Culturale “Conti Avogadro di Cerrione”.

Tre proverbi con interpretazione di Roberto Pestarino:


Pesce grande mangia pesce piccolo

Il pesce grande mangia il pesce piccolo”. Può essere che un giorno il pesce grande impari ad aiutare il pesce piccolo.


Portare l’acqua al mulino altrui

Tirare per avere la fune più lunga”, ossia portare l’acqua al proprio mulino, Pestarino sprona a portare acqua al mulino altrui perché se ne avrà certa ricompensa.


Plasma la tua materia

Lanciare piume al vento”, ossia lavorare senza uno scopo, bensì darsi da fare per creare qualcosa di nuovo, vedendo nei fallimenti un’opportunità di riscatto.

Carl Larsson e la Casa sotto il Sole

Oggi vorrei scrivere sulla originale casa-museo del pittore Carl Larsson e della sua famiglia, essendo uno dei luoghi più visitati in Svezia.

Carl nacque a Stoccolma nel 1853 in una famiglia indigente. Egli iniziò a studiare in una scuola per bambini poveri, ma a 13 anni fu ammesso all’Accademia Reale Svedese delle arti di Stoccolma. Timido e introverso ebbe  difficoltà relazionali, tuttavia, col passare degli anni riuscì a farsi conoscere per il suo talento.

Dopo aver lavorato come illustratore di libri e giornali, nel 1880 si trasferì a Parigi, dove incontrò l’artista Karin Bergöö, che presto diventò sua moglie.

Dopo poco tempo lasciò la pittura a olio, tecnica maggiormente utilizzata da lui, per dedicarsi all’acquerello.

Nel 1988 la coppia si trasferì nel piccolo villaggio svedese di Sundborn, in una casa che fu decorata ed arredata rispecchiando il loro gusto artistico; i loro eredi hanno trasformato questa casa in un museo che è ancora oggi visitabile.

Carl e Karin ebbero 7 figli, e proprio i suoi familiari divennero i soggetti preferiti per le composizioni dei suoi acquerelli. Scene di vita quotidiana.

Si dedicò a molte opere, alcune molto importanti, come gli affreschi al Teatro dell’Opera ed al Museo Nazionale di Belle Arti di Stoccolma, ma con poco riscontro da parte dei critici.

Nelle sue memorie Larsson si dichiarò amareggiato per il riscontro negativo da parte dei critici riguardo il suo lavoro con gli affreschi,  che lui  considerava essere il suo risultato più grande; nelle stesse memorie riconobbe però che le immagini della sua famiglia, per lui,  furono la parte più immediata e durevole del suo lavoro, perché espressione genuina della sua personalità, dei suoi sentimenti più profondi e di tutto il suo amore per la moglie e i figli.

Oggi lo si ricorda soprattutto per l’originale abitazione in Svezia, donata a suo tempo, dal padre di Karin, che negli anni, per esigenze di spazio, avendo 7 figli,  fu ampliata più volte. Venne soprannominata Casa sotto il  Sole. Essi la decorarono uscendo fuori dai canoni di quell’epoca. I colori scuri, predominanti in quel periodo, furono sostituiti da colori chiari e caldi. Fu soprattutto karin la progettista di tutto: creò tappezzerie, tessuti, disegnò i mobili e Carl invece realizzò dipinti murali raffiguranti i loro figli.

La Casa sotto il Sole oggi appartiene ancora ai tanti pronipoti della coppia ed è visitabile.

Carl Larsson morì nella sua casa di Sundborn il 22 gennaio 1919.

Tratto da:
https://it.wikipedia.org/wiki/Carl_Larsson

Leslie Taylor: il potere curativo delle erbe

Una donna bionda dalla pelle chiara che viaggia lungo il Rio delle Amazzoni e nelle zone più remote della foresta amazzonica è una cosa alquanto strana.

Se poi aggiungiamo che fa trekking attraverso le giungle, studiando le piante della conoscenza indigena degli sciamani indiani e del sudamerica,  conosciuti come guaritori, che utilizzano le erbe, è cosa ancora più insolita.

La sua storia è particolare ma a lieto fine. All’età di 25 anni le è stata diagnosticata una leucemia mieloblastica, che ha iniziato a curare in maniera classica, cioè con la chemioterapia. Questo per due anni, ma senza beneficio. Non c’era nulla da fare, doveva andare incontro al suo destino, implacabile.

Donna dalla forte tempra e consapevole di tutto quello che le sarebbe successo, iniziò a studiare medicina alternativa. Con varie combinazioni di varie erbe, dieta, nutrizione e altre modalità riuscì a sconfiggere il cancro.

Dopo aver vinto questa battaglia Leslie continuò nella sua carriera in affari in Texas.  Nel frattempo però continuò a documentarsi sulle erbe e medicine alternative. Propose anche alla sua famiglia, quando avevano disturbi, pozioni strane e rimedi nutrizionisti.

Nel 1989 fece un viaggio nella natura selvaggia dell’Africa, a contatto della natura e della fauna e flora selvatica e questo le cambiò la vita. Quando ritornò negli U.S.A vendette la sua società e acquistò un ranch sulle colline del Texas. Iniziò a coltivare piante strane, erbe aromatiche e verdure.

Le sue ricerche erano orientate alla scoperta di informazioni sul cancro e sull’AIDS. Venne  a conoscenza di una pianta adatta a questo scopo, l’Uncaria tomentosa, la cui origine era nella foresta amazzonica del Perù. Questo nuovo viaggio cambiò di nuovo il corso della sua vita.

Nel tempo venne soprannominata “la Strega bianca  del Rio delle Amazzoni”.

Il suo scopo principale è che le persone apprezzino la foresta pluviale e le sue immense risorse e cerchino di salvare il più possibile questo habitat.

Elisabeth Barrett, poetessa inglese

Elisabeth Barrett nacque nel 1806 a Durham, in Inghilterra. Visse un’infanzia privilegiata con i suoi undici fratelli. Il padre aveva fatto fortuna grazie a delle piantagioni di zucchero in Giamaica e aveva comprato una grande tenuta a Malvern Hills, dove Elizabeth trascorreva il tempo andando a cavallo e allestendo spettacoli teatrali con la sua famiglia.

All’età di dodici anni scrisse un poema epico.

Fra il 1832 e il 1837, a seguito di grandi problemi economici, , la famiglia Barrett traslocò tre volte per poi stabilirsi a Londra.

Nello stesso periodo, Elizabeth Barrett ebbe gravi problemi di salute che la resero invalida agli arti inferiori e la costrinsero a restare in casa e a frequentare solo due o tre persone oltre ai familiari.

Nel 1844, l’uscita dei Poems la rese una delle più popolari scrittrici del momento.

La lettura della sua raccolta di poesie spinse il poeta Robert Browning a scriverle per manifestare il proprio apprezzamento, cui fece seguito una intensa corrispondenza.

Nel 1845 si incontrarono e, poco dopo, essendo il padre di Elizabeth fieramente contrario alle loro nozze, si sposarono di nascosto e fuggirono insieme a Firenze. A circa 43 anni la salute migliorò ed ebbero un figlio.

L’amore fu per lei il più grande avvenimento della vita, e innalzò il suo cuore, e col cuore l’ingegno, alle più elevate regioni poetiche.

La sua opera più ampia è il lungo poema Aurora Leigh, del 1857, in cui esalta in modo poetico la necessità dell’emancipazione femminile.

Struggente e malinconica la indimenticabile poesia: Il lamento dei bambini.

Aggravatesi le sue condizioni di salute, morì a Firenze a 54 anni ed è sepolta nel cimitero degli inglesi .

Tratto da:
https://it.wikipedia.org/wiki/Elizabeth_Barrett_Browning

Annick Terra Vecchia: illustratrice

Oggi avrei voluto scrivere alcune notizie su una artista-illustratrice, Annick Terra Vecchia, che amo moltissimo, ma le notizie in rete non solo sono scarse, non si trova nulla.

Anche il cognome non so se è unito oppure diviso. Si legge solo che è dell’alta Savoia, quindi francese, che i suoi maggiori interessi sono i paesaggi montani e scene rurali, utilizzando la tecnica dell’acquerello. Realizza anche decorazioni per mobili o tessuti d’arredo, icone e meridiane.

Alcuni acquerelli sono icone in quanto alcune case o altri elementi del mondo rurale non esistono più.

Non si sa se esso sia il suo vero nome o uno pseudonimo.

Ci cono in commercio anche alcuni suoi libri illustrati, che, anche se usati, costano molto, ma il suo talento non ha costo. 

Ho avuto modo di conoscere i suoi lavori nel centro di Aosta, non c’è cartoleria o tabaccheria che non abbia in vetrina le sue cartoline. Con il tempo ne ho collezionate parecchie e le ho anche riprodotte, su carta o stoffa.

Chiunque avesse notizie relative a questa illustratrice sarò ben contenta di poter  ampliare il mio articolo.

Alcuni lavori… 
Originale


Copia


Originale


Copia

Alcuni acquerelli di Annick Terra Vecchia

http://www.lepetitcolporteur.com/2019/fr/aquarelles_A.php                                                            

Un villaggio tra gli alberi

Chi tra di voi non avrebbe voluto, da bambino, una casa tra gli alberi, un posto in cui isolarsi o dove nascondersi.

Per me, che vivevo in città, questo era una sogno che non si è mai realizzato. Abitavo in una grande palazzo e la mia “casa tra gli alberi” era il grande terrazzo sul tetto, diviso da un muretto tra tutti coloro che abitavano all’ultimo piano. E io ero tra questi. In estate il caldo torrido estivo era impossibile da sostenere e, per poter sopravvivere a questo, riempivo una grande bacinella di acqua che ogni tanto cambiavo perché si surriscaldava subito e con questo mi bagnavo costantemente.

Eppure molto del mio tempo libero lo vivevo così: un libro, un quaderno su cui annotare i punti salienti letti o alcuni miei pensieri. E mi abbronzavo, la mia pelle scura, già ad aprile, era motivo di invidia a molte mie coetanee.

Quando ho scoperto, un po’ di tempo fa, che esiste addirittura un Villaggio, popolato da diverse famiglie,  che ha deciso di vivere così sono ritornata indietro nel tempo.

Il Villaggio, il primo in Italia, si trova in Piemonte. Le famiglie vivono in sintonia con la natura e le case sono state costruite prediligendo materiali  del bosco o riciclati.

Tutte le abitazioni sorgono tra castagni ad un’altezza di 6/7 metri, per non gravare sui rami sono sostenute anche da grosse travi e sono interconnesse da ponti e passerelle di legno sospese, permettendo di non scendere mai a terra per spostarsi da un punto all’altro del villaggio. Tutti gli appartamenti sono dotati dei più moderni confort: internet, tv, telefono e così via ma nel rispetto dell’ambiente e senza sprechi.

Le persone che vi abitano sono di vario ceto sociale, ma li unisce l’esigenza di vivere una vita diversa , a contatto con la natura. Ognuno di loro si occupa di tenere il bosco pulito e si rende disponibile ad ospitare chiunque voglia dare una mano.  

L’abbraccio

Ho avuto modo di leggere da più fonti questo articolo scritto da Germana Galmazzi che mi piacerebbe tanto poter conoscere. 

È uno scritto in cui mi ci rivedo più volte e credo anche molte/i di voi. Il sottovalutare l’entità di questo gesto semplice, spontaneo non è corretto perché senza questo gesto di dimostrazione di affetto e di protezione nessuno di noi può farne a meno.

Io sono cresciuta in una famiglia nella quale i gesti di affetto non esistevano e, secondo la mia esperienza, questa mancanza lascia degli strascichi. Ancora oggi, mamma e nonna, ho difficoltà ad attuare questo gesto semplice ma essenziale. 

Durante il periodo Covid si è parlato molto dell’abbraccio, il non poterlo più fare o riceverlo ha creato in molti un isolamento, un senso di mancata protezione ed affetto, pur essendo consapevoli della motivazione. 

Molte persone che hanno perso un loro caro in quel periodo, ne hanno sofferto molto, lasciando quel vuoto dentro di loro, un rammarico che non si placherà mai. 

È stata istituita anche una giornata mondiale dell’Abbraccio, il 21 Gennaio.

La prima Giornata mondiale dell’abbraccio fu celebrata il 21 gennaio di 36 anni fa, nel 1986 a Clio, in Michigan. A inventarla fu il il reverendo Kevin Zaborney.

Questa è il racconto per intero di Germana Galmazzi, racconto triste ma che fa riflettere. 

Mi chiedo se sia possibile avere nostalgia di qualcosa che non si è avuto, sapendo che comunque non lo si potrà avere mai.
Parlo di un abbraccio, io ho nostalgia di un abbraccio che avrei voluto e che mia madre non mi ha dato.

Non in un giorno o una situazione particolari, non per una caduta dolorosa o un amore finito. Io parlo dell’Abbraccio, quello che ti senti ancora dentro dopo che lei è morta, quello che ti senti ancora fuori quando ti rannicchi, chiudi gli occhi e ti lasci avvolgere dal ricordo.

Ho provato a cercarlo ovunque, mi sono detta “due braccia che ti stringono è un abbraccio”.

Ma non è così semplice.

Nell’abbraccio di un uomo ho trovato tenerezza, protezione, ma basta un niente perché si trasformi in passione.

Anche nell’abbraccio di un figlio ho trovato tenerezza e protezione, ma basta un niente e si trasforma in un “Grazie, ora sto bene”, anche se non è vero che stai bene.

Perché non ricordo alcun abbraccio di mia madre? Eppure deve avermene dati.

Guardo le fotografie dove lei mi tiene in braccio. Perché non lo ricordo?

Ho avuto il coraggio di chiederglielo. Ero grande e continuavo ad avere questo desiderio, questa nostalgia.

Le ho scritto un biglietto: c’era Snoopy che ballava e io ballavo con lui, per avere trovato il coraggio di dire quello che per tanti anni avevo tenuto dentro: amore, bisogno, parole.

Non una risposta a quel biglietto, né una battuta ironica, né una frase commossa, o – come dire – un accenno di rammarico per quello che non ha saputo darmi.

Il silenzio. Peggio di uno schiaffo, peggio di un rifiuto, il peggio di tutto quello che una madre ti può dare.

L’ho cercato fino alla fine, questo abbraccio, fino alla fine di lei.

E quando stava morendo io, quasi approfittando della sua malattia, della sua debolezza, la lavavo, la pettinavo, le massaggiavo tutto il corpo, quel corpo che non ero riuscita a sentire vicino in un abbraccio;
quando stava morendo e ormai parlava con i suoi morti, a un tratto mi chiese:”Mi vuoi bene?”

La rabbia salì dal cuore fino alla gola. Avrei voluto urlarle:”Che cosa mi stai chiedendo? E’ tutta la vita che ti voglio bene.”
Tutta la mia stronza vita, l’ho vissuta per dimostrarti che ti voglio bene.
E tu, un fottutissimo “ti voglio bene”, me lo vuoi dire? Una sola volta, me lo vuoi dire?

Ma l’abbracciai io, l’abbracciai e le dissi: “Certo che ti voglio bene”.

E dolcemente la poggiai di nuovo sul letto dove poco dopo sarebbe morta lasciandomi sola, non più di come mi aveva lasciato quando era viva, ma senza più la speranza di poter avere da lei un abbraccio nel quale entrare per farmi consolare.

Guardare il mondo dagli alberi

Mi ha colpito molto questo articolo scoperto per caso in rete. l’ho trovato interessante perché è inusuale. Per scrivere ognuno di noi ha un suo metodo personale:chi si isola in una stanza, chi addirittura sceglie un ambiente lontano  da tutti dove vivere per settimane e chi invece non ha problemi e scrive dove gli capita, non facendo caso a chi o a cosa gli stanno attorno.

Personalmente, io che scrivo favole e filastrocche e gli articoli da inserire nel blog, amo starmene da sola. Anche il silenzio deve far parte di questo mio appartarmi. Diciamo che amo isolarmi in ogni cosa che faccio, dal disegnare, leggere o guardare un film. 

Tornando all’articolo, ripetendomi, mi ha colpito questa ragazza di origini napoletane, Lavinia Petti, che, scrive, sin da piccola amava arrampicarsi sugli alberi. 

“Tutto quello che scrivo finisce su una penna USB a forma di scimmia. Me l’ha regalata mio padre e io, con una spiccata punta di originalità, l’ho chiamata La Scimmia. Mio padre sa il fatto suo e sa anche il fatto mio.”

Quindi Lavinia, che passa la maggior parte del suo tempo in alto, in un mondo tutto suo. Il suo non è un fuggire ma un cercare un punto diverso dalla realtà.  Lei si arrampica su qualsiasi cosa, da sempre. tronchi, muri, rocce, nastri, corde.  Non per niente frequenta anche un  scuola circense.

“Non è facile come sembra: spesso tra quei rami e quelle pagine ti senti solo, distante, dimenticato. Ti chiedi che sapore abbia vivere laggiù, vivere davvero. Se i colori sono più intensi, gli odori più forti, gli sguardi più intimi. Così, più volte, provi a scendere. La forza di gravità ti reclama, perché anche se non vuoi crederci, lei esiste e ogni tanto viene a farti visita. All’inizio è tutto inebriante, carico, vivo… poi ti accorgi che quello sotto i tuoi piedi non è terreno: sono sabbie mobili. Allora torni su di corsa, dal popolo degli alberi “.

E in questo contesto ha scritto il suo primo libro : Il ladro di nebbia. 

Tratto da: 

https://www.illibraio.it/news/dautore/lavinia-petti-alberi-fuga-219472/

Amelia Aerhart: la leggendaria pilota

Non particolarmente attratta dai viaggi in aereo ma circondata da parenti piloti,  mi ha molto colpito la storia di Amelia Aerhart (nata Amelia Mary Earhart il 24 luglio 1897). Ho avuto modo di vederne il film, dal titolo Amelia. È quasi interamente girato in flashback, cioè  una scena interposta che riporta la narrazione indietro nel tempo dal punto attuale della storia . I flashback sono spesso usati per raccontare eventi accaduti prima della sequenza principale di eventi della storia per riempire un retroscena cruciale.

Earhart è rimasta affascinata dalla vista di un aereo che volava sopra la sua testa nella prateria del Kansas dove è cresciuta.

Quando nel 1920 sale per la prima volta su un aereo, è amore a prima vista. Da lì in avanti studierà volo, diventerà pilota, metterà a segno alcuni importanti record, attraversa gli Stati Uniti senza mai fare scalo, attraversa l’Atlantico dal Canada all’Irlanda del Nord, e infine progetta l’impresa delle imprese: compiere il giro del mondo in aeroplano.

Il viaggio, pianificato a lungo, e con grossi problemi d’attuazione fin dall’inizio, le appare come una sfida tanto difficile quanto eccitante; per questo non si arrende ai primi tentativi falliti miseramente. Poi finalmente la missione. Da donna straordinaria quale era, insieme al suo navigatore, Fred Noonan, nel 1937, parte da Miami, e tocca il SudAmerica, l’Africa, l’India, l’Asia Sudorientale, la Nuova Guinea.

È dopo che è ripartita da qui che, sorvolando il Pacifico, ha l’incidente fatale: rimane senza carburante, probabilmente, e non riesce a mettersi in contatto con la torre di controllo più vicina, ad Howland, per cui se ne perdono le tracce. È il 2 Luglio 1937.

La sua scomparsa ha lasciato tutti sgomenti, anche perché si avvolge di mistero, anche se sembra che i suoi resti siano stati trovati.

La fama di cui si è ammantata questa donna, che ha osato laddove molti uomini non si erano e non si sarebbero mai spinti, rimane immortale, e lei è a tutti gli effetti un’eroina americana.

Mi piace pensare che abbia trascorso gli ultimi suoi anni ad Howland, questo atollo disabitato nell’Oceano Pacifico, a vivere di pesca e di fauna, a godere della bellezza della natura e a vivere alla giornata, lontana da giornalisti e riflettori.

In fin dei conti il suo sogno si era realizzato.

Tratto da:
https://viaggimarilore.wordpress.com/2016/03/08/donne-viaggiatrici/

kihnu e le sue donne

Tra le case di colore pastello ci sono loro: gonne fino al ginocchio dalle cromie vivaci e per le più anziane un foulard a fiori annodato sotto il mento, come si usa ancora in qualche paesino italiano. Sono le donne dell’isola di Kihnu in Estonia, dove la società è matriarcale.

Kihnu si trova nel mar Baltico ed è un luogo dove il tempo sembra essersi fermato per sempre. Regna la pace più assoluta e gli abitanti, circa quattrocento, sono prettamente donne.

Anche il faro di Kihnu non ha un guardiano, ma una guardiana.

Il popolo parla un dialetto che si chiama Kinhu kiel, che venne vietato ai tempi dell’Unione sovietica.

