Patch Adams, il medico del sorriso

Ho avuto modo di vedere, per la terza volta, il film “Patch Adams”. Nel mio articolo non parlerò della trama del film ma di alcuni tratti salienti della biografia del vero personaggio e concluderò con alcune esperienze personali .

Hunter Doherty Patch Adams, meglio conosciuto come  Patch Adams, è nato nel 1945 a Washington. Visse in molti Stati in quanto il padre, ufficiale dell’esercito, veniva spostato continuamente. Rimase orfano di padre a soli 16 anni e questa perdita lo segnò moltissimo.

Dopo la sua morte infatti divenne un alunno ribelle e anticonformista. Vicissitudini familiari e personali lo portarono a uno stato depressivo talmente alto che disse alla madre di avere necessità di essere ricoverato in un istituto psichiatrico, poichè i suoi pensieri vertevano verso il suicidio.

Nel periodo di internato nell’Istituto venne colpito da alcuni atteggiamenti, a lui non graditi, rivolti  ai ricoverati, mentre vide che il suo approccio personale verso di  essi li aiutava. Ma il vero aiuto lo ebbe lui da loro.  

Aveva capito cosa dovesse fare nella sua vita: intraprendere lo studio della medicina. Voleva diventare Medico!

Aiutare il prossimo era il primo dei suoi obiettivi, era diventato il suo scopo principale, ma dovette lottare con le istituzioni in quanto interpretava  il suo ruolo di Medico in maniera alquanto particolare. Per lui la vera medicina era far sorridere gli ammalati, fossero bambini o adulti, malati occasionali o terminali.

Secondo Patch Adams, l’humour era stato da sempre ritenuto salutare. Egli diceva che l’humour è un eccellente antidoto allo stress, che l’umorismo è vitale per sanare i problemi dei singoli, delle comunità e delle società.

Il motto “buffo” significava buono, felice, benedetto, fortunato, gentile e portatore di gioia. Indossare un naso di gomma ovunque andasse  cambiò la sua vita. Non per niente venne accusato di “troppa allegria!”.

Mosso da buoni propositi, lungi dal volere una carriera remunerativa, mise a disposizione dei più deboli e bisognosi la sua casa, convinto che la guarigione dovesse essere un interscambio umano, non un business. 

Successivamente comprò un terreno nel Nord Carolina dove costruì una clinica vera e propria. Vista dall’alto doveva rappresentare un clown.

Con un gruppo di volontari riuscì a curare in 10 anni circa 15000 malati senza richiedere compensi di nessun genere.

Fondò anche il Gesundheit Institute, un progetto da lui ideato di libera assistenza sanitaria con l’obiettivo di integrare in un ospedale tradizionale la medicina alternativa e programmi educativi.

Nell’ingresso del suo ospedale viene riportata questa frase:

«Per noi guarire non è solo prescrivere medicine e terapie, ma lavorare insieme condividendo tutto in uno spirito di gioia e cooperazione. La salute si basa sulla felicità, dall’abbracciarsi e fare il pagliaccio al trovare la gioia nella famiglia e negli amici, la soddisfazione nel lavoro e l’estasi nella natura delle arti[»

Grazie di esserci stato, caro Patch Adams, e grazie a tutti i volontari che hanno deciso di seguirti in questo cammino.

                   Patch Adams

              Gesundheit Institute

Io, tanti anni fa, giovane infermiera presso un Ospedale genovese nel Reparto di Dermatologia, ho avuto la fortuna di incontrare il “mio Patch Adams”. Era il Primario del reparto, un uomo che non era solare come il medico di questo articolo, ma le intenzioni e gli obiettivi erano gli stessi.

Aiutare il prossimo, il malato, stargli vicino nel percorso difficile e doloroso del suo male. Il suo ricordo è insito in me, ricordo le lunghe ore che trascorreva nel suo studio a “leggere” i vetrini per la diagnosi dei “suoi” pazienti. Lunghe ore al buio dove gli orari del pranzo e a volte della cena si susseguivano senza che lui uscisse dallo studio. Quello era il suo mondo!

Quanti giovani, che economicamente non potevano farcela,  sono riusciti invece a intraprendere gli studi scelti grazie a lui. Li seguiva e li aiutava in tutto il percorso di studio. Tutto nel maggior riserbo possibile.

Ha seguito, nell’Ospedale San Martino di Genova, i soggetti colpiti da malattie tropicali, tra cui la lebbra. Ma non raccontava mai nulla di se, quello che faceva lo si veniva a sapere sempre tramite  altre vie. Il suo silenzio lo isolava da tutto, ma non dai malati. Per loro aveva sempre una parola altre vie. Il suo silenzio lo isolava da tutto, ma non dai malati.

Questo esempio mi ha aiutato molto nella mia carriera infermieristica.

Grazie Professore!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *