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Suor Plautilla Nelli

Suor Plautilla Nelli è una delle tante donne dimenticate dalla storia dell’arte, il cui recupero è stato reso possibile grazie a un’organizzazione statunitense, The Advancing Women Artists Foundation.

Pulisena Margherita è nata nella famiglia fiorentina dei Nelli, nell’anno 1524. Dopo la morte della madre entrò adolescente nel convento domenicano di Santa Caterina da Siena, a Firenze, considerato uno dei più prestigiosi d’Italia per le virtù delle consorelle-artiste.

Prese i voti nel 1538, quattordicenne, con il nome di Suor Plautilla.

Con questo nome fu molto conosciuta nell’ambiente pittorico dell’epoca.

Suor Plautilla Nelli è la capostipite dell’arte femminile a Firenze nel Cinquecento, citata addirittura dal pittore e storico dell’arte, Giorgio Vasari, il quale scrive che “avrebbe fatto cose meravigliose se, come fanno gl’uomini, avesse avuto commodo di studiare ed attendere al disegno e ritrarre cose vive e naturali”.

Non potendo usufruire di alcun tipo di educazione artistica, fu soltanto copiando disegni e dipinti, usando corpi femminili come modello, che raggiunse la sua maturità artistica, riuscendo a dar vita a una fiorente bottega che coinvolgeva numerose allieve.

SI nota nei suoi quadri la non conoscenza del corpo umano maschile e i suoi santi appaiano molto femminei, così come i volti degli Apostoli dell’Ultima Cena, dipinta per il suo convento.

Il pittore e storico dell’arte, Giorgio Vasari, ci informa che Plautilla avrebbe imparato a dipingere autonomamente, attraverso l’imitazione di altre opere: sappiamo che possedeva dei disegni di Fra Bartolomeo e, probabilmente, anche stampe di opere che circolavano all’epoca. Non ebbe la possibilità di seguire i progressi della pittura perché viveva in convento.

Benché oggi il suo nome rimanga sconosciuto alla maggioranza del pubblico appassionato d’arte, la Nelli godette di grande stima fra i suoi contemporanei.

Realizzò soprattutto dipinti dai soggetti religiosi e quadretti votivi. Le opere di una suora non avevano soltanto un valore spirituale, ma anche una valenza quasi magica, mistica, e possederne una era considerato un simbolo di prestigio.

A lei viene riferita l’immagine più nota di santa Caterina de’ Ricci, con un’iconografia a mezzo busto che venne poi ricalcata anche per altre sante monache toscane, come santa Maria Maddalena de’ Pazzi, o la stessa Santa Caterina da Siena. Una caratteristica ricorrente nei suoi ritratti di Santa Caterina è la presenza di una lacrima, segno della capacità femminile di entrare in empatia con la passione del Cristo.

La maggior parte delle sue tele sono state dipinte per il convento di Santa Caterina, ma oggi risultano distrutte, o situate in altro loco. Fortunatamente alcune chiese domenicane hanno conservato alcune sue opere, come le lunette con San Domenico e Santa Caterina, per il Cenacolo di San Salvi, attribuitele soltanto di recente.

Questo suo famoso quadro è stato recentemente  restaurato e ricollocato nel Museo di Santa Maria Novella, a Firenze. Le dimensioni sono impressionanti. L’intero dipinto proveniente dal refettorio del convento di Santa Caterina di Cafaggio (oggi scomparso), è lungo 7 metri ed alto 2 con personaggi dipinti a grandezza naturale.

Anni di meticoloso restauro sono stati sostenuti grazie al contributo sostanziale di diversi mecenati da tutto il mondo, ma sopratutto grazie all’impegno di AWA Foundation nel recuperare e riportare a nuova luce quest’opera. Fondamentale anche la collaborazione di The Flod e The Florentine per il successo della campagna di raccolta fondi #thefirstlast

I frati Domenicani del Convento di Santa Maria Novella hanno “donato” questo dipinto al Museo omonimo.

Morì nel suo convento nel 1588

Tratto da:

https://www.artribune.com/arti-visive/arte-moderna/2017/02/mostra-suor-plautilla-nelli-uffizi-firenze-pittura/

https://it.wikipedia.org/wiki/Plautilla_Nelli

https://www.smn.it/it/magazine/l-ultima-cena-di-plautilla-nelli-a-santa-maria-novella/

Séraphine Louis de Senlins

Ho finito di leggere da poco tempo un libro sulla vita della scultrice francese Camille Claudel che ho trovato angosciante, al punto tale da non riuscire nemmeno a leggerlo tutto. Non aggiungo particolari del perché ma le motivazioni sono tante.