La lunghezza dell’isola è di appena 7 km e larghezza 3,3 km.

L’isola vive di turismo, soprattutto di turismo venatorio perché in questo paradiso terrestre, dove il tempo si è fermato, sono presenti molte oche e acquatici da cacciare.

Una volta arrivati con il traghetto sull’isola non è difficile vedere donne che guidano trattori, trebbiatrici o escavatori con una scioltezza incredibile.

Qui c’è, infatti, una delle ultime società matriarcali al mondo dove la gestione sociale e amministrativa spetta alle donne, visto che la comunità maschile è assente per parecchi mesi per il sostentamento del villaggio.

Da quando il New York Times l’ha consacrata esempio mondiale di matriarcato felice, è diventata una delle isole la mondo più gettonate. La settima isola più grande dell’Estonia si è ritrovata a essere una meta internazionale.

Così mentre gli uomini passano la maggior parte della loro vita a pescare, soprattutto le foche, le donne allevano i figli, gestiscono la famiglia, lavorano nei campi, provvedono al bestiame e affrontano tutte le questioni di governance.

La leader della comunità insulare è Mare Matas, che funge anche da presidente della Kihnu Cultural Space Foundation.

“Gli uomini sono sempre lontani da’isola e questa è la ragione storica per cui le donne, con il tempo, sono diventate forti e indipendenti. Il nostro obiettivo è quello di conservare le nostre tradizioni e in generale il patrimonio di Kinhu”, dice.

Occupandosi di tutto queste donne sono diventate le custodi del patrimonio culturale delle isole, tramandandolo di generazione in generazione. La loro eredità è ricca di danze, giochi, musica, ricami e persino riti funebri. A sessant’anni le isolane iniziano a preparare tutto il necessario per il proprio funerale: confezionano vestiti per la sepoltura, lavorano a maglia i guanti per giovani uomini che hanno scelto come scavatori delle proprie tombe.

Purtroppo però l’isola non offre tanto e sono moltissimi i giovani che l’abbandono per studio o in cerca di lavoro, se durante il periodo estivo il turismo dà una boccata d’ossigeno, durante quello invernale la comunità è formata pressoché da persone anziane.

Tratto da
https://www.greenme.it/vivere/costume-e-societa/isola-kihnu-estonia-donne/

https://27esimaora.corriere.it/21_luglio_02/kihnu-l-isola-donne-1d96b360-db38-11eb-a708-517ad1a2ece3.shtml

https://www.radiobullets.com/rubriche/le-ultime-isole-del-matriarcato/

Josephine Wall, pittrice fantasy

Josephine Wall (nata nel maggio 1947 a Farnham , nel Surrey ) è una popolare artista e scultrice fantasy.

Educata alle scuole di grammatica di Farnham e Parkstone ( Dorset ) , ha studiato al Bournemouth College e ha lavorato a Poole Pottery come designer e pittrice. Le sue figure in ceramica includono personaggi di Tolkien s’ Il Signore degli Anelli e mitologiche creature.

Nel 1975 Tiene la sua prima mostra personale a Swindon, in  Inghilterra. Dopo un periodo, durante il quale ha cresciuto i suoi tre figli, mentre continuava ad esporre sia a livello locale che all’estero, nel 1990 fece una seconda mostra personale, tenuta alla Mayfield Gallery di Bournemouth. Sempre durante quest’anno, Josephine e i suoi dipinti sono stati oggetto di un servizio speciale sulla Southern Television nel Regno Unito.

Dopo una escalation durata molti anni, si annoverano, nel suo iter lavorativo Mostre, libri, stampe, ecc. L’icona pop Britney Spears ha richiesto l’uso di una serie di immagini da utilizzare sul suo nuovo sito Web www.britneyspears.com. Britney ha anche acquistato una serie di stampe in edizione limitata e Josephine ha creato un dipinto originale per lei.

Nel 1999 vengono molti prodotti tra cui carte, cancelleria, puzzle, diari, prodotti per il ritorno a scuola, tazze, kit per ricamo e poster, nonché stampe in edizione limitata.

I suoi inconfondibili dipinti però sono amatissimi soprattutto nel web.

Si è sempre contraddistinta come persona molto riservata, per cui le notizie che si trovano su di lei sono minime.

Se ammiriamo le sue opere possiamo notare però il suo immenso mondo fantastico.

Kafka e la bambola viaggiatrice

A 40 anni Franz Kafka (Praga, 3 luglio 1883 – Kierling, 3 giugno 1924), scrittore boemo di lingua tedesca, ritenuto una delle maggiori figure della letteratura del XX secolo e importante esponente del modernismo e del realismo magico, che non si era mai sposato e non aveva figli, passeggiava per il parco di Berlino quando incontrò una bambina, Elsi, che piangeva perché aveva perso la sua bambola preferita a cui aveva dato il nome di Brigida.

Lei e Kafka cercarono la bambola senza successo.

Kafka le disse di incontrarlo lì il giorno dopo e loro sarebbero tornati a cercarla.

Il giorno dopo, quando non avevano ancora trovato la bambola, Kafka diede alla bambina una lettera “ scritta ” dalla bambola che diceva: ” Per favore non piangere. Ho fatto un viaggio per vedere il mondo. Ti scriverò delle mie avventure.”

Così iniziò una storia d’amicizia che proseguì fino alla fine della breve vita di Kafka.

Durante i loro incontri Kafka leggeva le lettere della bambola accuratamente scritte con avventure e conversazioni che la bambina trovava adorabili.

Infine, Kafka le riportò la bambola (ne comprò una) che era tornata a Berlino.

“Non assomiglia affatto alla mia bambola”, disse la bambina.

Kafka le consegnò allora un’altra lettera in cui la bambola scriveva: “i miei viaggi, mi hanno cambiato.”

La bambina abbracciò la nuova bambola e la portò tutta felice a casa.

Un anno dopo Kafka morì.

Molti anni dopo, la bambina oramai adulta trovò una letterina dentro la bambola.

Nella minuscola lettera firmata da Kafka c‘era scritto: ”tutto ciò che ami probabilmente andrà perduto, ma alla fine l’amore tornerà in un altro modo.”

Ispirato a un episodio reale della vita di Kafka, una storia sull’incontro fra il mondo degli adulti e quello dei bambini.

La storia di Ruby Bridges

Ruby Bridges è nata a Tylertown Mississippi,  , l’8 Settembre 1954, da Abon e Lucille Bridges. Quando aveva quattro anni, la famiglia si trasferì a New Orleans, Louisiana. Nel 1960, quando aveva sei anni, i suoi genitori risposero a una richiesta della National Association for the Advancement of Colored People (NAACP) e la offrirono come volontaria per partecipare all’integrazione del sistema scolastico di New Orleans, anche se suo padre era titubante.

All’inizio del 1960, Ruby è stata una dei sei bambini neri di New Orleans a superare il test che stabiliva se potevano frequentare la scuola bianca William Frantz Elementary.

Ruby e sua madre furono scortate a scuola da ben quattro marshall federali (agenzia di polizia federale)  durante l’intero primo anno di scuola.

Come descrive Ruby stessa, il primo giorno di scuola, con un abito rosa  e un golfino bianco, precisamente il 14 Novembre 1960, mentre saliva le scale per entrare nel plesso scolastico, vide una intensa folla ma attribuì questo alla festa del Martedì grasso, il carnevale di New Orleans; stavano lanciando cose e gridando, ma Ruby ha dimostrato molto coraggio e ha marciato come un piccolo soldato.

Nel giro di poco tempo, dopo l’ammissione alla scuola, i genitori ritirarono i propri figli e gli insegnanti si rifiutarono di lavorare.

Solo una persona accettò di insegnare a Ruby: Barbara Henry, di Boston, Massachusetts. Per oltre un anno, questa  giovane maestra insegnò ad una classe composta dalla sola Ruby Bridges “come se stesse impartendo lezioni a un’intera classe”. Barbara Henry le insegna tutto, dalla musica alla ginnastica.

Ruby Bridges era preoccupata di incontrare Henry per la prima volta, ricordando più tardi che “non avevo mai visto un insegnante bianco prima, ma la signora Henry era l’insegnante più bella e brava che avessi mai avuto. Ha cercato molto duramente di tenere la mia mente fuori da ciò che stava succedendo fuori. Ma non potevo dimenticare che non c’erano altri bambini”.

Il secondo giorno, tuttavia, uno studente bianco ruppe il boicottaggio ed entrò a scuola. Si trattava di un pastore metodista di 34 anni, Lloyd Anderson Foreman, che ha accompagnato sua figlia Pam di 5 anni attraverso la folla inferocita, dicendo: “Voglio semplicemente il privilegio di portare mia figlia a scuola”. All’inizio anche la piccola Pam avrà bisogno di raggiungere la scuola scortata, a bordo di una macchina contro i cui finestrini le persone tirano pietre.

Il giorno dopo, a lei si aggiunge Yolanda Gabrielle. Sua mamma l’ha portata via, il primo giorno, temendo problemi di sicurezza. Ma dopo due notti a riflettere ha deciso di riportare Yolanda a scuola, perché “è una questione di principio”.

Le tre compagne di scuola stanno in classi separate, ma dopo qualche tempo, grazie alle insistenze della maestra Henry, la scuola le autorizza a giocare insieme in ricreazione.

Nel corso dell’anno, lentamente, altri bimbi bianchi tornano in classe, nonostante i manifestanti sempre presenti fuori dalla scuola, armati di Bibbie e odio.

Ruby, però, continua a fare lezione da sola con la signora Henry per tutto quell’anno e il successivo.

Le conseguenze di questa scelta furono per la famiglia Bridges molto devastanti: suo padre perse il lavoro, i negozianti non gli permisero più di fare acquisti, i nonni, mezzadri,  persero  la terra. Molti altri però li sostennero, il padre ebbe un nuovo lavoro e molti genitori continuarono a mandare i loro figli alla Frantz.

Attualmente è presidente della Fondazione Ruby Bridges, che ha fondato nel 1999 per promuovere “i valori della tolleranza, del rispetto e dell’apprezzamento di tutte le differenze”.

Il 15 luglio 2011, la Bridges ha incontrato il presidente Barack Obama alla Casa Bianca, e durante la visione del suo famoso dipinto fatto da Norman Rockwell in mostra le ha detto: “Penso che sia lecito affermare che se non fosse stato per voi ragazzi, forse non sarei stato qui e non ci staremmo guardando insieme”.

Oggi Ruby Bridges, che un giorno si ritrovò la sola studentessa in una scuola che non la voleva, ha una statua che la ricorda, fuori dalla William Frantz.

Tratto da:
https://it.wikipedia.org/wiki/Ruby_Bridges#Biografia

https://riccardogazzaniga.com/ruby-bridges/

La storia di Romeo, il lupo

Ho avuto modo di sentire una conferenza sul lupo presso l’orto Botanico di Torino e sono rimasta stupita di molte notizie acquisite. La più interessante era: “non abbiate paura del lupo perché non attacca mai l’uomo anzi, quando lo avvista il piccolo branco di lupi, formato da una famiglia, scappano”.

Leggendo alcuni giorni fa questo articolo riconosco la veridicità di questo.

In Alaska Nick Jans, il proprietario di un labrador, ha trovato un lupo nel suo cortile di casa mentre, tranquillamente, giocava con il suo cane.

La straordinaria amicizia è proseguita ed è rimasta incastonata nei ricordi di un album di immagini scattate da Jans a questo lupo dal carattere altamente insolito ed enigmatico, che ha deciso di vivere tra gli esseri umani.

Da quel momento in poi, il lupo, al quale è stato dato il nome di Romeo, ha cominciato ad apparire periodicamente nel cortile di Jans, proprio per giocare con il cane.

Romeo si è rivelato essere una creatura estremamente cordiale e, ben presto, si è guadagnato l’amicizia e il rispetto non solo degli altri cani del quartiere, ma anche della gente di quartiere. In un primo momento, ovviamente, le persone erano costantemente preoccupate che il lupo potesse attaccare. Ma il tempo e i fatti hanno dato loro torto.

Romeo, chiamato così perché faceva il “cascamorto” con tutti, non chiedeva cibo. Era selvaggio al 100%, in grado di procurarselo da solo. E infatti ogni tanto scompariva per settimane, probabilmente a caccia.

Non c’è mai stato un solo caso in cui Romeo ha provato a far del male ai cani o ai bambini. Esso si rivela estremamente sociale, gioca con i cani, interagisce con le persone. Intelligente e attento, diventa una presenza fissa, portando un alito di vita selvaggia alle soglie delle case.

Nel tempo, anzi, ha anche iniziato ad adottare le abitudini dei suoi nuovi amici cani. Incredibilmente, il lupo si è comportato proprio come un cane addomesticato. Lo straordinario esemplare ha vissuto fianco a fianco con la gente del posto per più di sei anni ed è diventato un vero e proprio simbolo del villaggio Juneau, in Alaska.

Romeo è morto nel 2009. Nel 2010, gli abitanti di Juneau hanno istituito un memoriale in suo onore. Forse hanno sentito il bisogno di ricordare per sempre questo bellissimo lupo che ha dimostrato che anche gli animali, per natura predatori temibili, a volte possono creare un legame di amore genuino e di affetto verso altri esseri viventi.

Tratto da:
https://infinitynews.it/2016/04/07/29-2-romeo-il-lupo-che-seppe-conquistarsi-lamicizia-delluomo-29

Museo Etnografico Antichi Mestieri

Alcuni anni fa ho avuto modo di visitare il Museo etnografico di antichi mestieri a Pont Canavese, una valle a nord di Torino.

Fondato nel 1996 dall’Associazione per la promozione dei valori etnico-ambientali delle Valli Orco e Soana “Ij Canteir”, il museo illustra gli antichi mestieri e le attività contadine locali.

Nelle varie sale i manichini con indosso gli abiti d’epoca ti riportano, con la fantasia, indietro nel tempo. 