Ebbene, ecco che senza volere mi imbatto di nuovo in un  caso simile. Questa volta si tratta della pittrice Séraphine Louis de Senlins che come storia si avvicina molto a quella di Camille. Sembrerebbe di leggere la favola di Cenerentola ma questa è una storia vera.

Di lei, come donna e come artista se n’è sempre parlato poco, fino al 2008, in seguito al film di Martin Provost, Seraphine. Il film ha trionfato ai Premi César 2009, con sette premi vinti, fra cui quello per il miglior film e miglior attrice a Yolande Moreau.

Séraphine Louis de Senlins (1864-1942) nasce in francia, ad Arsy, da una famiglia di pastori. Dopo la morte prematura della mamma inizia a lavorare come domestica in un convento, ma se all’inizio credeva che quel mondo fosse il suo ben presto capisce che la sua strada, il suo futuro è fuori, nel mondo.

Continua ad essere una credente devota e, uscita dal convento, la donna inizia a dipingere all’età di quarantadue anni, di sera, alla luce di una piccola lampada a olio, stendendo fogli, tele o pannelli per terra. Dipinge e prega. Recuperava tele e colori come meglio poteva, spesso rinunciando a qualche razione di cibo. Secondo quanto lei raccontava, ad indirizzarla verso la pittura sarebbe stato un angelo o la Madonna.  

I soggetti dei  suoi quadri sono tappeti di fiori, quei fiori che la mamma adorava, tanto che la figlia arrivò a divinizzarla, trasformandola in una Santa.  Per questo non sono semplici decorazioni, ma si distendono sul supporto con una notevole forza espressiva, come percorsi da una semplice, violenta bellezza. i suoi fiori scrutano lo spettatore, come fossero occhi e l’intensa carica onirica e mistica, sottesa a quella produzione. Un costante ritorno ai prati fioriti della madre.

Continuando a lavorare a ore come cameriera per diverse famiglie per mantenersi, ha occasione di lavorare anche per William Uhde, nel 1912, collezionista e critico d’arte. Ma dal carattere riservato Séraphine non parla mai della sua passione.

Ma un giorno William Uhde recandosi  nella casa del vicino nota, appesa tra gli altri quadri, una natura morta, raffigurante delle mele, che colpisce immediatamente la sua fantasia. Un volta appreso che il quadro è stato creato dalla cameriera di entrambi per il critico è una piacevole scoperta. Superato un primo momento di stupore e resosi conto delle potenzialità dell’autrice, decide di comprarle tele e colori, così da favorire l’emergere di un’arte a suo giudizio ricca di immaginazione.

Fu da allora, dalla veneranda età di 48 anni, che Séraphine Louis vide riconoscersi una sorta di talento di stampo naif; un talento che si esplicava però soltanto nell’incondizionata rappresentazione di fiori, piante e vegetazione e che esulava da qualunque altro stampo iconografico.

Ma la carriera della fragile pittrice crollò di lì a poco. La Grande Depressione  del 1929 trascinò  nel baratro gli investimenti di Uhde tanto da farlo quasi fallire come mercante d’arte e curatore di mostre. Non ebbe più la possibilità di acquistare  i quadri e anche gli altri scarsi clienti spariscono. Séraphine  dal canto suo ha sempre usato i proventi della vendita dei dipinti per spese ritenute dissennate, per acquistare oggetti completamente inutili.

Sempre più insicura ed instabile, nel 1931, viene rinchiusa in un manicomio, dove le viene diagnosticata una forma di psicosi cronica con manie di grandezza.

Ma la fortuna critica di Seraphine Louis de Senlis, continuò a coinvolgerla anche quando la sua psiche l’aveva già abbandonata.

Uhde nel frattempo non si lasciò vincere dall’ abbandono della sua artista di punta: il mercante espose le sue opere nel 1932, alla mostra “The Modern Primitives” di Parigi; ancora nel 1937-38 in una mostra dal titolo “The Popular Masters of Reality”, che si tenne in diverse fasi a Parigi, Zurigo ed al MoMA di New York; nel 1942  presso i “Primitivi del secolo ventesimo” in mostra a Parigi, e infine, nel 1945, in una mostra personale delle sue opere sempre nella capitale francese

Seraphine Louis de Senlis invece, abbandonata dal mondo e lasciata macerare a se stessa morirà di stenti e fame all’età di 68 anni, in una Casa di cura a Villers-sous-Erquery, che a ridosso della seconda guerra mondiale, non poteva più garantire una vita dignitosa ai malati che ospitava.

Le su ultime parole furono: “Ho fame!”.

Tratto da:
https://www.stilearte.it/la-favola-di-seraphine-louis-da-cameriera-ad-artista-naif/

http://svirgolettate.blogspot.com/2013/08/seraphine-louis-de-senlis-il-genio-e-la.html