L’ambientazione è stata eseguita molto bene, nelle sale, la combinazione di manichini con abiti d’epoca ed attrezzi tradizionali permette la ricostruzione degli ambienti di lavoro dei diversi mestieri. Girando tra una stanza e l’altra gli spazi si animano con suggestive scene di vita quotidiana rappresentata da più di 50 personaggi e svariati oggetti che interpretano antichi mestieri ormai travolti dalla modernità.

Una sorridente lavandaia dà il benvenuto ai visitatori mentre una infaticabile materassaia prepara la soffice lana con l’ausilio della cardatrice.

Seguono tantissime altre figure di cui abbiamo sentito parlare. Quante realtà sofferte in giro per il mondo. Schegge di vita nate dalla povertà, dal bisogno di dare assistenza alle famiglie. Dure esperienze vissute con abnegazione e coraggio, tutte accomunate da un’unica speranza: il ritorno per ritrovare le proprie radici, la propria gente.

L’arrotino, il fabbro, lo spazzacamino, il ciabattino, lo stagnino, le tessitrici, il vetraio, il minatore, la mugnaia…

Questi sono solo alcuni dei personaggi che popolano questo museo.

Per info e prenotazioni telefonare ai numeri:
3494975573 – 3406115520
o rivolgersi all’Ufficio Turistico di Pont Canavese:
0127 85484

Cooperativa femminile di pesca in Marocco

Pensando alle numerose barche che ho visto partire alla sera o ritornare all’alba intravedo, nei miei ricordi, uomini abbronzati, magri e sento nell’aria l’odore salmastro del mare.

Infatti questo mestiere così antico , tanto che lo ritroviamo in favole, canzoni e racconti, è sempre stato per tradizione appannaggio strettamente maschile. Così, per quanto oggi in moltissimi Paesi le donne abbiano libero accesso a tutte le professioni, è difficile cancellare degli stereotipi così duraturi e c’è chi ancora si stupisce al pensiero di una donna che si imbarca su un peschereccio.

Anche a me è difficile quindi pensare a donne che possano svolgere questo mestiere. Ma mi sbagliavo.

Vorrei citare in questo mio articolo una iniziativa perché, come mi è solito fare, ho avuto modo di vedere un servizio che trattava di questo.

Parliamo del Marocco, dove è stata creata la prima cooperativa di pesca al femminile, fondata nel 2018 tra mille tabù e tradizioni da sfidare in un Paese ancora fortemente maschilista. Ecco perché quella di Fatima, Fatiha e delle loro sorelle pescatrici della cooperativa di Belyounech è una storia di passione per il proprio mestiere.

Fatima, la presidente della cooperativa dice: “Il mare è tutta la mia vita, quella dei miei figli e della gente del villaggio”.

“Agli uomini non piaceva il fatto che una donna praticasse la pesca in mare”, ha dichiarato invece Fatiha Naji, e infatti le donne si limitavano ad aiutare a riparare le reti e a pulire le barche senza però venire retribuite. Quella che mancava era una formazione al femminile, ma anche e soprattutto un’apertura mentale che poteva ottenersi solo a costo di sfidare i molti tabù della società.

Un gruppo di donne ha deciso di mettersi in gioco e il loro progetto si è concretizzato. All’inizio hanno iniziato a venire retribuite riparando le reti, poi, dopo due anni di formazione le 19 donne della cooperativa si guadagnano da vivere con i loro pescherecci. Tuttavia le donne continuano a subire insulti e minacce.

Nel seguire la loro passione, queste donne hanno aperto una strada che fino alla generazione precedente sembrava semplicemente impossibile e l’hanno fatto con il coraggio di immaginare un mondo diverso. “Lavorare in mare non è facile”, spiega Fatima, “ma è quello che io e le mie sorelle amiamo. Alla fine è un sogno che si è avverato”.

Tratto da:

https://www.elle.com/it/magazine/women-in-society/a32576541/la-prima-cooperativa-femminile-di-pesca-in-marocco/

Filastrocca: la zanzara Pitì

Sono una zanzara e mi chiamo Pitì,
a nessuno piaccio ma son fatta così,
ho un triste compito, son fastidiosa
io pungo tutti e mi diverto a iosa.

Forse non tutti sanno perché,
siamo noiose e facciamo male, ahimè,
il nostro ronzio è per attirare un compagno,
lo cerco sempre attorno allo stagno.

Non sono cattiva, ho questo difetto,
non piaccio ai bambini, soprattutto a letto,
vi do un consiglio, lasciatemi fuori
perché se entro sono dolori.

Ogni animale è diverso dall’altro,
c’è chi è buono e chi invece tutt’altro,
son piccolina, mi puoi anche schiacciare,
solo così  mi puoi debellare.

Questa è la storia della zanzara Pitì,
è durata poco, solo per un dì,
forse è servita la sua esistenza
o forse per noi è meglio star senza!

Michelangelo Rossato: illustratore

Oggi vorrei scrivere di questo illustratore di cui ho sentito parlare molto in questo ultimo periodo.

Personalmente amo gli artisti realisti, sia che si tratti di disegni o dipinti, ma ho notato, nelle biblioteche alla ricerca di libri da leggere per le nipotine o per disegni da copiare, che questo metodo di arte è sorpassato, gli stili oggi sono completamente diversi. Molto più colorati e stilizzati.

Sicuramente dietro a tutto questo ci sono tendenze psicologiche ma io, che ho sempre apprezzato i disegni di Sarah Kay, Clara M. Burd, John Loane, Norman Rockweel entrare in questa nuova ottica non è semplice.

Ritornando alla creatività di Michelangelo Rossato devo aggiungere che non solo è un illustratore di libri per bambini ma è anche uno scrittore. Parte da storie antiche raccontandole in uno stile molto attuale.

Nato in provincia di Venezia nel 1991, dopo la maturità classica, ha iniziato a interessarsi all’illustrazione per l’infanzia frequentando la Scuola di Illustrazione Ars in Fabula a Macerata. Nel 2014 si è diplomato in Illustrazione all’Accademia di Belle Arti con una tesi riguardante il legame tra la fiaba e le società matriarcali.

Attualmente Insegna illustrazione e letteratura per l’infanzia presso la scuola Ars in Fabula e l’Università Popolare di Borbiago (Venezia).

Biancaneve


La sirenetta

Norman Percevel Rockwell: illustratore

Sono una grande ammiratrice di molti illustratori e di alcuni ho già scritto nel blog. Sarah Kay, creato dalla mano di Vivien Kubos, Beatrix Potter con le immagini straordinarie con i suoi animali “parlanti”, John Sloane con gli incantevoli paesaggi rupestri…

Oggi invece vorrei scrivere di questo straordinario disegnatore: Norman Percevel Rockwell (3 febbraio 1894 – 8 novembre 1978)

Norman Rockwell è nato a New York da Jarvis Waring Rockwell e Anne Mary “Nancy” Hill.

Si è trasferito dal liceo alla Chase Art School all’età di 14 anni. Poi è andato alla National Academy of Design e infine alla Art Students League .

I suoi primi lavori furono prodotti per il St. Nicholas Magazine , la rivista Boys ‘Life dei Boy Scouts of America (BSA) e altre pubblicazioni per ragazzi.

Il suo primo importante lavoro artistico avvenne all’età di 18 anni, illustrando il libro di Carl H. Claudy Dimmi perché: storie su Madre Natura.

Successivamente, Rockwell è stato assunto come artista dello staff per la rivista Boys ‘Life . In questo ruolo, ha ricevuto un compenso di 50 dollari ogni mese per una copertina completa e una serie di illustrazioni per la storia. Si dice che sia stato il suo primo lavoro retribuito come artista. A 19 anni è diventato il redattore artistico di Boys ‘Life , pubblicato dai Boy Scouts of America .

Si trasferì, insieme alla sua famiglia, a New Rochelle , New York, quando aveva 21 anni. Condivise uno studio con il fumettista Clyde Forsythe, che ha lavorato per The Saturday Evening Post . Con l’aiuto di Forsythe, Rockwell inviò il suo primo dipinto di copertina di successo al Post nel 1916 e ne continuarono molti altri negli anni a seguire.

È stato pubblicato otto volte sulla copertina del Post nel primo anno. Alla fine, Rockwell ha pubblicato 323 copertine originali per The Saturday Evening Post in 47 anni. La sua Sharp Harmony apparve sulla copertina del numero del 26 settembre 1936; raffigura un barbiere e tre clienti mentre si godono una canzone a cappella .

Lavorando per The Saturday Evening lasciò la Boys ‘Life , ma continuò a includere scout nelle immagini di copertina del Post e nella rivista mensile della Croce Rossa americana.

Durante la prima guerra mondiale, volle arruolarsi nella Marina degli Stati Uniti ma gli è stato rifiutato l’ingresso perché, a 140 libbre (64 kg), era sottopeso di otto libbre per qualcuno alto 6 piedi (1,8 m). Per compensare passò una notte a rimpinzarsi di banane, liquidi e ciambelle e il giorno dopo il suo peso era aumentato abbastanza e si arruolò. Tuttavia, gli è stato assegnato il ruolo di artista militare e non ha visto alcuna azione durante il suo turno di servizio.

Durante la fine degli anni ’40, Norman Rockwell trascorse i mesi invernali come artista residente all’Otis College of Art and Design . Gli studenti occasionalmente facevano da modelli per le sue copertine del Saturday Evening Post .

Nel 1959, dopo che sua moglie Mary (sposata in seconde nozze nel 1930), morì improvvisamente per un attacco di cuore, Rockwell si prese una pausa dal suo lavoro per piangere. Fu durante quella pausa che lui e suo figlio Thomas produssero l’autobiografia di Rockwell, Le mie avventure come illustratore , che fu pubblicata nel 1960. Il Post stampò estratti di questo libro in otto numeri consecutivi, il primo contenente il famoso Triplo Autoritratto di Rockwell.

L’ultimo dipinto di Rockwell per il Post fu pubblicato nel 1963, segnando la fine di un rapporto editoriale che aveva incluso 321 dipinti di copertina.

La sua ultima commissione per i Boy Scouts of America è stata un’illustrazione del calendario intitolata The Spirit of 1976 , che è stata completata quando Rockwell aveva 82 anni.

Rockwell è stata insignito della Presidential Medal of Freedom , la più alta onorificenza civile degli Stati Uniti d’America, nel 1977 dal presidente Gerald Ford . Il figlio di Rockwell, Jarvis, ha ritirato il premio.

I suoi lavori sono innumerevoli e ha illustrato più di 40 libri. 

Il lavoro di Rockwell è stato respinto dai critici d’arte seri durante la sua vita perché consideravano le sue opere decisamente troppo dolci e non è considerato un “pittore serio” da alcuni artisti contemporanei, che considerano il suo lavoro come borghese e kitsch.

Negli ultimi anni, tuttavia, Rockwell iniziò a ricevere più attenzione come pittore quando scelse argomenti più seri come la serie sul razzismo per la rivista Look.

Rockwell morì l’8 novembre 1978, di enfisema all’età di 84 anni nella sua casa di Stockbridge, nel Massachusetts.

Nel 2011, questo dipinto è stato esposto alla Casa Bianca quando il presidente Barack Obama ha incontrato il soggetto, Ruby Bridges , all’età di 56 anni.

By original uploader User:Jengod, Fair use, https://en.wikipedia.org/w/index.php?curid=601019


Norman Rockwell

Tratto da:
https://en.wikipedia.org/wiki/Norman_Rockwell

Colette Rosselli: illustratrice e scrittrice

Colette Rosselli, nata Colette Cacciapuoti, meglio conosciuta come Donna Letizia, nasce a Losanna da una famiglia borghese il 25 maggio 1911 e trascorre l’infanzia tra Firenze e la Versilia.

Di madre inglese e di padre italiano, Colette Rosselli è stata una delle poche illustratrici italiane ad occuparsi di libri per l’infanzia. La sua prima vocazione era verso  un genere particolare di disegno, l’illustrazione di libri per bambini.

Colette è stata una scrittrice, giornalista, illustratrice e pittrice italiana. È nota soprattutto per la seguita rubrica di bon ton, Il saper vivere, che ha tenuto prima su Grazia e in seguito su Gente.

Aveva ricevuto un’educazione superiore, sposò Raffaello Rosselli, cugino dei fratelli antifascisti assassinati in Francia, all’età di 19 anni e aveva avuto una figlia. Si separerà dal lui nel 1940.

Come illustratrice aveva iniziato a pubblicare i suoi disegni a New York per le riviste Harper’s Bazaar, Mademoiselle e Vogue, illustrando anche libri per bambini, alcuni dei quali scritti da lei stessa

Il primo libro di Susanna, scritto per la figlia, è pubblicato durante la guerra con lo pseudonimo Nicoletta, e narra le vicende di una bambina, un cagnetto e un uccellino. Segue Il secondo libro di Susanna.

Per Mondadori pubblica in seguito altri volumi, tra i quali ricordiamo Prime rime, Collolungo, Questa è Margherita e Il Cavaliere Dodipetto.

Stanca di essere l’illustratrice più sottopagata, negli anni sessanta cessa l’attività di illustratrice per l’infanzia abbandonando la Mondadori in favore di altri editori per i quali scriverà soprattutto libri di galateo e di memorie.

Colette era una bella signora, elegante e raffinata, disegnatrice e giornalista e, non più giovanissima, divenne la moglie di un importante giornalista italiano: Indro Montanelli. Ebbero una lunghissima relazione sfociata nel matrimonio solo nel 1974, dopo il divorzio di lui dalla prima moglie.

Un matrimonio molto particolare: lei a Roma nella sua casa di Piazza Navona, lui a Milano, uniti dall’amore per la reciproca indipendenza, la riservatezza e il desiderio di preservare la loro intimità di fronte ai pettegolezzi. Vicino a Firenze, a Fucecchio, città natale di Montanelli, nel palazzo della Fondazione Montanelli Bassi sono stati ricostruiti esattamente come erano, per volontà e lascito dello stesso Montanelli, i suoi due studi di Milano e Roma con tutti gli arredi, compresi i libri, e qui si trovano anche tutti gli scritti, i libri, le dediche e altri cimeli della stessa Colette.

Le illustrazioni e la pittura resteranno la sua passione e nel corso degli anni i suoi quadri vennero esposti in importanti gallerie.

Nel gennaio 1996 viene colpita da un ictus, in seguito al quale muore il 9 marzo successivo nella sua casa romana a piazza Navona.

 

Tratto da:

http://sebastianozanetello.blogspot.com/2016/03/colette-rosselli-ovvero-prime-rime-per.html

https://blog.libero.it/laviaggiatrice/10955965.html

Il guardiano del faro

Come ho scritto più volte amo la montagna ma anche il mare. Sono nata in una città di mare per cui questo elemento l’ho nel mio DNA. Da giovane passavo molte ore in spiaggia nel mio tempo libero, da Marzo fino a Novembre e amando molto abbronzarmi mi crogiolavo al sole per ore e ore. Il silenzio rotto solo dalle onde che battevano dolcemente sulla battigia faceva da sottofondo ai miei pensieri.

Quando ho letto la storia di Paolo ne sono rimasta incantata. Sessant’anni portati bene, fisico magro, un po’ di barbetta grigia. Ha deciso di diventare farista per aver sempre un contatto diretto e costante con il  mare, il vento, la natura, fuori da tutto, da ogni schema, e per la libertà di organizzarsi la giornata e gli impegni lavorativi.

L’orario di lavoro di Paolo è dalle 8 alle 14 per  cinque giorni a settimana. Dopo 25 anni di lavoro al servizio fari presso il comando Zona Fari di La Spezia, ha deciso di accettare, due anni fa, questo ruolo. Il faro è quello di Portofino, cittadina clou della riviera di levante del litorale ligure.

Il Servizio fari è affidato dal 1911 alla Marina militare. Si accede al lavoro di Guardiano del faro solo se si è dipendenti della Marina, occorre poi avere la categoria di assistente tecnico nautico, avere la patente militare e l’autorizzazione a condurre natanti.

 Paolo deve risolvere tempestivamente le varie avarie, la pulizie delle ottiche dei vetri in modo che il segnalamento abbia la massima visibilità, le varie manutenzioni agli impianti».

La nostra idea “romanzata” di farista è diversa. La nostra immaginazione ci porta a pensare al faro collocato in mezzo al nulla, in zone nordiche dove il mare impervio, nelle notti di tempesta, si abbatte sulla terra abbattendo tutto ciò che incontra.

Quante storie potrebbero raccontare i fari !  Di terribili tempeste che li squassavano alle fondamenta, di salvataggi, di naufragi e, ma c’è un altro aspetto dei fari poco conosciuto, ma altrettanto affascinante : IL MISTERO.  Forse perché si trovano sempre in zone isolate e selvagge il pensiero corre a presenze misteriose che li abitano, sarà per via del vento che sibila su per le scale a chiocciola, per il rumore delle onde ai suoi piedi,  o per il tamburellare della pioggia sui vetri …forse si tratta di vecchi  guardiani finiti in mare nel tentativo di un salvataggio, o di uomini e donne morti di solitudine, lontani da tutto. 

Ma la storie più belle le racconta quel fascio di luce che spazza il buio della notte, quel fascio che lambisce il mare, che dice al il marinaio che lì c’è un pericolo da evitare, e che da lì può arrivare al porto e alla salvezza.   

Ma sappiamo che I fari sono monumenti antichi, molti risalgono ad epoche lontane, i più recenti sono stati costruiti nei primi anni del 1900 ed hanno quindi già più di cent’anni e non ne verranno più costruiti, non ce ne saranno mai dei nuovi, sono quindi il ricordo di un’epoca passata che non tornerà più.

Ritornando a Paolo aggiungo che bisogna esserci portati per fare questo mestiere, non soffrire di solitudine, essere capaci di stare bene con se stessi e, cosa più importante, saper fare di tutto.

Egli afferma: «Il mio sguardo che si perde verso  un orizzonte unico ed inspiegabile, la solitudine ed il contatto con il mare blu e le onde spumeggianti mi ripagano di ogni arduo sacrificio e dei piccoli sforzi quotidiani».

Tratto da: 
https://nuvola.corriere.it/2019/02/13/paolo-guardiano-del-faro-la-mia-vita-a-contatto-con-la-natura/

https://digilander.libero.it/2mareblu/storie_di_fari.htm

L’Ospedale delle bambole

Oggi vorrei scrivere un articolo abbastanza particolare, soprattutto in questo periodo dove si parla, purtroppo quotidianamente, di ospedali e di morti.

Il tema è lo stesso ma in una veste diversa e molto più “leggera”.

Vorrei citare la cosiddetta “dottoressa delle bambole”, Greta Canalis. Questa giovane donna proviene da una famiglia di artigiani. Il suo laboratorio è situato a Torino. È un piccolissimo locale, un salottino come lei lo definisce.  

Le bambole dei nostri ricordi, che ci hanno accompagnato nella nostra infanzia e hanno bisogno di essere restaurate trovano un ambiente consono a loro.

Sembrerebbe  a prima vista un lavoro facile ma i materiali di una volta, come lei comunica, erano di recupero, tipo celluloide, cartapesta, paglia, quindi il ridare nuova vita non è così semplice.

Quello che è interessante è la storia che è legata dietro alle bambole. La persona che accede al negozio per il restauro racconta sempre il legame con la bambola. La sua storia viene raccontata e Greta, ascoltatrice di questa, dice che è difficile, per un adulto,  riportare nel dialogo le emozioni per cui ne fa veramente tesoro di questo.  Riparare bambole è più di un lavoro. «Dentro ci sono i ricordi delle persone – spiega Greta – e ridare vita a una bambola significa mantenere vive le emozioni che ci portiamo nel cuore».

La clientela in negozio è varia. Le bambine hanno una sorta di “precedenza”. «Quando mi lasciano la bambola, i loro occhi si riempiono di tristezza. E’ come se si separassero dalla sorellina. Per cui non posso deluderle e devo anche fare in fretta». Ma ci sono anche anziane che arrivano con oggetti che racchiudono storie toccanti. «Una signora mi portò una bambola con indosso i vestitini della figlia, morta quando era piccola. In quegli istanti capisci che stai lavorando a contatto con sentimenti fortissimi».

Greta restaura bambole, peluche, orsacchiotti e tutti quei giochi che hanno riempito gli anni più spensierati di ognuno di noi.

E pensare che da piccola, mentre giocava nelle campagne della sua Tonengo, nel Canavese, Greta non aveva poi tutta questa grande passione per le bambole. «Mi piacevano, certo. Ma ero come tutte le altre bimbe». Ora, invece, sono parte della mia vita».

Ci sono altri Ospedali per le bambole sparsi per l’Italia ma questa sarà un’altra Storia.



Tratto da:

https://www.cronacaqui.it/greta-dottoressa-delle-bambole-cosi-rivivono-sogni-delle-bimbe/